Istoria civile del Regno di Napoli, v. 9. Giannone Pietro
e poscia Imperadore; ed un'altra, che morì bambina. Il suo regnare fu più tosto d'apparenza, che di realtà; poichè contento della Regal dignità, lasciò governare a' Favoriti ed a' Consigli. Si credette, che quando per l'istigazioni del Duca d'Uzeda e di Fr. Luigi Aliaga Confessore del Re, fu comandato al Cardinal Lerma, che si ritirasse, fosse il Re per assumere in se stesso il governo; ma la morte, che poco da poi lo rapì ai travagli, che seco porta l'Imperio, ne interruppe le speranze. Principe, ch'essendo decorato degli ornamenti della vita, meglio che dotato dell'arte di comandare; siccome la bontà, la pietà e la continenza lo costituirono superiore a' sudditi, così la disapplicazione al Governo lo rese inferiore al bisogno. Tenendo oziosa la volontà, si credeva, che altra funzione non avesse riserbata a se stesso, che d'assentire a tutto ciò, che il Favorito voleva; e si credette, che nell'agonia della sua morte, non fosse tanto consolato della memoria de' suoi innocenti costumi, quanto agitato dagli stimoli della coscienza per l'omissione del governo. Con tutto ciò dal primo anno del suo regnare insino al penultimo stabilì per noi molte leggi savie e prudenti, le quali, secondo il tempo che si pubblicarono, vengono additate nella Cronologia prefissa al tomo primo delle nostre Prammatiche.
LIBRO TRENTESIMOSESTO
Filippo IV succedè al padre in età così giovanile, che non avea oltrepassati i sedici anni, per esser egli nato in Valladolid agli 8 d'aprile dell'anno 1605. Il suo Regno fu molto lungo, avendo durato quarantaquattro anni e mezzo insino al 1665 anno della sua morte. Si sperava, che per l'assunzione al soglio d'un nuovo Re, dovessero cessare i Favoriti, ed assumer egli in se stesso il Governo, ma riuscì vana ogni lusinga; poichè portati al Re i dispacci, gli consegnò a D. Gaspare di Gusman, Conte d'Olivares, il quale, ancorchè lo desiderasse, mostrandosene alieno, con questa sua simulata modestia mosse il Re a comandargli, che fossero dati a chi il Conte volesse. Egli simulando moderazione, gli rassegnò a D. Baldassar di Zunica, vecchio ed accreditato Ministro; ma però di concerto tra loro, perchè, essendo il Zunica suo zio, aveano convenuto di sostenersi reciprocamente; onde presto caduta la maschera, tutto l'arbitrio ed il potere si restrinse nel Conte, che decorato ancora col titolo di Duca, si scoprirà ne' seguenti racconti con questo doppio titolo di Conte Duca. Nel suo lungo regnare, sempre più le cose peggiorando, fu questo Reame teatro infelice di grandi e funesti avvenimenti, per li quali rimase voto di forze e di denari, e miseramente travagliato ed afflitto. Egli avendone presa l'investitura dal Pontefice Gregorio XV lo governò in questo spazio di tempo per mezzo di nove Vicerè, che successivamente ne presero l'amministrazione, de' quali il primo fu D. Antonio Alvarez di Toledo Duca d'Alba, del cui governo saremo ora brevemente a narrare.
CAPITOLO I
Di D. Antonio Alvarez di Toledo Duca d'Alba, e del suo infelice e travaglioso governo
Venne il Duca d'Alba a ristorar il Regno dalle precedenti calamità e miserie; ma per trovar efficaci rimedi a tanti mali, riusciva l'impresa pur troppo dura e malagevole. A fin d'evitare il disordine, che seco portava l'uso delle Zannette, se n'era incorso in un altro maggiore, per la ordinata loro abolizione, non essendovi materia, nè modo per surrogare in lor vece una nuova moneta: cagionossi per ciò un danno gravissimo non meno a' pubblici Banchi, che a' loro Creditori, li quali Banchi si trovavano avere di Zannette la somma di quattro milioni e quattrocentomila ducati. Molti altri particolari Cittadini si trovavano pure quantità grande di Zannette, che furono costretti a venderle a peso d'argento, con ciò impoverironsi molte famiglie, che per tal cagione si ridussero in una estrema mendicità, donde nasceva ancora la penuria di tutte le cose, e l'impedimento del commercio. A riparar questi mali applicò l'animo il Duca d'Alba nel principio del suo Governo, ed avendo formata una Giunta di Ministri e d'altre persone pratiche, commise allo scrutinio di quella di trovare opportuno espediente per restituire nel Regno l'abbondanza ed il commercio. Esaminato l'affare, fu conchiuso d'imporre una nuova gabella per riparare in parte a perdita sì grave, poichè ripararla in tutto era impresa disperata ed impossibile. Ma s'urtava in un altro scoglio, per la difficoltà, che s'incontrava, che non v'era materia sopra dove potesse imporsi. Era il Regno gravato di tante gabelle e dazj, che quasi tutte le cose, delle quali hassi bisogno per conservar la vita, n'erano gravate: pure, consideratosi che solo i vini, che si vendevano a minuto nell'Osterie pagavano il dazio, e gli altri, che entravano nella Città per vendersi a barile, o a botte per uso de' Cittadini, non portavano peso alcuno, fu risoluto d'imporre un ducato di gabella per botte. Così fu imposta questa nuova gabella, la quale affittatasi per la somma di circa ducati novantamila l'anno, fur queste entrate assegnate a' creditori de' Banchi per la terza parte de' loro crediti, de' quali ne riceverono un'altra terza parte in moneta nuova di contanti: e si assegnarono a' Partitarj, in soddisfazione del prezzo degli argenti somministrati per la nuova moneta, le rendite de' forastieri, delle quali era stata dal Cardinal Zapatta predecessore ritenuta un'annata da riscuotersi in quattro anni. A queste ordinazioni s'aggiunse la moderazione fatta a' prezzi de' cambj, alterati ad un segno, che non potevano tollerarsi; onde si cominciò un poco a respirare, ed a restituirsi, nel miglior modo che si potè, in parte il commercio.
Ma nuovi accidenti tennero ne' seguenti anni non meno travagliato il Regno, che il Duca. Nel 1624 per un'infausta e scarsa raccolta di viveri, si vide la città in una grande angustia. Al flagello della carestia si accoppiò il timore della peste, che dipopolava la vicina Sicilia; ma rese al Duca più travaglioso il suo governo la guerra, che per lo Marchesato di Zuccarello s'accese tra il Duca di Savoja e la Repubblica di Genova, dalla quale, nel progresso di quella, per la fama del suo valore, reso celebre nelle guerre di Fiandra ed altrove, fu preso al suo servizio il nostro Maestro di Campo D. Roberto Dattilo Marchese di S. Caterina, figliuolo del Sargente Maggiore D. Alfonso, e confidatogli il comando della soldatesca pagata. Vi si aggiunse ancora l'altra guerra della Valtellina, per l'una e l'altra delle quali, per comando del Re, bisognava assistere di gente e di danaro. Mancava per sostenerle massimamente il danaro: le passate sciagure, in un governo senza economia, e con tutto ciò sempre profuso, posto in mano di Favoriti, che non come pastori legittimi, ma mercenarj, non curando le stragi e le calamità de' Popoli, aveano impoverito non meno i vassalli, che il Sovrano, e l'Erario Regale non era meno esausto che le borse de' sudditi; ma con tutto ciò il Conte Duca premeva il Vicerè, che dal Regno si spedissero milizie, e si soccorresse di danaro. Bisognò per provvedere all'estrema penuria di raccorlo con modi soavi, e che meno incomodassero i sudditi: fu per ciò ritenuta in due volte la terza parte dell'entrate d'un anno, che i creditori della Corte tenevano assegnate sopra le gabelle e fiscali, dato loro l'equivalente sopra il nuovo dazio del cinque per cento, aggiunto alle Dogane del Regno. Dall'entrate de' forestieri si tolsero venticinque per cento, e fu ordinata l'esazione di due carlini a fuoco.
Per raccor gente fu conceduto il perdono a tutti i delinquenti, contumaci e banditi, che andassero ad arrolarsi sotto l'insegne. Raccolte le soldatesche, fecene il Duca mostra sul piano del Ponte della Maddalena: oltre le milizie Spagnuole, ed i Reggimenti italiani de' Maestri di Campo Carlo di Sangro, ed Annibale Macedonio, si videro in buon'ordinanza schierati i Battaglioni delle province di Principato citra e Basilicata, sotto il comando del Sargente Maggiore Marco di Ponte: quello del Contado di Molise e Capitanata, sotto il comando del Sargente Maggiore D. Pietro de Solis Castelbianco: l'altro di Principato ultra, era condotto dal Sargente Maggiore D. Antonio Caraffa Cavaliere di S. Giovanni: quello di Terra di Lavoro, era guidato dal Sargente Maggiore Vespasiano Suardo; e quel di Terra di Bari dal Sargente Maggiore Giantommaso Blanco.
Oltre a ciò furono raccolti seimila altri uomini dalle Comunità del Regno, tassate a dar questo numero a proporzione de' fuochi; e questi furono parimente spediti sotto il comando de' Maestri di Campo D. Antonio del Tufo, e D. Roberto Dattilo, quello stesso, che poi fu richiesto al servizio de' Genovesi, come di sopra s'è narrato; ed il Principe di Satriano D. Ettore Ravaschiero guidò pure sotto la sua scorta altre squadre.
A queste spedizioni fatte dal Duca d'Alba s'aggiunse l'aver egli proccurato un donativo dalla città di centocinquantamila ducati per supplire alle spese di queste guerre, per le quali non tralasciarono di somministrare altri ajuti molti Titolati e Cavalieri napoletani. E fu duopo al Duca d'accorrere a' bisogni non solo delle guerre d'Italia, ma insino a Fiandra mandar dal Regno gente e denaro.
Nè pur di ciò sazio il Conte Duca, poichè le guerre d'Italia tuttavia continuavano, e n'andavano sempre mai pullulando altre nuove, avea mandato