L'Ombra Del Campanile. Stefano Vignaroli

L'Ombra Del Campanile - Stefano  Vignaroli


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da Jesi, le faceva tornare alla mente il rito con cui, alcuni mesi prima, era entrata ufficialmente a far parte della setta delle streghe adoratrici della “Buona Dea”. Qualche giorno prima dell’equinozio di primavera, la nonna aveva detto a Lucia di tenersi pronta, in quanto la notte del 21 marzo avrebbero raggiunto le altre adepte e adepti della congrega su a Colle del Giogo, nelle montagne di Apiro.

      «Lo zio dice che sono riti pagani, che la maggior parte degli adepti sono eretici e stregoni da mandare al rogo.» Lucia aveva un po’ timore, ma la curiosità prevaleva sulla paura. «Non credi che sia pericoloso partecipare a questa riunione, a questo Sabbah, come lo chiami tu?»

      La nonna si era stretta nelle spalle, come a dire che se ne infischiava alquanto di ciò che pensava il fratello, e le aveva risposto con molta naturalezza.

      «Quando parliamo di divinità, parliamo di entità soprannaturali, che con la loro infinita bontà possono indicarci vie da seguire, strade che solo con i nostri occhi non riusciremmo mai a vedere. Ora, se il vero Dio è il Padre Onnipotente proclamato dal tuo zio, lo Jahvè invocato dall’ebreo che abita nella casetta giù vicino al fiume, l’Allah in cui credono i Musulmani, lo Zeus dei greci o il Giove degli antichi Romani, dov’è la differenza? Ognuno può chiamare Dio a modo suo e riceverne gli stessi favori, indipendentemente dal nome con cui si rivolge a lui. E se siamo uomini e donne qui in terra, anche in cielo, o nell’Olimpo, o nel giardino di Allah, ci saranno delle divinità donne. Quella che noi adoriamo come la “Buona Dea” era conosciuta ai Romani col nome di Diana. Guarda, guarda la facciata del nostro palazzo. Guarda in alto: che cosa vedi in una nicchia tra le finestre dell’ultimo piano?»

      «L’immagine sacra della Madonna, di Maria, della madre di Gesù, accompagnata dalla scritta “Posuerunt me custodem”, posero me a custodia di questa dimora.»

      «E quindi qui è la Madonna, la Santa Vergine che veneriamo. Ma ricorda che tutti i luoghi sacri a noi che ci definiamo cristiani, cattolici, sono stati eretti sopra antichi templi pagani, e le antiche divinità sono state sostituite con le nuove. La stessa cattedrale qui a fianco è stata edificata al di sopra delle antiche terme romane, e la posizione della cripta corrisponde all’ubicazione del tempio che i romani avevano dedicato alla Dea Bona, altro nome di Diana. Come vedi, molto accomuna le diverse religioni. Nello stesso luogo dove ci recheremo fra qualche giorno, l’antica immagine della Buona Dea è stata sostituita da una statuetta della Madonna, all’interno di un tabernacolo. Il luogo è comunque sacro, e magico, e c’è sempre qualcuno che adorna l’immagine con gigli freschi e colorati. È il nostro modo di continuare ad adorare la Dea, anche se sotto l’immagine di Maria, madre di Gesù.»

      Lucia riteneva che la nonna avesse una cultura non indifferente, forse per aver avuto accesso alla lettura di libri proibiti, conservati nella biblioteca di famiglia. Forse era riuscita ad attingere al sapere custodito gelosamente sotto chiave dallo zio Cardinale, magari a insaputa di quest’ultimo, o forse perché decenni addietro, quando Elena era ancora bambina, i libri potevano essere consultati senza problemi. Poi Artemio si era arrogato il titolo di Inquisitore e aveva messo sotto chiave tutto quello che era contrario alla Fede ufficiale. Ed era andata bene che non avesse fatto un gran falò di quei preziosissimi testi, come aveva sentito avessero fatto altri insigni prelati in altre città d’Italia e d’Europa.

      «Ho capito, nonna, l’importante è credere nell’entità buona, che ci vuol bene e ci aiuta, a prescindere dal suo nome.»

      Al contrario di quello che Lucia si aspettava e che aveva sentito raccontare da chi temeva le cosiddette streghe, il rito si svolse in tutta tranquillità. Nessun caprone si presentò a reclamare la sua verginità, né nessuno dei partecipanti si sognò di seviziarla o di farle firmare giuramenti con il suo sangue. Il cammino per raggiungere Colle del Giogo non era stato agevole. Passata la chiusa di Moje, il sentiero che costeggiava la riva del fiume Esino spesso si perdeva in mezzo alla boscaglia. Lucia non riusciva a capire come facesse la nonna a non perdersi e a ritrovare la traccia dell’antico sentiero anche dopo aver brancolato per parecchie leghe nel bosco, senza apparenti punti di riferimento. A un certo punto dovettero guadare il fiume e continuare in salita per una sterrata che risaliva la conca scavata da un impetuoso torrente che scendeva dalla montagna. Giunsero ad Apiro all’ora di pranzo e furono ospitati da una coppia di giovani coniugi, Alberto e Ornella, che offrirono loro pane nero e carne di capriolo essiccata. I due avevano una bimba di circa tre anni, due grandi occhi azzurri e i capelli dai fluenti riccioli castani; giocava con una bambola di pezza vicino al focolare, divertendosi a vestirla con minuscoli abiti colorati, realizzati con semplici pezzi di stoffa. Sembrava se ne infischiasse di quanto si preparassero a fare i suoi genitori, insieme ai nuovi arrivati, per la sera stessa.

      «Come farete con la bimba?», chiese Elena alla giovane coppia.

      «Oh, non c’è problema, alle sette la piccola è già nel mondo dei sogni nel suo pagliericcio. E comunque abbiamo chiesto a Isa, la nostra vicina, di venire a darle un’occhiata. Lo farà di buon grado!»

      Lucia, che aveva sempre dormito in un comodo letto, non si capacitava di come facesse questa gente a dormire in quei mucchi di paglia intrecciata.

      Saranno pieni di pulci!, pensava, rabbrividendo alla sola idea che la notte successiva le sarebbe toccato in sorte di doverci dormire anche lei. Meglio morta che coricarsi in uno di quei cosi.

      La cerimonia di iniziazione della nuova adepta si svolse secondo un’antica ritualità. Era notte fonda quando Lucia e la nonna, in compagnia dei loro ospiti, si immersero nel freddo pungente della montagna. I campi erano ancora ricoperti di un leggero strato di neve e la via era illuminata dal disco luminoso della luna piena che splendeva enorme in cielo, come la ragazza non l’aveva mai vista. Salendo verso Colle del Giogo, in certi punti si poteva sprofondare nella neve fino al ginocchio ed era faticoso andare avanti, ma giunti alla radura cui erano diretti, Lucia si meravigliò di come il luogo fosse quasi del tutto sgombero dalla bianca coltre e il prato fosse costellato di piccoli e numerosissimi fiori colorati, bianchi, lilla, fucsia, viola, gialli…

      «Li chiamano bucaneve, perché sono i primi fiori che spuntano appena comincia a sciogliersi la neve, ma il loro vero nome è “Crocus” e i loro stimmi essiccati possono essere utilizzati sia come condimento in cucina, sia per le loro proprietà medicamentose.»

      «Nonna, come mai in questo luogo la temperatura sembra più gradevole?», chiese la ragazza, curiosa.

      «Si dice che sia un luogo magico, ma in realtà la temperatura è mitigata grazie alla presenza di una sorgente di acqua calda. Qui il sottosuolo è ricco di risorgive sulfuree, ed è per questo che la temperatura è un poco più alta. Da oggi in poi imparerai che la maggior parte dei fenomeni che la gente comune indica come “magici” abbiano in realtà una spiegazione logica, razionale: basta saperla cercare. Ci additano come streghe, ma non facciamo altro che sfruttare conoscenze antiche e fenomeni naturali per i nostri scopi. Vedi, si dice che circa trecento anni or sono sia giunta in questo remoto luogo una delle mogli di Federico II, l’imperatore di Svevia, per celare qualcosa che il suo marito le aveva detto di custodire gelosamente, in quanto proveniva direttamente dalla Terra Santa, da Gerusalemme. Le leggende e le tradizioni vogliono che questo oggetto fosse una pietra magica, una pietra che l’arcangelo Michele avrebbe consegnato ad Abramo o, forse, addirittura la cosiddetta pietra filosofale che cercavano gli antichi alchimisti. Questa è una favola, la verità la conoscerai fra poco. E ora, entriamo nella grotta. Non facciamoci attendere!»

      La più anziana delle partecipanti era una donna dai lunghi capelli grigi, la pelle del viso raggrinzita dalle rughe. Indossava una lunga tunica azzurrina sopra la quale, all’altezza del petto, scintillava un talismano dorato assicurato al collo da una catena anch’essa in oro lavorato. Aveva acceso un falò all’interno della grotta, gettando ogni tanto nelle fiamme delle polveri che di volta in volta provocavano una fiammata di colore diverso, ora gialla, ora verde, ora azzurra, ora di un rosso intenso. Per ogni fiammata che illuminava il suo viso, pronunciava delle strane parole, che gli altri presenti interpretavano disponendosi intorno al falò, ora prendendosi per mano e ruotando in circolo, ora allontanandosi e inchinandosi al volere della Vecchia Saggia, ora prendendo


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