La casa e la famiglia di Masaniello. Bartolommeo Capasso

La casa e la famiglia di Masaniello - Bartolommeo Capasso


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allora prete, e che in sul principio fu l'anima e la mente della rivoluzione. Altri dottori mascherati si trovarono pure in casa di Masaniello in queste deliberazioni, e credesi che fossero Onofrio di Palma, Salvatore di Gennaro, e specialmente Vincenzo d'Andrea, che poscia ebbe tanta parte nel seguito della rivoluzione, ed indi anche nel ristabilimento degli Spagnuoli[94].

      Qui pure a 13 luglio la gente del Mercato vide strano e curioso spettacolo. Il Vicerè dopo aver giurato i Capitoli nel Duomo, verso la sera di quel giorno per le vie del quartieri popolari di Napoli se ne tornava al regio palazzo. La cavalcata procedeva collo stesso ordine che aveva tenuto nell'andata. Si apriva con molti reali trombetti e con una compagnia di cento cavalli comandata dal suo capitano e dai rispettivi aiutanti. Succedevano indi parecchi Capitani delle 29 Ottine, in cui Napoli era allora divisa, dopo i quali Masaniello montato sopra un cavallo bianco, dono del vicerè, vestito di lama d'argento bianca, con un cappello in testa ornato parimente di piume bianche, augurio e simbolo di pace, e colla spada nuda tra le mani si dimostrava, a tutti riguardevole; e per la testimonianza di uno scrittore contemporaneo, e Spagnuolo di nazione, manifestava eccessi di varie virtù bastanti ad indurre il popolo all'applauso, l'Italia all'ammirazione, ed il mondo tutto ad uno stupore infinito ed incredibile[95]. A fianco a lui cavalcava Giovanni d'Amalfi, suo fratello puranche vestito di lama d'argento, ma di color cilestro, ed immediatamente dopo Francesco Antonio Arpaia, il nuovo Eletto del popolo, con due segretarii; d. Giulio Genoino che veniva appresso per la sua grave età condotto in una sedia di cuojo nero. Seguiva indi il capitano delle guardie di palazzo d. Diego Carriglio con quattro alabardieri, i quali precedevano la carrozza del vicerè tirata da sei cavalli, e circondata da paggi e palafrenieri e dai medesimi soldati Alamanni, che in quei tempi formavano la guardia d'onore del Vicerè. Molte carrozze chiudevano il corteggio, in cui erano i reggenti del Collaterale, i Consiglieri di Stato ed i Gentiluomini della Corte del Duca.

      La cavalcata uscita dal Duomo aveva girato per la via Tribunali, per la Nunziata, e pel Lavinaro. Tutte le strade, per le quali passava, erano addobbate di tappezzerie, e, dove non si aveva di meglio, da bianche lenzuola, e le case avevano sulle porte le armi di Spagna da un lato e quelle del Popolo dall'altro[96]. Di quando in quando lungo il cammino s'incontravano sotto baldacchini di seta o di damasco i ritratti di Carlo V e di Filippo IV[97] che erano fatti segno alla pubblica venerazione[98]. I popolani armati sotto le rispettive insegne facevano ala al passaggio. Era un tripudio, una gioia universale. Tutte le campane delle chiese suonavano a festa, ed i gridi di viva il Re di Spagna ed il Duca d'Arcos, ai quali dava il cenno Masaniello istesso, si avvicendavano col suono dei tamburi, con i clangori delle trombe, e collo sparo festivo dei moschetti, che secondo gli usi della milizia salutavano il Vicerè nel suo passaggio.

      Giunti innanzi alla chiesa del Carmine, fosse arte dello astuto spagnuolo, il quale intendeva con ogni modo a gratificarsi la plebe, fosse caso o ordine di Masaniello stesso, la cavalcata volgendo a dritta prese a girare intorno la piazza del Mercato. Così passava per sotto la casa di Masaniello, ove alle finestre stava la moglie di lui Bernardina Pisa, giovine, bella ed avvenente, la quale vestita di damasco turchino guarnito di una sola guarnizione e con una collana d'oro al collo[99], secondo l'antico costume del nostro popolo nelle grandi occasioni di festa e di allegrezza, gettava con un bacile di argento ai lazzari ed ai monelli colà raccolti grano, confetti, e danaro[100].

      Il Duca d'Arcos, addatosi della persona di lei, o forse dimandatone a chi n'era informato, nel passare la salutò, cavandosi il cappello, come se fosse una delle più grandi dame della città[101]. Così egli, come dice il buon prete Pollio, che non poteva con più enfatica parola compendiare la grandezza e la singolarità del fatto, volle vedere Masaniello trionfante nella sua propria casa, ed indi fra gli applausi e le festive dimostrazioni del popolo, essendosi la città tutta per l'avvicinarsi della sera straordinariamente illuminata, verso le ore due della notte si ridusse al regio palazzo.

      Ma la povera casa venne tosto in uggia al Capitan generale del popolo. Allorchè la gran mole dei pensieri, la lunga inedia, l'abuso del vino e le veglie protratte, e forse, più che tutto ciò, il veleno dell'adulazione, di cui era stato così largamente abbeverato dal Vicerè, perturbarono il suo cervello, egli ordinò — e guai a chi non avesse subito ubbidito — che fra lo spazio di 24 ore tutti quelli che dimoravano allato o di contro la sua casa, avessero le proprie abitazioni sgomberate[102]. Ivi egli disegnava ergere un maestoso palazzo che fosse degna dimora di uno, il quale aveva tanta potenza ed autorità sul popolo. La fine immatura di lui, chè non andò guari e vituperosamente cadde ucciso, troncò a mezzo il superbo disegno.

      L'ultima volta che egli si mostrò alle finestre di quella casa fu nella vigilia della sua morte. Era alta la notte; il silenzio e la quiete succedevano ormai ai tumulti ed agli schiamazzi della giornata, ed i lazzari sdraiati nel torno ai fuochi, che sparsi per la piazza o posti nel capo d'alcuni vicoli della Conceria e dell'Orto del Conte cominciavano ad impallidire e ad estinguersi, chiudevano gli occhi al sonno. Poche scolte appoggiate al moschetto o alla picca guardavano mezzo assonnate la brace, che di quando in quando, gettando una fiamma più viva, illuminava fantasticamente i volti, e le bizzarre posture di quei plebei. Era uno spettacolo degno del pennello di Gherardo Hontorst o delle stile di Hoffman. Le guardie si vedevano più numerose intorno la casa di Masaniello, ove vegliavano sei compagnie comandate da Pione o Scipione Giannattasio del Lavinaro e da altri capitani più fedeli. Componevansi di giovanetti da 16 a 22 anni, antichi compagni del pescivendolo, per lo più cenciaiuoli o saponari, che portavano ordinariamente come special distintivo il graffio e la sporta. Lungo le mura delle case qualche rara ombra cercava di strisciare inosservata. Era Vanni o Giovanni Panarella della Conceria, o taluno di quelli che col Vicerè avevano concertato la morte di Masaniello, e cercavano l'opportunità di mandare ad effetto il loro disegno.

      Balzato improvvisamente dal letto così com'era, in camicia, Masaniello si fece alla finestra, ributtando la povera madre e la moglie che cercavano di ritrarnelo, e dato il suo solito grido di comando, così cominciò a parlare[103]: “Popolo mio, (in questo modo egli soleva apostrofare i suoi seguaci e la gente che intorno a lui radunavasi) lascia che io ti dica due parole per mia soddisfazione. Tu ti ricordi, popolo mio, in che stato eri ridotto per le tante gabelle ed estorsioni, e per le tante tirannie, con le quali gl'infami traditori e nemici della patria ti opprimevano. Ti ricordi che non potevi saziarti di quelle frutta, di cui tanta copia ti dà questa terra benedetta, perchè dovevi pagare quelli arrendatori e gabelloti che ti dissanguavano. Ed ora la mercè di Dio e della SS. Vergine del Carmine (ed in così dire si toccava l'abitino che dal petto gli pendeva) tu guazzi e vivi nell'abbondanza e nella grassa, senza gabella e senza gabelloti. Ma per mezzo di chi, popolo mio, hai tu ottenuto tutto ciò? Chi ti ha levato da tante oppressioni e tirannie se non io che non ho risparmiato travaglio e pericolo alcuno per liberarti? E pure qual mercede ne ricevo da te, popolo ingrato! Dopo tutti questi servigii che io così fedelmente ti ho prestati, dopo tanti benefizii che ti ho fatti, ecco in che modo ne son riconosciuto da te. Oggi coll'abbandono e col disprezzo, dimani colla morte, perchè io so che sarò ucciso fra poco. Popolo mio, io son morto, ho visto che fino la montagna di Somma (il Vesuvio) mi è contraria, ed ha vomitato sopra di me un diluvio di fuoco. Ecco, vedete, io non ho più carne (e mostrava il petto ignudo) e questa pelle è solamente informata dalle ossa. Credetemi, io so chi è stato che mi ha ridotto in questa misera condizione, chi congiura per finirmi, e potrei anco annichilarlo. Pure io lo perdono, e voglio che questo Cristo anco lo perdoni„. Così dicendo, levò il crocifisso che avea tra le mani per benedire il popolo e soggiungeva: “Ecco che io ti voglio fare cinque benedizioni per le cinque piaghe di questo Cristo, anzi sette per le sette allegrezze, nò, voglio essere più liberale, sieno nove per li nove misteri„. E così fece, ed indi lasciando il Crocifisso, volle che portassero alla finestra tra due torce accese le teste del Duca di Maddaloni e del padre di lui che erano staccate dai loro ritratti, opere del cav. Massimo Stanzioni o di altro famoso pennello, e gridò: “Orsù, popolo mio, ecco i traditori della patria; io so che domani debbo essere ucciso, ma non me ne curo; voi però dovete trascinare quest'infame di Maddaloni, e tutt'i suoi compagni per Napoli, e poi, popolo mio, se vuoi star sicuro, e farti sentire da sua Maestà, devi seguire il mio consiglio, e fare un porto di questa piazza ed un ponte da Napoli a Spagna. In quanto a me io so e son certo di essere ucciso domani„. Tutte queste parole avrebbero certo grandemente commosso il popolo


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