Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3. Giannone Pietro
e tumulti; poichè i Baresi non potendo più soffrire l'aspro governo, che d'essi faceva Curcua nuovo Catapano, animati da Melo prode e valoroso Capitano di sangue longobardo, che dimorava in Bari, ove da molto tempo avea trasportata la sua famiglia, si ribellarono dall'imperio greco, e sperando dare alla lor patria la libertà, si misero sotto la guida di Melo, che per lor Capo insieme con Dato suo cognato l'elessero. Ma gl'Imperadori d'Oriente avvisati di questa rivoluzione, mandarono tosto in Italia Basilio Bagiano nuovo Catapano, il quale giunto nella Puglia con buona compagnia di Signori e di soldati di Macedonia pose l'assedio alla città di Bari. I Baresi vedutisi così stretti, invece di pensare a difendersi, attesero solamente a rappacificarsi co' Greci a costo di Melo, offrendo di darlo loro nelle mani; di che accortosi Melo, tosto se ne fuggì furtivamente in Ascoli con Dato, ed ivi non tenendosi a bastanza sicuro, ritirossi ben anche più lungi, ed intanto i perfidi suoi cittadini, per guadagnarsi la buona grazia de' Greci, inviarono a Costantinopoli Maralda sua moglie, e 'l suo figliuolo Argiro. Melo, che da Ascoli erasi ritirato in Benevento, indi in Salerno, erasi finalmente con Dato fermato in Capua, chiedendo a Pandolfo, siccome a' Principi di Benevento e di Salerno suoi Longobardi a volergli prestar ajuto contro i Greci. Arrivando in Capua ritrovò ivi i Normanni, che poc'anzi eranvi giunti: era egli già consapevole del lor valore, onde trovandogli opportuni a' suoi disegni, per le grandi promesse che lor fece, si diedero al suo servigio, ed avendo arrolate eziandio altre truppe presso de' Principi longobardi, delle quali sollecitava il soccorso, ragunò un'armata, che immantenente menò contro i Greci; ed avendogli assaliti, furono in tre successive battaglie disfatti, e si rese padrone d'alcune città della Puglia; ma poscia perdette tutto il frutto delle sue vittorie nel quarto combattimento, che accadde intorno l'anno 1019 presso la città di Canne, luogo già rinomato per l'antica disfatta de' Romani[153]. Vinto Melo più tosto per lo tradimento de' suoi, che per la forza de' Greci, i Normanni gli si mantennero fedeli, combattendo con estremo valore. Pensò Melo, veggendo il suo partito assai debole, di chiedere soccorso altrove, ed avendo raccomandati tutti i Normanni che gli restavano a Pandolfo Principe di Capua, ed a Guaimaro Principe di Salerno, tosto partissi per Alemagna a ritrovare l'Imperador Errico, a cui avendo esposto lo stato lagrimevole di queste nostre province, che per l'ingrandimento de' Greci erano in pericolo di esser tutte smembrate dall'Impero d'Occidente, lo confortava ad inviare una grossa armata contra de' Greci, o pure che venisse egli stesso in persona a comandarla: Errico, che trovavasi distratto in altre imprese, e che alle promesse non ben corrispondevano i fatti, obbligò ben due fiate Melo a ripigliar quel viaggio per sollecitarlo a mandare i promessi soccorsi; ma nel mezzo di questi affari finì Melo la sua vita presso l'Imperador Errico, tanto che i Normanni per la perdita di questo lor valoroso Capitano si diedero a prender altri partiti.
Adinolfo fratello di Pandolfo Principe di Capua ed Abate di Monte Cassino, era travagliato quasi sempre da' Conti d'Aquino, i quali sovente facevano delle scorrerie sopra i beni di quella Badia, onde pensò l'Abate per difendergli valersi dell'opra e del valore de' Normanni[154], i quali assai bene, e con ogni fedeltà adempierono la commessione, che loro era stata data, guardando di continuo le terre di quel monastero da un Borgo appellato Piniatario, non lungi dalla città di San Germano, ove s'erano fortificati. Altri Normanni seguendo Dato s'erano ritirati sotto gli auspicj di Benedetto VIII R. P., il quale aveva loro dato in guardia la Torre del Garigliano, ch'era del dominio della Chiesa; parendo così a Dato d'esser sicuro, posciachè la città di Capua lo copriva dall'insulto de' Greci.
Ma la perfidia di Pandolfo Principe di Capua cagionò nuovi sconcerti in queste regioni, che finalmente tutti terminarono a maggior ingrandimento de' Normanni. Questo Principe, ancorchè mostrasse in apparenza favorir le parti di Errico Imperador d'Occidente come a lui soggetto, nulladimanco nudriva di soppiatto con Basilio Imperador d'Oriente una stretta corrispondenza ed amicizia, e s'avanzò tanto, che finalmente s'indusse a mandar in Costantinopoli le chiavi d'oro, e sottopporre sè, la sua città, e l'intero Principato all'Imperio d'Oriente, in quel modo ch'era prima a quello d'Occidente[155]. L'Imperador Basilio, a cui per gl'interessi suoi molto importava quest'acquisto, tosto avvisonne Bagiano, al quale commise, che per mezzo di Pandolfo proccurasse aver in mano Dato co' Normanni, ch'erano in sua difesa. Questi eseguì con efficacia ed esattezza il comandamento del suo Principe, e perchè Pandolfo non fosse distolto dall'Abate Adinolfo suo fratello, pensò tirare al suo partito anche costui, come lo fece opportunamente per un mezzo assai efficace, qual si fu d'una gran donazione, che fece al suo Monastero dell'intera eredità d'un tal Maraldo di Trani, ch'erasi devoluta al Fisco[156]; ed avendo mandata una grossa somma di denaro a Pandolfo, lo priegò insieme, che se veramente era fedele all'Imperadore Basilio, gli permettesse il passaggio per gli suoi Stati per aver in mano Dato. Gli fa ciò tosto accordato, e posto in ordine un non piccolo esercito venne ad assalir Dato nel Garigliano; gli assediati ancorchè colti improviso si difesero con molto coraggio per due giorni: ma alla fine bisognò, che il valore cedesse alla forza. Bagiano prese la Piazza, e trattò con estremo rigore tutti coloro, che vi trovò, fuorchè i Normanni in riguardo d'una calda preghiera, che l'Abate Adinolfo gliene fece. Ma non usò pietà con Dato; e questo disgraziato Capitano condotto in Bari sostenne il supplizio de' parricidi, essendo stato buttato in mare dentro un sacco.
L'Imperadore Errico avendo intesa l'invasion dei Greci, la perfidia del Principe Pandolfo, e la crudelissima morte di Dato, reputando fra se medesimo, che perduta la Puglia ed il Principato di Capua, se non affrettava i soccorsi, era in pericolo di perdere Roma e tutta l'Italia, tardi avveduto di ciò che Melo tante volte aveagli presagito, scosso finalmente da tanti avvenimenti, avendo unito una grossa armata, e chiamati i Normanni (ch'erano stati a preghiere di Adinolfo lasciati liberi) che militassero sotto le sue insegne, tosto in quest'anno 1022 verso Italia incamminossi[157]. Divise in tre corpi la sua armata: ad uno composto di undicimila soldati prepose per Capitano Poppone Patriarca d'Aquileja, che incamminossi verso Abruzzi, acciò che per quella parte entrasse nel dominio de' Greci: l'altro corpo era di ventimila soldati comandato da Belgrimo Arcivescovo di Colonia (poichè in questi tempi non vi avea niente di stranezza, che i maggiori Prelati della Chiesa si vedessero alla testa degli eserciti, come ben tosto lo vedremo ancora praticare dagli stessi Pontefici romani) e questo fu mandato per la strada di Roma per avere in mano l'Abate Cassinense col Principe di Capua suo fratello, che ambedue venivano imputati presso l'Imperadore della cattura e morte di Dato: l'altro ritenne seco Errico, volendo egli in persona per la Lombardia e per la via della Marca venire a' danni de' medesimi Greci.
L'Abate Adinolfo subito, che fu avvisato, che gli andava contro un esercito intero, abbandonò il monastero, e per salvarsi in Costantinopoli, ad Otranto con gran fretta fuggissene, dove imbarcato nell'acque del mare Adriatico, nel quale Dato era stato sommerso, rotta la nave con tutti i suoi, affogò.
Il Principe suo fratello, quando si vide assediato dentro Capua dall'Arcivescovo di Colonia, dubitando d'esser tradito da' suoi vassalli, che l'odiavano a morte, si diede in man del Prelato, acciocchè il menasse da Errico, in presenza di cui promise provar la sua innocenza[158]. Lo ricevè Belgrimo sotto la sua custodia, e menollo da Errico, il quale allora teneva strettamente assediata Troja in Puglia, città, che i Greci in questo medesimo anno aveano edificata, la quale pochi giorni da poi si rese a lui. Rallegrossi l'Imperadore, e fatti assembrare tutti i suoi Baroni, così italiani come oltramontani, perchè conoscessero della sua causa, fu con universal consentimento sentenziato a morte; ma l'Arcivescovo, sotto la cui protezione si era egli posto, tanto seppe oprar con preghiere e pianti presso l'Imperadore, che la pena di morte la fece commutare in esilio perpetuo; onde fattolo strettamente incatenare, in cotal guisa se lo menò seco in Germania.
Il Principato di Capua fu da Errico conceduto a Pandolfo Conte di Tiano, e nell'istesso tempo investì di questo Contado Stefano, Melo e Pietro, nipoti del celebre Melo, i quali erano sottentrati a sostenere quell'impegno medesimo contro i Greci, che promosse il loro zio[159]. Ecco come gl'Imperadori d'Occidente disponevano del Principato di Capua e de' Contadi dei quali era composto. Ma essendo stato obbligato Errico a richiamar la sua armata per cagione degli eccessivi caldi della Puglia, che gli Alemani, ond'era composta, non potevano più soffrire: confidò i disegni che avea su
153
Ostiens. l. 2 c. 37.
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Ostiens. l. 2 c. 38.
155
Ostiens. l. 2 c. 38.
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Ostiens. loc. cit.
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Ostiens. lib. 2 cap. 39.
158
Ostiens. lib. 2 cap. 40.
159
Ostiens. lib. 2 cap. 41.