L'Ombra Del Campanile. Stefano Vignaroli
prese la mano del giovane tra le sue, cercando di tranquillizzarlo e, nel contempo, godendo di quel contatto fisico.
«Dovete stare tranquillo, o piomberete di nuovo nell’incoscienza e nel delirio febbrile. E non dovete inveire contro Alì. Se non fosse per lui sareste già sottoterra! In quanto a me… Beh, io sarei Lucia Baldeschi, la vostra promessa sposa.» Pronunciando queste parole, un lieve rossore si impossessò delle gote della ragazza, che poté in quel momento affondare i suoi occhi nocciola in quelli azzurri del giovane, occhi magnetici, che attraevano il suo viso, le sue labbra tutto il suo corpo verso di lui.
«Non immaginavo che il Cardinale mi volesse riservare un simile dono. Ma non è che mi state mentendo? Il nemico ci ha travolto poco prima di raggiungere il palazzo del Cardinale, e credo proprio che questi non sia estraneo all’imboscata!» Con la forza della rabbia, si tirò un poco su, e Lucia si affrettò a disporgli i cuscini dietro la schiena per aiutarlo a sostenersi. «Lo dovevo immaginare che era un trucco, altro che matrimonio politico! Vostro zio si è messo d’accordo con i nemici, per uccidere mio padre, me, disperdere la mia famiglia e accentrare su di sé i poteri civili e religiosi, una volta liquidati col denaro gli invasori. Ma quali invasori? Il Duca di Montacuto e l’Arciduca di Urbino erano di certo d’accordo con lui! Scommetto che anche mia madre non si sa dove sia, magari rapita, o forse uccisa anche lei dal nemico. E tu?» Dopo essere passato al “voi” di rispetto era tornato a rivolgersi a Lucia dandole del “tu”, come si faceva con la servitù. «Non sei la nipote del Cardinale Baldeschi, non puoi esserlo, egli non permetterebbe mai che sua nipote stia qui accanto a me. Tu sei una serva, una sgualdrina inviata dal Cardinale perché non sono ancora morto e devi cogliere l’occasione buona per finirmi. Coraggio, allora! Dove nascondi il pugnale? Piantalo nel mio petto e facciamola finita, tanto queste ferite mi porteranno alla morte nel giro di qualche giorno. E allora tanto vale abbreviare le sofferenze.»
Così dicendo afferrò il braccio di Lucia e la tirò verso di sé. Si ritrovarono con i rispettivi volti a pochissima distanza tra loro, ognuno sentiva il respiro ansimante dell’altro sfiorare la propria guancia. Lucia lesse negli occhi del giovane Franciolini la paura di morire, non la cattiveria. L’istinto sarebbe stato quello di ritrarsi, e invece fece il contrario, poggiò delicatamente le sue labbra su quelle di lui, non fece neanche in tempo ad avvertire la ruvidità della barba non rasata da qualche giorno, che fu travolta in un vortice di lingue che si aggrovigliavano tra loro, mani che cercavano la pelle nuda sotto i vestiti, carezze che l’avrebbero isolata dalla realtà per raggiungere altezze celesti, e poi sensazioni mai provate prima, fino a un intenso piacere, accompagnato però da un profondo dolore. Ora il sangue era il suo, e proveniva dalle sue parti intime violate da quel dolce incontro; non aveva mai provato niente di simile in vita sua, ma si sentiva appagata.
«Come vi ha potuto solo sfiorare il pensiero che io fossi qui per uccidervi? Vi amo, vi ho amato fin dal primo momento che vi ho visto, qualche giorno fa, che uscivate da questo palazzo in sella al vostro destriero. Vi ho salvato la vita, vi ho curato, e ora voi mi avete reso donna, e io ve ne sono grata.»
Si finì di liberare dei vestiti e, del tutto nuda, si infilò nel letto accanto al suo amore. Gli aprì la camicia da notte, cominciò a carezzargli il petto, a baciarglielo, poi prese la mano di lui e la guidò a sfiorare i suoi turgidi capezzoli. E furono baci e carezze e sospiri, per interminabili e magici minuti. Poi lei si mise a cavalcioni sul ventre di lui e, guidata dall’istinto che le diceva di fare così, iniziò a dondolare su e giù, prima lentamente, poi sempre più velocemente.
L’orgasmo fece sprofondare di nuovo Andrea nell’incoscienza. La ragazza avrebbe voluto parlargli con dolcezza, ma con in mente il chiaro obiettivo di portare il discorso sui simboli legati allo strano pentacolo a sette punte, visto nei sotterranei della cattedrale, riportato sul portale di Palazzo Franciolini e richiamato da Andrea nei suoi deliri. C’erano tanti argomenti di cui avrebbe voluto parlare insieme a lui, adesso che si era ripreso, ma in quel momento era di nuovo impossibile.
Mentre Lucia recuperava i suoi vestiti dal pavimento e si risistemava, provando ancora in grembo sensazioni che stimolavano la pulsazione delle sue zone intime, alle sue orecchie giunsero voci concitate dall’ingresso del palazzo.
«Non potete entrare in questa dimora, non ne avete il permesso!», stava urlando Alì. Poi la sua voce si affievolì fino a spegnersi.
«Arrestate il moro, uccidetelo se oppone resistenza. E perlustrate l’abitazione. Il Cardinale rivuole subito la signorina Lucia a palazzo. In quanto al giovane Franciolini, se è ancora vivo, arrestatelo senza fargli del male. Dovrà essere processato per alto tradimento ed eresia. Non saremo noi a ucciderlo, ma la giustizia, quella divina e quella degli uomini. E la punizione sarà esemplare, per far capire al popolo a chi bisogna essere sottomessi: a Dio e a Sua Santità il Papa!»
Lucia aveva appena riconosciuto la voce di chi aveva pronunciato queste ultime parole, il Domenicano Padre Ignazio Amici, che insieme al suo zio presiedeva il locale tribunale dell’Inquisizione, quando la porta della stanza si spalancò e sul suo arco si disegnarono i ghigni soddisfatti di due guardie armate.
CAPITOLO 4
La cultura è l’unica cosa che ci rende felici
(Arnoldo Foà)
Il suono insistente della sveglia riuscì a catapultare di nuovo Lucia nella realtà quotidiana. Con la stessa mano con cui aveva messo a tacere la suoneria, a tentoni aveva trovato sul comodino il pacchetto delle sigarette. Era ormai sua consuetudine accendere la prima sigaretta appena sveglia, ma negli ultimi tempi lo faceva addirittura ancor prima di abbandonare il letto. Poi raggiungeva il bagno con il bastoncino fumante in bocca, si dedicava alla toilette e al trucco aspirando ogni tanto un’ampia boccata di fumo, gettava la cicca nel water e guadagnava la cucina per prepararsi il caffè, bevuto il quale accendeva un’altra sigaretta, concentrandosi sulla nuova giornata lavorativa che l’attendeva. Sul posto di lavoro non le era concesso fumare, per cui, se anche ogni tanto le passava per la testa che quel vizio a lungo andare sarebbe stato ben nocivo, buttava dietro le spalle qualsiasi remora mentre guardava la punta rossa illuminarsi ogni volta che aspirava.
Il mio corpo ha bisogno della sua dose di nicotina, alla faccia di quel puritano del decano della fondazione!, si ritrovava spesso a pensare Lucia, accendendosi la terza sigaretta della giornata, quella che le consentiva un appagamento tale da poter arrivare a un’ora decente senza dover uscire dal suo posto di lavoro prima della pausa prevista per la colazione. Nell’anno 2017 la primavera era stata molto piovosa e, nonostante fosse la fine di maggio, la temperatura non aveva ancora raggiunto le medie estive; così, soprattutto la mattina all’ora di uscire, faceva ancora fresco, ed era difficile decidere quale fosse il vestito più adatto da indossare. Una rapida occhiata al guardaroba, mentre indossava un collant leggero, color carne, quasi invisibile, fece cadere la scelta per quel giorno su un abito rosso, a manica lunga ma non invernale, della lunghezza adatta a lasciare scoperte le gambe poco al di sopra del ginocchio. Un filo di rossetto, due colpi di spazzola ai capelli castani naturalmente ondulati, una linea di matita a sottolineare il nocciola dei suoi occhi, un’ultima tirata dalla sigaretta, la cui cicca rimaneva fumante nel posacenere, e