L'idolo. Gerolamo 1854-1910 Rovetta

L'idolo - Gerolamo 1854-1910 Rovetta


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Quasi; ma sono nato a Padova.

      La signorina Emma (con un trasporto di entusiasmo) Venezia e Padova sono due gran belle città!

      Giordano Mari (dà un'altra rapida occhiata alla signorina Emma, pensando fra sè: è candore o civetteria?)

      La signorina Emma (continuando con vivo interesse) E le ha già scritte tutte le sue conferenze?

      Giordano Mari (crollando il capo con olimpica superiorità) Scritte? (un sorriso come sopra; un'altra crollatina di capo) Le scrivo dopo, più tardi, quando preparo il volume per l'editore: lo scriverle, non è altro che un lavoro di.... di selezione.

      La signorina Emma (con meraviglia ed ammirazione) Ma allora, Dio mio! come fa?

      Giordano Mari (dimenandosi ancora di più, quasi da riempiere, all'occhio, colle lunghe falde svolazzanti la stretta via di San Paolo) La mia conferenza non è mai nè un'opera d'arte, nè un'opera letteraria....

       La signorina Emma (interrompendolo con uno sguardo e mormorando con un sospiro che si innalzano come un'aureola di ammirazione amorosa attorno alla testa bionda, simpatica, dell'illustre pensatore) Oh! così bella! È stata tanto bella la sua conferenza!

      Giordano Mari (non dice di no, anzi pare dica di sì, e continua) Ho solo un merito, forse raro, anzi sempre più raro: la sincerità! E la sincerità è la grande bellezza (pronuncia lentissimamente e con una sapiente modulazione — bel-lez-za — fissando Emma che torna a guardar per terra); la sincerità è la grande bellezza delle anime e delle cose. No; le mie non sono conferenze; io non tengo delle conferenze (un moto stizzoso, di sprezzo. Emma torna ad alzar gli occhi ed a guardarlo incantata), io parlo soltanto perchè ho qualche cosa da dire; forse.... qualche cosa di nuovo....

      La signorina Emma (in estasi) Tutto, tanto nuovo... tutto, tanto tanto bello!

      Giordano Mari. Certo qualcosa di.... di sincero (continuando a gonfiarsi a vista d'occhio). Come parlo per un'ora, potrei parlare per due, per tre, per un giorno di seguito.

      Guido Bardi (con un sorrisetto sarcastico, sottovoce: facendo sorridere donna Fanny) As-sas-si-no!

      Giordano Mari. Che cosa sarà la mia conferenza di Bologna? Il seguito di questa d'oggi, di Milano. E a Napoli che cosa dirò? Ciò che non ho avuto tempo di dire a Bologna: e a Roma lo stesso; e lo stesso a Parigi, alla Sorbona, dove mi hanno invitato, perchè il pensiero, araldo dell'arte e della letteratura, non ha più confini ormai, è cosmopolita (seguiterebbe a tener conferenza anche per la strada, se chinando lo sguardo sulla sua compagna, non la trovasse più che mai estatica: carina, carina, molto carina! Avvicinandosi di più, fissandola negli occhi). A lei, signorina, è parsa bella la mia conferenza?...

      Emma (risponde soltanto guardandolo; non ha più fiato per dir di sì; nemmeno per tenere sollevato lo strascico della veste, che spazza il marciapiedi del corso Vittorio Emanuele).

      Giordano Mari.... Or bene, essa le è parsa bella perchè l'ha sentita sincera: non è merito mio; la bellezza è lo splendore del vero, diceva il divino Platone; e lo dicono anche i suoi occhi, signorina!

      Guido Bardi (che allunga il collo per star a sentire, pesta sull'abito di Emma, che si ferma di colpo, chinandosi) Oh, pardon!

      Il cavalier Venceslao (di lontano, con una vocetta esile che ricorda i cantori della cappella Sistina e distrugge tutto l'effetto autorevole della bella barba verdiana) Emma! Il signor Sebastiani ti saluta: dice di non poter venire oggi a pranzo da noi!

      Nino Sebastiani è invitato a pranzo tutte le domeniche in casa Dionisy: e si sa, non ci manca mai per via della signorina Emma; anzi, per quanto è possibile, cerca di far entrare nelle domeniche anche qualche giovedì; ma stavolta, invece, dopo quella maledettissima conferenza, indispettito, ingelosito, furibondo, e sperando di fare un gran colpo decisivo sull'animo di Emma, ha dichiarato, sempre col broncio, al cavalier Venceslao di aver dovuto accettare un altro invito.

      Il cavalier Venceslao (ripete con intenzione) Emma! Hai capito?... Il signor Sebastiani non vuol venire a pranzo!

      Emma (distratta, per dire un complimento) Oh chissà come la mamma ne sarà dispiacente!

       Indice

      Dinanzi al portone di casa Dionisy: la via Monte Napoleone, di domenica, a quell'ora, le quattro pomeridiane, è pochissimo frequentata.

      Carlo Borghetti (un giovanotto nè bello, ne brutto, nè elegante, nè trascurato: l'aspetto serio, di un uomo che lavora; la cera fosca di Lindoro in collera con Zelinda. Passeggia su e giù da mezz'ora per incontrare «per caso» la signorina Emma, quando torna dalla conferenza: fra sè, stritolando il collo ad un sigaro di Virginia che non vuol tirare) Sono le quattro! Che chiacchierone di un conferenziere! Ancora un giro e poi me ne vado a casa! E poi dopo, si sa, mezz'ora di complimenti col drammaturgo fischiato!... Quel falso Verdi è un gran padre balordo! Lascia sempre sua figlia insieme con donna Fanny, una civetta... peggio, ancora, una donna maritata da un paio d'anni, e che, oltre ai clandestini, ha già un amante ufficiale per paravento!.... (sorridendo sprezzantemente) Il poeta! Un poeta ridicolo!... Come quell'altro, l'amico indivisibile! Un commediografo... seccatore! (e aggrotta le ciglia).

      Egli l'ha a morte contro i poeti, e i commediografi italiani specialmente... dal giorno che Nino Sebastiani s'è messo a corteggiare la signorina Emma.

      Carlo Borghetti, un nobile di Crema, stabilitosi a Milano, sebbene molto ricco del suo, esercita l'architettura, e sebbene ancora più vicino ai trenta che ai quarant'anni, ha già acquistato una bella rinomanza; ma come egli tiene celato in fondo al cuore con sospettosa e ombrosa selvatichezza il suo amore per la signorina Emma, così tutta la vivacità del suo ingegno, rimane nella vita mondana, sepolta quasi, sotto un mutismo ombroso, sdegnoso, insofferente, lunatico... e che poi, in fondo, non ha altra origine che in un riserbo naturale, in una timida ritrosia.

      C'è in lui, come c'era sin da giovane, una preziosa fusione di doti positive e di estri bizzarri. Mentre sarebbe parso a tutta prima che le prerogative principali del suo ingegno fossero il raziocinio matematico e l'austera severità della deduzione, ecco scintillare da quella sua mente eclettica, faragginosa ed equilibrata ad un tempo tutte le genialità, gl'impeti, e gli entusiasmi di un artista... Egli diventa un architetto nel senso classico ed in pari tempo nel senso moderno della parola. L'artista s'innamora delle bellezze del passato; lo scienziato si appassiona dei problemi del presente. Studiando i monumenti — e recando in quelle ricerche una coltura eccezionalmente varia e profonda — si fa archeologo e storico; e la sua dottrina, unita al naturale senso per ogni cosa bella ed armonica, lo guida sin dagli inizii nel lavoro professionale, preservandolo da ogni volgarità, da ogni compromissione venale colla moda bottegaia, sfacciata e pitocca, in fondo, dell'epoca...

      Ora, Carlo Borghetti si è buttato con fervore febbrile ad una missione che lo appassiona, che avrebbe consacrata la sua fama, e alla quale egli consacra la sua vita: la ricostruzione del monastero di Pontida qual'era nei tempi epici dei Comuni lombardi. Governo e Provincia gli hanno dato l'incarico: gli occhi di tutto il mondo sapiente si sarebbero rivolti all'opera sua.

      Carlo Borghetti (guardando l'orologio) Sono le quattro e mezzo! Un ultimo giro, poi... a casa! (Ne fa due o tre degli «ultimi giri», poi guarda ancora l'orologio). Le quattro e tre quarti!... Vado!

      Invece resta; e tanto più la signorina Emma avrebbe tardato a tornare a casa, tanto più egli sarebbe rimasto lì ad aspettarla, trattenuto dalla gelosia, dalla incertezza, dall'ansietà, dalla disperazione.

      — Finalmente!

      Lontano, lontano, in fondo alla contrada, due cappellini, uno rosso ed uno verde, il verde è l'importante, entrano dal corso Vittorio Emanuele in via Monte Napoleone.

      — Eccola!

      Un'occhiata rapidissima,


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