Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8. Giannone Pietro
di Roma. In vigor di queste Carte Regali gli Ordinari solamente potevan procedere con ordinarie maniere ne' delitti di Religione contra i loro sudditi: ma Roma proseguiva a procedere come prima, inchiedendo le persone del Regno, e sovente con assicurarsene, e far trasmettere insino a Roma i processi ed i carcerati. Egli è vero, che niente si faceva senza provvisione del Vicerè; e le commessioni, che venivano da Roma non s'eseguivano senza che prima non fossesi a quelle interposto l'Exequatur Regium, nel che il Duca d'Alcalà vi fu vigilantissimo. Ma quanto s'usava rigore ne' casi, che si fosse eseguita qualche commessione di Roma senza il Regio Exequatur, con ordinarsi la cassazione di tutti gli atti, e la scarcerazione de' carcerati, di che alcuni esempj si leggono del Duca d'Alcalà presso il Chioccarello70; altrettanto, conceduto che s'era il Placito Regio, con facilità si davano alle richieste degl'Inquisitori di Roma favori ed ajuti, permettendo, che da' loro Commessari si fabbricassero come Delegati i processi, si carcerassero gl'indiziati, e si vendessero le loro robe per la rifazione delle spese; insino a permettere, che i carcerati si portassero in Roma, di qualunque condizione e qualità quelli si fossero.
È assai celebre l'inquisizione fatta dal S. Ufficio di Roma contra il Marchese di Vico, contra il quale fin dall'anno 1560 fu destinato un Commessario Appostolico, il quale nella città di Benevento ne prese informazione, citando per edictum testimoni de' luoghi circostanti, con esaminarli contra di quello. E mandato il processo in Roma, risoluta da quella Congregazione del S. Ufficio, tenuta dinanzi al Papa, la carcerazione del Marchese, il Cardinale Alessandrino a dì primo novembre del 1564 scrisse una lettera al Duca d'Alcalà, pregandolo, che gli mandasse carcerato nel S. Ufficio il Marchese di Vico con buona guardia, o che gli facesse dare grossa sicurtà di presentarsi in quello, essendogli stato così ordinato dai Cardinali suoi Colleghi in presenza del Papa; ed il Vicerè non ebbe riparo d'ordinare alla Vicaria, che facesse dar malleveria al Marchese di ducati diecimila di presentarsi al S. Ufficio di Roma71.
Degli avvenimenti di Galeazzo Caracciolo Marchese di Vico, come a questi tempi in Europa assai divolgati, non si dimenticò favellarne in due luoghi delle sue Istorie l. 9 et 84 il Presidente Tuano: e poichè da' medesimi si dimostra quanto ne' petti umani possa la forza della Religione, e sono in gran parte ignoti a' Napoletani, poichè niuno de' loro Scrittori no fece motto, ed il libricciuolo della di lui vita stampato nel 1681 in Ginevra nell'idioma Franzese, è si raro e a molti ignoto, che non è così facile averne copia, sarà bene qui distintamente rapportarli. Galeazzo Caracciolo nacque in Napoli nel mese di gennaio dell'anno 1517 da Nicol'Antonio, ovvero secondo il linguaggio de' Napoletani, da Colantonio Caracciolo Marchese di Vico: sua madre fu una Dama di pari nobiltà dell'illustre famiglia Caraffa; la quale ebbe per zio materno Gio. Pietro Caraffa figliuolo del Conte di Montorio, assunto poi al Pontificato sotto nome di Paolo IV. Non ebbe altri figliuoli maschi, che Galeazzo, il quale appena giunto all'età di venti anni fu dal Padre maritato con D. Vittoria figliuola del Duca di Nocera, che gli portò scudi ventimila di dote, dalla quale in processo di tempo ebbe sei figliuoli, quattro maschi e due femmine, ma non tutti sopravvissero al Padre. Fu impiegato fin dalla giovanezza a' servigi dell'Imperatore Carlo V, il quale avendolo creato Gentiluomo della chiave di oro, lo ritenne per qualche tempo presso di se nella Imperial sua Corte, ma tornato poi in Napoli in tempo che la dottrina delli nuovi Riformatori era in quella Città occultamente insegnata da Pietro Martire Vermiglio, prese amicizia con Giovanni Valdes Gentiluomo spagnuolo, il quale, siccome di sopra fu detto, era il principal Ministro, di cui il Vermiglio si valeva, come più istrutto della nuova dottrina, spezialmente intorno alla giustificazione, e che avea fatto molto studio sopra l'Epistole di S. Paolo; ma sopra tutto perchè avea gran dimestichezza e famigliarità con molti Nobili napoletani. Questi trasse molti alla sua credenza, con farli accorti di alcune vane superstizioni e dell'errore della propria giustificazione dell'uomo per li meriti proprj, e fra gli altri Galeazzo; ma colui che diede l'ultima spinta per farlo crollare, fu un Gentiluomo chiamato Gio. Franceso Caserta, suo parente, il quale lo strinse co' suoi discorsi ad assentire alla dottrina della giustificazione per i meriti di Gesù Cristo e l'indusse ad ascoltare i Sermoni di Pietro Martire, che faceva in S. Pietro ad Ara sopra l'Epistole di S. Paolo, i quali maggiormente lo confermarono. Ciò avvenne nell'anno 1541 quando Galeazzo non avea che 24 anni.
A questi tempi Marc'Antonio Flaminio erasi reso celebre per la sua letteratura, e per la famosa traduzione del Salterio in versi latini. Questi avendo inteso i talenti ed i progressi di Galeazzo, e ch'era disposto ad abbracciar la Riforma, gli scrisse una dotta lettera, nella quale per maggiormente animarlo a risolversi, fra le persone illustri che annoverò d'averla abbracciata, non si dimenticò di D. Vittoria Colonna Marchesa di Pescara. In tanto per li spessi viaggi, che Galeazzo faceva in Germania, veniva maggiormente ad istruirsi colla lettura di nuovi libri, che Lutero, ed i suoi seguaci incessantemente davano in Sassonia ed altrove alle stampe; e passando per Strasburg, s'incontrò con Pietro Martire, col quale riconosciutosi, ebbe lunghi colloqui e si determinò d'abbracciarla. Tornato in Napoli, pensò indi partire, per pubblicamente professarla altrove, e non farvi più ritorno; e celando al Padre ed alla moglie questo suo proponimento, raccolto qualche contante, che non oltrapassò la somma di duemila ducati, partì finalmente da Napoli a 21 marzo del 1551 d'età di 34 anni abbandonando Padre, Moglie, Figliuoli, onori, ricchezze e tutte le comodità di una Casa cotanto agiata ed illustre. Arrivato ad Ausburg, dove l'Imperadore si trovava, lo servì in Corte, fin che ivi dimorò; ma passando l'Imperadore a' 26 maggio del medesimo anno a Paesi Bassi, non volle seguirlo; sicchè Cesare partendo, egli prese il cammino verso Genevra, dove arrivò agli 8 di giugno. Quivi non trovò alcuno di sua conoscenza; eccetto, che a capo di due giorni arrivò colà un Gentiluomo di Siena nominato Lattanzio Rognoni, che l'avea conosciuto In Napoli. Questi per lo stesso stimolo di cambiar Religione erasi ritirato a Genevra, dove avendo dato sufficienti saggi de' suoi progressi, fu impiegato ne' seguenti anni al Ministero della Predicazione nella Chiesa degl'Italiani stabilita in Genevra da Galeazzo, come si dirà più innanzi. Fermatosi adunque Galeazzo in questa città, abiurò l'antica e professò la nuova Religione Riformata, e deliberò far quivi domicilio. Prese tosto amicizia con Giovanni Calvino, che la continuò fin'all'anno 1564, nel quale Calvino finì di vivere. Ebbe costui tanta stima e rispetto di Galeazzo, che ristampando i suoi Commentarj sopra la prima Lettera di S. Paolo a' Corintj, in questa seconda Edizione, li dedicò a Galeazzo; siccome si legge dalla sua lettera latina de' 23 gennaro 1556, premessa a questa seconda Edizione, nella quale cotanto commenda la sua fermezza e costanza di non lasciarsi smuovere dalla presa risoluzione, animandolo a non curare ciò, che il Mondo ignorante di se ragioni; ma di contentarsi avere Iddio per spettatore della sua probità.
La novella della venuta di Galeazzo a Genevra, e d'essersi quivi fermato, e d'aver mutata Religione, riempì la Corte dell'Imperadore e tutto il Mondo, e spezialmente Napoli di maraviglia e stupore. Il Marchese di Vico suo Padre, sua Moglie, figliuoli e tutti i Napoletani restarono attoniti.
Il Padre gli spedì un Giovane suo parente per ridurlo; ma giunto che fu costui a Genevra, con tutti i suoi sforzi, preghiere e lusinghe non potè smoverlo: sicchè essendosi affaticato in vano, se ne ritornò a Napoli infruttuosamente. Intanto non meno il Fisco Regio di Napoli, che la Congregazione del S. Officio di Roma, cominciarono a fabbricar processi contra Galeazzo. Ma quello che maggiormente angustiava l'infelice padre era, che dal Fisco se gli minacciava la confisca de' beni, con intento di dichiarare incapaci i suoi nepoti, figliuoli di Galeazzo della successione dei Feudi, dopo sua morte, a cagion del delitto di lesa Maestà Divina del loro padre, che inabilitava anche i figliuoli alla successione; sicchè il dolente Marchese per riparare un colpo sì fatale per la sua discendenza risolvè portarsi a piedi dell'Imperadore e ricorrere alla clemenza del medesimo per liberarsi dalla molestia fiscale. Risoluto adunque di partire, e dovendo passare per Venezia, fece intendere a Galeazzo, che desiderava nel passaggio vederlo: al che egli non ripugnando, fu destinata la città di Verona per l'abboccamento; avendogli il padre per indurlo a venire con sicurezza fattogli spedire salvo condotto dalla Republica di Venezia. Partì adunque Galeazzo da Genevra a' 29 di aprile del 1553 preparato a sostener gli assalti del Padre, a' quali andava incontro. Si videro e parlarono lungamente insieme. Il Marchese adoperò ogni arte ed industria, dissegli
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Chioc. loc. cit. et to. 4.
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Chioccar. loc. cit. tom. 8.