Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8. Giannone Pietro
facesse ravvedere quella gente degli errori, e la riducesse alla sana dottrina. Anania, tralasciato ogni altro impiego, avendo chiamati per compagni all'opra alcuni Gesuiti, i quali poco dianzi erano venuti in Calabria, si posero con molto vigore ad esortarli e predicar loro la verità; ma per molto che si travagliassero, pochissimo era il frutto de' loro sudori; poichè ostinati nei loro errori, non temendo nè minacce, nè la severità di qualunque castigo, vie più insolentivano e moltiplicavano. Bisognò per tanto ricorrere ad un più forte ed efficace rimedio: s'ebbe perciò ricorso al Duca d'Alcalà, il quale si trovava allora Vicerè del Regno: costui ne' principj credette bastare, che si procedesse contra di essi con un poco più di attenzione e vigilanza; onde scrisse al Vicario di Cosenza (come si vede dalla sua lettera rapportata dal Chioccarelli61) che nelle cause de' carcerati, che egli teneva, della Guardia Lombarda inquisiti d'eresia, procedesse con voto e parere del Dottor Bernardino Santa Croce, che si ritrovava in quelle parti, siccome ne scrisse parimente al Santa Croce, che v'invigilasse; ma vedutosi poi che alla gravità del male non eran sufficienti questi rimedi ordinari, ed essendogli stato rappresentato, che gli Eretici in Calabria vie più si moltiplicavano e non temendo castighi nè minacce, erano per cagionare gravissimi disordini, il Vicerè, per reprimere la loro temerità, vi mandò un Giudice di Vicaria, Annibale Moles, con buon numero di soldati, parte condotti da Napoli, e parte raccolti da' paesi contorni: ma fu il Ministro mal ricevuto, perchè coloro sottrattisi dall'ubbidienza di qualunque Magistrato, si posero in campagna, e ragunato un sufficiente numero, con apparenza di formato esercito, vigorosamente gli resisterono, fermi di morire più tosto, che lasciar gli errori; anzi, come suole avvenire nelle guerre di Religione, niente paurosi, ma tutti festanti andavano giulivi ad incontrar la morte, persuasi, che così morendo, salivano in Cielo io compagnia degli Angeli a godersi il Signore. Il Duca d'Alcalà pensò valersi in quest'occasione di Scipione Spinelli Signore della Guardia, e fur rinforzate le sue genti, tanto che bisognò venire ad una battaglia campale per dissiparli: si combattè in fine vigorosamente, e con tutto che rimanessero sul campo molti di quelli morti, non perciò i rimasti s'arresero; ma pieni di coraggio, vedendo che per lo poco numero mal potevano resistere in campagna aperta, si ritirarono dentro le mura della Guardia, la quale, oltre la qualità del sito acconcia a resistere ad ogni nemico assalto, munirono così egregiamente, che ridottala in forma di un sicuro asilo, non temevano di niuno. Lo Spinelli, disperando dell'impresa, veggendo non poter loro resistere con aperta forza, si rivolse agli inganni, e riuscitogli d'introdurre nel Castello gente valorosa ed armata, fingendo di mandargli ivi prigioni, costoro scovrendosi poi, e menando con molto valor le mani, sbaragliarono li Capi, e fecero degli altri molta strage, altri fuggirono, ma molti rimasero prigioni: furono confiscati tutti i loro beni e gli ostinati, condennati alle fiamme, nell'istesso tempo, che Lodovico Pascale Piemontese lor Capo, era stato dalla Inquisizione fatto bruciare in Roma62. In cotal guisa furono finalmente sterminati, e sopra questo argomento avea scritto in versi latini un giusto volume l'Anania; ma (siccome narra il P. Fiore) non permise l'autore stesso, che si desse alle stampe, onde ora siamo privi di quest'opera. Sterminati che in questo modo furono la maggior parte, per alcuni che v'erano sopravanzati non si trascurò di far ogni opera per ridurli in via: si proccurò con rigorosi catechismi e continue predicazioni sradicar gli errori; e dall'altra parte il Duca d'Alcalà prese con severità a castigarli; ordinando per ciò alla Regia Camera, che procedesse alla vendita de' beni confiscati a coloro, ch'erano stati condennati alla pena di morte naturale, nelle Terre della Guardia e di S. Sisto63; si vietò con loro ogni commercio, e furon proibiti fra loro i matrimoni, sinchè spiantata affatto ogni radice di falsa dottrina, ripullulò in que' luoghi l'antica Fede; ed oggi gli abitatori, multiplicati in gran numero, vivono come gli altri, purissimi nella universal credenza.
Non meno in Calabria, che in Napoli fu duopo al Duca d'Alcalà usare il medesimo rigore. Erano ancor quivi rimasi molti semi di falsa dottrina. Le conversazioni, che si tennero a tempo del Toledo in Casa di Vittoria Colonna, e di Giulia Gonzaga sospette d'eresia, aveano contaminati molti: con tal occasione invigilandosi assai più, che non erasi prima fatto, se ne scoversero molti, che ne davano sospetto; onde furono con severissimi editti citati a comparire fra breve termine avanti il Vicario dell'Arcivescovo di Napoli sotto pena della confiscazione de' beni; ma sopra due cadde più severo castigo. Questi furono Giovan Francesco d'Alois della città di Caserta e Giovan Bernardino Gargano d'Aversa, i quali incarcerati, e come eretici condannati a morte, furono a' 24 di marzo del 1564 pubblicamente nel Mercato decapitati, ed al cospetto di tutta la città furon poi abbruciati64. Si procedè alla confiscazione de' loro beni, ma non senza contrasto; poichè i Napoletani volevano far valere la Bolla di Giulio III accordata loro da Cesare, per la quale, come s'è detto, non poteva nel Regno farsi confiscazione de' beni degli Eretici; ciò che diede occasione a quelle dispute, che leggiamo presso i Reggenti Salernitano, e Revertera nella causa d'Alois65.
Per questi rigorosi castighi, e dal vedersi andare d'accordo le Corti Ecclesiastica e Secolare, i Napoletani, oltre lo spavento che n'ebbero, concepirono timore, non fosse questo un concerto di mettere con tal pretesto in Napoli il Tribunal dell'Inquisizione cotanto da essi abborrito: ond'essendosi per la città di volgata fama, che il Duca d'Alcalà trattava di voler poner nel Regno l'Inquisizione secondo l'uso di Spagna, e sbigottita da tante citazioni, che si facevano dal Vicario sotto pena di confiscazione de' beni, molte famiglie colle loro robe se n'uscirono da Napoli, e per le decapitazioni e bruciamento seguito al Mercato di Alois e Gargano, postasi la città in bisbiglio, dubitandosi non si venisse alle armi, tutta la piazza della Rua Catalana e suo quartiere fu disabitato66. Stette la Città in rivolta per molti dì e mesi, nel cui tempo furono tenute molte Assemblee dalle Piazze, le quali finalmente deputarono alcune persone, perchè andassero a parlar al Vicerè, ed a esporgli liberamente i loro sensi intorno a non voler permettere, seguendo l'esempio de' loro maggiori, Tribunale alcuno d'Inquisizione. Il Duca, come dotato di somma bontà e prudenza, conoscendo quanto a' Napoletani fosse odiosa tal novità, e quanto grandi le difficoltà che si sarebbero incontrate d'introdurla, e le fastidiose conseguenze, che partorì sotto il governo del Toledo, vi pose prudentemente silenzio e se n'astenne.
Ma la città non contenta di ciò, volle spedire al Re in Ispagna un suo Legato, a pregarlo, che in Napoli e nel Regno non si ponesse mai Inquisizione, nè, secondo il Concordato fatto nel Pontificato di Giulio III, potessero confiscarsi i beni degli Eretici. Si trascelse il famoso Paolo d'Arezzo, prima splendore nel nostro Consiglio di S. Chiara, poi della Religione Teatina, e finalmente Arcivescovo di Napoli e Cardinale. Ancorch'egli ritiratosi dal Foro ne' Chiostri, ne rifiutasse il peso, a' conforti del Cardinal Carlo Borromeo e del Papa istesso, accettò finalmente l'ambasceria67. La città oltre alle sue lettere al Re drizzate, diegli istruzioni bastanti, e la Bolla di Giulio III, donde costava del Concordato suddetto68. Partito egli in quest'anno 1564, e giunto nella Corte di Madrid, fu dal Re caramente accolto, ed avendogli esposti i desiderj della città, con presentargli le sue lettere, il Re liberalmente concedè a' Napoletani quanto chiedettero, ordinando, che nel Regno non si ponesse giammai Inquisizione, nè si dovesse praticare altra maniera di giudicio nelle cause di Religione, che l'ordinaria. Scrisse per ciò in questi sensi tre lettere, due alla città sotto li 10 marzo del 1565, ed un'altra sotto la medesima data al Duca d'Alcalà Vicerè, contenente la medesima dichiarazione, amendue rapportate dal Chioccarelli69, nelle quali fra l'altre parole si leggono queste: Por tenor de la presente decimos, y declaramos, no aviendo ne ser nuestra intention, que en la dicha Ciudad, y Reyno se ponga la Inquisicion en la forma de Espanna; si no que se proceda por la via ordenaria; como asta a qui, y que assi se observerà, y complirà con efecto con lo de adelante, sin que en ella aya falda: ed altrove: De manera que los Ordinarios agan bien su ofìcio, como se deve.
II P. Arezzo, tornato dalla sua ambasceria, fermossi in Roma, donde mandò alla città di Napoli relazione di quanto felicemente avea adoperato a Madrid e del buon successo di quell'affare: onde cessò ogni sospetto d'Inquisizione, restando i Napoletani contentissimi della benignità e clemenza del Re.
Ma
61
Chioccar. tom. 8 de S. Inquisit. Offic. car. loc. cit.
62
Spondan. ann. 1561 n. 31.
63
Chioccar, loc. cit.
64
Summ. tom. 4 1. 10 c. 4.
65
Salernit. decis… Revert. vol. 1 decis. 27.
66
Summ. l. c.
67
Chioccar. in Archiep. Neap. et in M. S. Inquis. Off.
68
Joana. Ant, Gangian. in Histor. Vita P. de Arelio, c. 16.
69
Chioccarel. M. S. Giurisd. tom. 8.