La casa e la famiglia di Masaniello. Bartolommeo Capasso

La casa e la famiglia di Masaniello - Bartolommeo Capasso


Скачать книгу
croce di pietra che esisteva dietro S. Eligio. Alcune fosse profonde che, fatte in origine per conservarvi granaglie, nel 1656 servirono per sepoltura ai morti di contagio in quella terribile epidemia, stavano allora quasi nel mezzo e sotto della piazza medesima. Il luogo dopo quell'epoca luttuosa fu detto i Morticelli[37]. Qui ed in alcune fogne circostanti, allorché nel 10 luglio 1647 lo stesso bandito Perrone tentò di ammazzare Masaniello, per testimonianza d'alcuni scrittori furono riposti parecchi barili di polvere affinché dandovisi fuoco nel momento in cui la piazza era maggiormente piena di popolo, i sollevati fossero massacrati e le loro abitazioni ruinate e distrutte. Fallito il colpo si ebbero il Perrone ed Antimo Grasso suo compagno coi loro seguaci condegno e terribile castigo. Nè finalmente in tutto l'ambito della Piazza mancavano posti o banchi fissi per altri venditori che non avevano botteghe o baracche; tavolilli[38], o tavolini, ove si esponevano le frutta in quadretti[39], o sia disposti ordinatamente in quadri; salmatari o ortolani che vendevano erbe ed ortaglie; e spesso anche palchi per i cerretani ed i saltimbanchi, ove si facevano balli, salti, forze d'Ercole, mattacini e commedie, le quali colla loro rozzezza e coi modi satirici ed osceni ricordavano le antiche favole Atellane.

      Era questo l'aspetto generale della Piazza verso la metà del secolo XVII.

      Ma a compimento del quadro, che io ho tentato di abbozzare, giova riferire le parole di uno scrittore contemporaneo, che descrivendo alle signore Milanesi il movimento che in essa facevasi, quando vi si teneva mercato nei giorni di lunedì e venerdì di ciascuna settimana, in questo tenore ne discorre:

      Dirò de la gran piazza del mercato

      Dove tutti vi vanno

      La settimana ogn'anno

      Due volte sempre, chi per lo suo affare

      E chi per tempo à vendere, ò comprare.

      Ivi tiensi apparato

      Il grano, e l'orgio e tutto il miglio insieme

      Nè molto indi distante

      I ceciri, i fasoli, e fave frante.

      Così gran quantità d'ogni altro seme

      Ch'à seminar convien prato, e lupini

      Con quanto è di bisogno à quei giardini;

      Cento carri di vini

      L'un dopo l'altro in ordinanza posti

      Carrichi di suoi fosti

      Colà vedrete, e quà cento facchini

      Con i barrili in spalla, ad aspettare

      S'alcun vuol comperare

      A posta sempre, sol per guadagnare.

      Più innanzi havete i lini,

      Bianchi, forti e maturi

      Mà più, che il ferro duri,

      Come gli vuole il mio napoletano

      Maturati ad Agnano;

      Tale un lago chiamato

      Ch'imbianca il lino e non lo fa salato.

      Qui porci, asini, capre, agnelli, e bovi

      In infinita quantità vedreste

      Qui cento e mille ceste

      Donna mia tu ritrovi

      Cento sporte e panari

      Di frutti e tutti rari

      E mela, e pere, e là mille sportoni

      D'uva, persiche, fichi e di melloni,

      All'altra parte poi cento montoni

      Di noci e di nocelle

      Castagne verdi, secche e mondarelle;

      Quà giumenti e cavalli

      E là galline, et oche, anatre e galli.

      Cento tende parate

      Donne mie ritrovate

      Havreste voi per vestir la famiglia

      e qui l'olive e la buona caniglia

      Molte tele vedreste

      Se comprar le vorreste

      Bianche, brunette e forti

      Di cinquecento sorti

      Come certe altre, ch'han le villanelle

      chiamate cetranelle

      che fanno invidia a quelle in fede mia,

      De la Cava, ò di santa Patricia

      Di più sarian da lor begli occhi visti

      Trecento semplicisti

      Voglio dir non dui soli

      di quei nostri herbaioli

      da cui prendon sovente i spetiali

      l'herbe atte à i servitiali

      E semplici con fior più d'una sorte

      Con cui fan spesso resistenza à morte[40]

      Ecco ora alcuni particolari degli edifizii e del vicoli, che per tutt'i lati circoscrivevano la descritta piazza. E primieramente nel sito poco più oltre, dove ora vedesi la seconda fontana verso il Carmine, esisteva allora una piccola cappella isolata e con volta arcuata col titolo di S. Croce. Essa era di palmi 20 quadrati ed aveva due porte, una dalla parte di mezzogiorno, l'altra dalla parte d'oriente. All'altare nel lato settentrionale della cappella era soprapposta una colonna di porfido alta circa palmi 10, e di palmi 4 di circonferenza, su cui sorgeva una croce di marmo, e nel muro posteriore vedevansi dipinte le imagini della B. Vergine, di S. Giovanni Evangelista, della Maddalena e di S. Orsola. Nella parete occidentale erano inoltre dipinti i fatti di Corradino di Svevia, il suo passaggio in Italia, la disfatta di Tagliacozzo, la presa dell'infelice giovine in Astura, e la morte nel campo del Moricino[41]. Per antica tradizione credevasi che questo fosse stato il luogo, ove fu decollato il misero giovanetto, di tal che un pietoso napoletano per nome Domenico Punzo conciatore di pelli, nella metà del secolo XIV vi erigeva l'accennata cappella. Ora la colonna di porfido ed un ceppo colla impresa dell'arte del Coriarii veggonsi nella sagrestia della nuova chiesa del Purgatorio al Mercato[42]. Nei tempi, di cui discorriamo, accanto alla cappella era il posto dei venditori di lino[43].

      Le case nel lato meridionale della piazza tiravano verso il Carmine più in là di quello che al presente s'inoltrano. Per allargare lo spazio innanzi al castello, parecchi fabbricati vennero in quel sito abbattuti sotto il governo del vicerè Conte di Pignoranda nel 1662. E qui nell'angolo incontro la chiesa ed il convento da una parte, e la sopradescritta cappella della Croce dall'altra[44], trovavasi allora collocata la statua di una donna incoronata e sedente con una borsa tra le mani[45]. Tenevasi allora comunemente che fosse quella l'imagine della madre di Corradino, chiamata erroneamente Margherita, la quale, venuta in Napoli per salvare il figliuolo caduto nelle mani di Carlo d'Angiò e trovatolo morto offriva i tesori portati a quest'oggetto ai frati del Carmine per l'ampliazione della loro chiesa e del convento. La statua che, non di Elisabetta madre di Corradino, ma piuttosto, come non ha guari ha dimostrato il principe Filangieri[46], era di Margherita, seconda moglie di Carlo I d'Angiò, ne' tempi successivi fu trasferita nel secondo chiostro del medesimo convento, e poi sotto la porta su cui s'erge il famoso campanile di fra Nuvolo, e di là finalmente nel Museo di S. Martino, ove ora ritrovasi.

      I vicoli, che da questo lato sboccano nella piazza, appartengono al quartiere della Conceria, che estendevasi verso mezzogiorno fino alla muraglia fatta costruire per timore dei Turchi nel 1537 dal Vicerè D. Pietro di Toledo. Da qui si usciva poi sul mare per una porta col prospetto a levante, che dicevasi della Conceria, ed era posta innanzi la chiesa di S. Caterina in foro magno; e più in là per un'altra porta che dicevasi di S. Maria a parete da una cappella di Nostra Donna ivi esistente, e della quale ora, posciaché le mura furono cangiate in abitazioni, vi rimane un semplice


Скачать книгу