L'Ombra Del Campanile. Stefano Vignaroli

L'Ombra Del Campanile - Stefano  Vignaroli


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preziosi e pezzi d’artiglieria. Dal canto suo, il Montacuto, non fidandosi appieno della parola del Cardinale, ritirò il grosso dell’esercito, ma lasciò una guarnigione a Jesi, che se ne sarebbe andata solo dopo che la città sconfitta avesse versato quanto pattuito.

      In quei giorni, Artemio Baldeschi era stato troppo concentrato sul corso degli eventi, per badare a quanto stessero facendo sua sorella e sua nipote, e non si era neanche accorto che la ragazza, da quel famoso giovedì sera, era scomparsa. Dell’assenza si erano ben rese conto le due serve, la bionda e la mora, Mira e Pinuccia, che aspettavano la sicura sfuriata del Cardinale nel momento in cui l’avesse alla fine notata. Le due ancelle sapevano bene che, da quella sera, Lucia era rinchiusa nella dimora dei Franciolini, intenta a curare Andrea, ferito gravemente nello scontro con il nemico, e sapevano bene che se lo zio della ragazza lo fosse venuto a sapere si sarebbe infuriato ancor di più.

      La sera della festa, Lucia, finitasi di vestire, era uscita sul balcone del palazzo che si affacciava sulla piazza sottostante e che dominava la stessa, per osservare il corteo del nobile Franciolini che arrivava sul lato opposto, da Via delle Botteghe. Era l’imbrunire e sembrava che tutto andasse bene, che tutto fosse tranquillo, e la brutta sensazione che aveva provato poco prima era già svanita. Ma all’improvviso, da Via del Fortino, erano cominciati a sbucare uomini armati, via via sempre più numerosi, che avevano ingaggiato subito battaglia con gli uomini del corteo al seguito del Capitano del Popolo. Aveva visto il suo amato Andrea colpito dalle frecce, e aveva visto Guglielmo colpito a morte alle spalle. Quel vigliacco con un’enorme spada aveva approfittato di un suo momento di distrazione, per aver visto il figlio ferito, per colpirlo da dietro. Lucia non poteva assistere impotente a quell’orrore, doveva correre in aiuto di Andrea, che oltre le frecce, era oppresso dal peso del suo cavallo che gli era rovinato addosso, forse senza vita. Si precipitò giù per le scale e guadagnò l’androne; stava per aprire il portone d’ingresso quando si rese conto che i combattimenti ormai imperversavano in tutta la piazza e che non era il caso di uscire da lì. Entrò nelle stalle e individuò la porticina laterale di servizio, quella utilizzata dagli stallieri, che dava sul vicolo. La porta di legno era sprangata con un catenaccio dall’interno, le fu facile aprirla e ritrovarsi in una viuzza buia e puzzolente, a pochi metri di distanza dall’antica cisterna romana. Pochi passi e sarebbe stata in Piazza, dal lato della chiesa di San Floriano. Per non farsi notare dalla ressa di combattenti, e attraversare la piazza indenne, doveva utilizzare uno stratagemma. Giusto qualche giorno prima, la nonna le aveva insegnato una specie di incantesimo di invisibilità. Non che questo la rendesse proprio invisibile nel vero senso della parola, ma faceva in modo che potesse passare inosservata agli occhi degli altri. Sperò che funzionasse, recitò la formula e iniziò ad attraversare la piazza, tenendosi sempre rasente ai muri, prima del convento, poi della chiesa di San Floriano, poi di quelli di un palazzo di recente costruzione, poi di Palazzo Ghislieri, giungendo all’angolo dove sia Via del Fortino che Via delle Botteghe sbucavano nella piazza. Se fosse giunta fin lì grazie all’incantesimo di invisibilità o perché nessuno si era curato di lei in quanto indaffarato nella battaglia, non le era dato saperlo. Fatto sta che era giunta accanto al suo amore agonizzante. Ben quattro frecce l’avevano colpito, due alla gamba destra, una alla spalla sinistra, l’ultima trapassava da parte a parte il braccio destro all’altezza del muscolo bicipite. Aveva perso parecchio sangue, ed era in stato di semi-incoscienza, la gamba sinistra schiacciata contro il selciato dal peso del tronco del cavallo. Lucia si concentrò sulla bestia morta, ordinando con la mente la sua parziale levitazione. Il cambiamento di posizione dell’animale fu quasi impercettibile, ma bastò a far sì che, iniziando a tirare Andrea afferrandolo sotto le ascelle, la ragazza riuscisse a liberarlo da quell’infelice posizione. Gli occhi del giovane, come per incanto, ripresero luce, fissando quelli della ragazza per un attimo che lei ritenne sublime, poi si ribaltarono all’indietro, mentre Andrea perdeva del tutto conoscenza. Lucia non disperò, appoggiò due dita sulla doccia giugulare del suo amato e poté avvertire una sia pur fievole pulsazione.

      Non tutto è perduto, pensò. Ancora la vita non lo ha abbandonato! Ma devo agire in fretta se voglio portarlo in salvo.

      Confidando nei suoi poteri, ma anche e soprattutto nella forza della disperazione e nel profondo amore che già per la seconda volta le avevano ispirato gli occhi di lui, caricò il suo corpo inerte sulle sue spalle, rendendosi conto che non stava neanche facendo uno sforzo sovrumano. Estese l’incantesimo di invisibilità al suo giovane amore e si diresse giù per la Costa dei Longobardi, per raggiungere Palazzo Franciolini. Nessuno degli uomini che stavano combattendo per strada li degnò di uno sguardo, continuando a incrociare le armi e battersi come se Lucia, con il suo pesante fardello, neanche esistesse. Quando fu dinanzi al portone della dimora di Andrea, adagiò in terra il suo corpo esanime e si soffermò ancora una volta su quella piastrella decorata che tanto l’aveva incuriosita, quella rappresentante un pentacolo a sette punte. Ma non era il momento di lasciarsi prendere dalle distrazioni. Afferrò il batacchio attaccato al portone e iniziò a bussare con quanta forza ancora aveva. Uno dei servi di casa Franciolini, un moro muscoloso con un turbante in testa, che il Capitano del Popolo aveva acquistato come schiavo in un suo viaggio a Barcellona, aprì il portone giusto di uno spiraglio, per assicurarsi che non fossero i nemici a bussare alla porta. Quando si rese conto della situazione, in un batter d’occhio, fece entrare la ragazza e trascinò dentro il giovane padrone.

      «Per Allah e per Maometto, sia benedetto il loro nome, possa essere io perdonato per averli nominati. Che ne è del Capitano?»

      «Il Capitano è morto e se, anziché perder tempo a invocare le tue divinità, non farai quello che ti dico, la stessa fine sarà riservata anche al tuo giovane padrone!»

      «Non sembra che ci sia molto da fare per lui. Fra qualche istante la sua anima lo lascerà per ricongiungersi a quella dei suoi avi, e di suo padre, che Allah lo abbia in gloria.»

      «Non era musulmano, quindi Allah non lo avrà in gloria. Possiamo fare ancora qualcosa per lui. Portalo in camera e adagialo sul suo letto, poi segui le mie istruzioni e lasciaci soli.»

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      CAPITOLO 3

      

      

      Alì fece esattamente ciò che Lucia gli aveva ordinato. Nella dispensa aveva trovato tutte le erbe che occorrevano alla ragazza, compresa la corteccia di salice, di cui non aveva ben chiara la funzione. In cucina non si sarebbe mai utilizzata, eppure i suoi padroni ne tenevano una buona scorta in vasetti sigillati con cura. Solo allora, il servitore moro si era accorto che la dispensa era più un’erboristeria che non un deposito di cose mangerecce. C’erano anche quelle, sì, ma molte delle erbe contenute nei vasetti sapeva bene fossero utilizzate da ebrei e fattucchiere a scopi contrari agli insegnamenti sia della sua religione, che di quella cattolica. In fin dei conti, il Dio cristiano e quello musulmano si assomigliavano molto e, se un uomo era destinato a morire, il proprio Dio lo avrebbe preso comunque in gloria e sarebbe stato felice accanto a lui. Non si poteva pretendere di salvare la vita a chi era già destinato a raggiungere il proprio Padre Onnipotente nel regno dei cieli. Questo pensava Alì, mentre attraversava la Piazza del Palio e risaliva a grandi falcate la Costa dei Pastori, guardandosi bene di non imbattersi nei tafferugli che si erano estesi fin lì. Si fermò davanti al portone indicatogli, quello sulla cui testata era riportata la scritta “Hic est Gallus Chirurgus”.

      Un altro stregone!, rimuginò Alì tra sé e sé. Si fa chiamare chirurgo, ma so bene che è il fratello di Lodomilla Ruggieri, la strega arsa viva in Piazza della Morte qualche anno fa. Se non presto attenzione e non cerco di allontanarmi da questa gente, finirò anch’io i miei giorni su una catasta ardente. E anche i miei padroni ci sono dentro fino al collo, lo capisco solo ora che razza di eretici ho servito per anni!

      Poi


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