Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3 - Giannone Pietro


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target="_blank" rel="nofollow" href="#n171" type="note">[171].

      Allora fu che Guaimaro riconoscente de' segnalati servigj, che gli avean prestato i Normanni, non tralasciava occasion d'ingrandirgli, e di mostrar loro il desiderio, che nudriva in esaltargli, proccurò dall'Imperadore Corrado l'investitura del Contado d'Aversa a favor di Rainulfo[172]; poichè se bene, come abbiam narrato, Rainulfo da Sergio Duca di Napoli fosse sopra i Normanni stato fatto Conte; nulladimanco quel, che si fece allora, fu solamente un conceder in ufficio a Rainulfo quella dignità, cioè di costituirlo Capitano sopra i suoi commilitoni, come dottamente spiegò il Pellegrino. Gl'Imperadori d'Occidente riputavano allora ad essi solo appartenere il concedere ed investire i Feudi in tutta Italia, ed esser questa, loro singolar prerogativa: ad imitazion de' quali pretesero da poi i Pontefici romani, che ad essi soli s'appartenessero l'investiture de' Beneficj, di che ci tornerà occasione altrove di favellare. Perciò Guaimaro, per istabilire maggiormente i Normanni nel Contado d'Aversa, proccurò che Rainulfo dall'Imperadore ne fosse investito, in virtù della quale investitura se gli concedeva non solo in ufficio, ma anche in Feudo la Città, ed il Contado e tutte quelle regalie, che sogliono venir comprese in simili concessioni.

      Ma ben Guaimaro ne fu corrisposto da' Normanni, poichè non molto da poi co' loro ajuti prese Sorrento, e ritenendo per se il titolo di Duca di Sorrento, concedè questa città a Guido suo fratello. Conquistò ancora col loro ajuto Amalfi, che per se la ritenne, ed al suo Principato la sottopose[173]. S'usurpò poco da poi, il titolo di Duca di Puglia e di Calabria; in guisa che nella sua persona s'unirono tanti titoli e Signorie, che non fu Principe alcuno veduto in questi tempi, innalzato a tanta sublimità e grandezza in queste nostre province, quanto lui. Per queste ragioni in alcune carte rapportate dall'Ughello nella sua Italia sacra, fatte sotto il Principato di Guaimaro IV si osservano tanti titoli, che a questo Principe s'attribuivano, come in una data in Melfi, Vigesimo sexto anno Principatus Salerni Domini nostri Guaimarii gloriosi Principis; et sexto anno Principatus ejus Capuae, et quinto anno Ducatus illius Amalfis, et Sirrenti; et secundo anno suprascriptorum Principatuum, et Ducatuum Domini Gisulfi eximii Principis, et Ducis filii ejus; et secundo anno Ducatus eorum Apuliae, et Calabriae, mense Junii duodecima Indictione[174].

      Intanto Corrado, da Capua partito, portossi a Benevento, indi per la Marca andossene oltre i monti, portando seco gli ostaggi, che da Pandolfo avea ricevuti; ed appena scorso un altro anno finì i giorni suoi in Alemagna nell'anno 1039 lasciando per successore nell'Imperio Errico suo figliuolo, detto il Negro.

      (Corrado appena scorso un anno, che ritornò da Italia, morì nel mese di giugno in Utrech nella Frisia in quest'anno 1039. Ottone Frisingense VI cap. 31. Non multo post reverso ab Italia Imperatore, Sanctamque Pentecostes in inferiori Trajecto Frisiae urbe celebrante, in ipsa solemnitate infirmatus XVII Regni, Imperii vero XIV anno diem ultimum clausit. Concordano Wippone pag. 402. Ermanno Contratto, Lamb. Schafnaburg, Mariano Scoto, Sigeberto Gemblacense, Corrado Ursperpense il Cronografo Sassone, e gli Annali Ildesheimensi).

      Fra le molte prerogative, onde era Corrado adorno, fu la perizia delle leggi, ed il sommo studio, ch'ebbe in istabilirle: egli calando in Italia presso Roncaglia, siccome era il costume de' suoi predecessori, molte ne stabilì tutte prudenti e sagge. Alcune se ne leggono nel terzo libro delle leggi longobarde, altre ne' libri feudali, e moltissime altre ne raccolse Goldasto nei suoi volumi[175].

      Egli fu il primo, che alle consuetudini feudali aggiungesse le leggi scritte per regolar le successioni: insino ad ora la successione de' Feudi si regolava secondo i costumi de' Longobardi, che in Italia gl'introdussero. I Feudi, secondo che abbiam veduto, per antica consuetudine non solevan concedersi se non a tempo[176], rimanendo in potestà del concedente, quando gli piaceva, ripigliarsi la cosa data in Feudo. Da poi fu introdotto, che per un'anno avessero la loro fermezza: in appresso s'ampliò durante la vita del vassallo, nè a' figliuoli s'estendeva; finalmente fu ammesso uno de' figli, ed era quando il Padrone al medesimo confirmava il Feudo, che al padre era stato conceduto: poi s'ampliò a tutti i figli, nè oltre, per le consuetudini feudali s'estese la lor successione.

      Corrado il Salico, avanti che in Roma giungesse a prender la Corona dell'Imperio, nell'anno 1026 in Roncaglia, secondo il costume de' suoi predecessori, nell'assemblea de' Principi e del Popolo, richiesto dai suoi vassalli, che fosse contento d'ammettere alla successione de' Feudi non pur i figli, come erasi per le consuetudini feudali introdotto, ma anche i nepoti nati da' figli, e questi mancando, potessero succedere ancora i fratelli del defunto, glie lo accordò, e fu perciò promulgata legge, per la quale stabilì, che se il Feudatario non avrà figli, ma nipote dal suo figlio maschio, abbia questi il Feudo: e se non avrà nepoti ma fratelli legittimi, abbiano questi ancora il Feudo, che fu del loro comune padre[177].

      Questa legge, che vien per intero rapportata dal Sigonio[178], ancorchè i Compilatori de' Libri Feudali non ve l'avessero interamente in quelli inserita, si legge però nel libro terzo delle leggi longobarde, ove tutte le altre leggi degl'Imperadori d'Occidente come Re d'Italia furono raccolte, le quali non solamente in Lombardia ed in tutte le altre parti di Italia, ma ancora in queste nostre province, toltone quelle, che all'Imperio de' Greci erano sottoposte, ebbero forza e vigore, per quelle ragioni, che altre volte abbiam detto nel corso di questa Istoria, e particolarmente ne' tempi di Corrado, ne' quali l'autorità degl'Imperadori d'Occidente era nel colmo della sua grandezza ne' Principati di Capua, di Salerno ed in quel di Benevento; essendosi veduto che essi deponevano i Principi stessi, e de' loro Principati disponevan a lor talento; anzi, siccome vedrassi più innanzi quando della compilazion di queste leggi e delle feudali tratterassi, maggiore fu nel nostro Regno la forza ed autorità delle leggi longobarde, che delle feudali.

      Non è però, che Gerardo de Nigris Senator di Milano nel primo libro de' Feudi[179] non avesse rapportata la sentenza di questa legge; ed i Compilatori degli altri libri feudali la tralasciarono d'inserire tra le altre costituzioni feudali degli altri Imperadori, che a Corrado succedettero, per quest'istessa ragione che ritrovavasi già inserita ne' libri delle leggi longobarde, l'uso de' quali era più frequente presso i nostri maggiori, che quello de' libri feudali: se bene da un luogo d'Andrea d'Isernia[180] si raccoglie, che in alcuni Codici delle leggi feudali, che allora andavano attorno, ancor che in molti luoghi tronca e mutilata, era stata pure trascritta.

      Altri Capitoli di questo Principe abbiamo nel libro secondo de' Feudi sotto il titolo de Capitulis Corradi, stabiliti parimente in Roncaglia, ove de' Feudi pur si tratta: nè, per dir ciò di passaggio, è condonabile l'errore di Carlo Molineo[181], il quale nell'istesso tempo, che biasima i nostri Interpreti, i quali per l'ignoranza dell'istoria caddero in molti errori, inciampa egli stesso in ciò che ad altri biasima; riputando questi Capitoli di Corrado, essere non del Salico, ma di Corrado II, quando quel Corrado di ch'egli parla, non fu mai in Italia, onde avesse quelli presso Roncaglia potuto stabilire.

      Quindi ancora si convince l'altro errore di Molineo[182], nel quale non possiamo non maravigliarci esservi ancora caduto, oltre Cragio ed Ornio, il nostro diligentissimo Pellegrino[183], i quali per leggiere cagioni reputarono Lotario I, nipote di Carlo Magno, autore di quella costituzione, che si legge nel libro primo de' Feudi[184], per la quale la successione dei Feudi fu estesa anche al patruo; tantochè se fosse di quello Imperadore, non Corrado il Salico verrebbe ad esser il primo, che alle consuetudini feudali aggiungesse sopra ciò leggi scritte, ma Lotario I, che più di 200 anni prima di Corrado tenne l'Imperio di Occidente.

      Ma si convince questa legge essere di Lotario III (che altri con più verità appellano II, poichè dell'altro Lotario, che per pochi giorni in tante rivoluzioni di cose invase l'Imperio dopo Berengario, non dee aversi conto) non già di Lotario I, per essere stata promulgata in Roma nell'anno 1133,


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<p>172</p>

Ostiens. lib. 2 cap. 65. Rainulfum quoque, ipsius Guaimarii suggestione, de Comitatu Aversano investivit.

<p>173</p>

Ostiens. l. 2 c. 65. Eodem tempore Guaimarius, Normannis faventibus, Surrentum cepit, et fratri suo Guidoni contulit. Amalfim nihilominus suo dominatui subdidit.

<p>174</p>

Ughell. de Archiep. Amalf. pag. 255 t. 7.

<p>175</p>

Goldast. t. 3 p. 312.

<p>176</p>

Lib. 1. Feud. tit. 1 §. 1.

<p>177</p>

Lib. 3. LL. Longob. tit. 8 de beneficiis, l. 4.

<p>178</p>

Sig. A. 1026.

<p>179</p>

Lib. 1 tit. 1 §. 2.

<p>180</p>

Audr. in Comm. in l. omnibus post tit. de prohib. Feud. alien. per Lothar.

<p>181</p>

Molin. de Feud. p. 51.

<p>182</p>

Molinaeus de Feud. n. 33.

<p>183</p>

Pellegr. in dissert. pag. 62.

<p>184</p>

Lib. 1. Feud. tit. 19.