L'idolo. Gerolamo 1854-1910 Rovetta

L'idolo - Gerolamo 1854-1910 Rovetta


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fina malizietta) Sentiamo un po'... per valutare al giusto merito l'eloquenza di questo signor Giordano Mari... c'era alla conferenza — vero? — anche Nino Sebastiani?

      Emma (colla più candida disinvoltura, come se si trattasse del sindaco o del prefetto) Nino Sebastiani? (ci pensa) No. (Ricordandosene) Cioè, sì!

      Il dottore (ritorna serio, molto serio, osservando Emma con grande attenzione, mentre, cacciate le dita nei taschini della sottoveste, fa risuonare continuamente le chiavette di casa).

      Emma (riprendendo subito, ed esaltandosi, l'argomento che più l'interessa) Non legge, sai? Parla! Senz'esserci preparato! Improvvisando! (Voltandosi vivamente verso donna Fanny che sta per entrare nel salottino seguita dal nobile Barbarani, mentre il cavaliere Venceslao si ferma nel salone e si mette al pianoforte) Non è vero, Fanny?... Non è vero, papà, che cosa straordinaria?

      Donna Fanny (più calma, dopo aver abbracciata, senza stringerla, donna Letizia e averle dato per aria i due baci di convenzione) Ha un gran merito!... Anche Guido lo riconosce... (Guido Bardi, s'intende). Come conferenziere è di prima forza!

      Il nobile Barbarani (sempre saltellando, dopo aver battuto col palmo della mano sulle spalle e sulla pancetta del dottore) Di primissima forza! Di cartello!... Un vero oratore di cartello! Diceva benissimo il pittore Fioravanti, quello famoso che ha fatto il ritratto anche a donna Ida: È un Demostene, un Cicerone — coi polmoni del Tamagno!...

      Il cavalier Venceslao (dal salone, solfeggiando e accompagnandosi cogli accordi del pianoforte) È un'eloquenza dantoniana! Drlirinin!... Irrompente! Drlaronn!... Maestosa! Drlarumm!...

      Donna Fanny. E poi è un bel giovane, un bell'uomo! Ha magnifici denti. Il Barbarani ce lo ha presentato, ed egli ci ha accompagnate fin qui. Anche Guido lo ha trovato molto... signore! molto... come si deve!

      Il nobile Barbarani. Non frequenta che la migliore società. A Padova è stato l'amante della contessa Pianelli. Lo sapevano tutti: era... ufficialissimo! Stasera gli diamo uno champagne d'onore al Circolo artistico-letterario — Son proprio content! (Al dottore, che intanto ha continuato a guardare e a studiare la signorina Emma) Dovresti venire anche tu — benissim! — Dieci franchi a testa soltanto i soci frequentatori, perchè gli artisti, si sa, in Italia ne han pochi da spendere.

      Il dottore (scrollando il capo e sospirando) Impossibile!... Sono così preso in questi giorni!(Guardando l'orologio) Sono le cinque e mezzo e dovrei già essere in via Cusani! Scappo! (Scampanellata; il dottore sente venire altre visite, si siede). Scappo subito.

      È la vecchia marchesa Gonzales: vecchia per gli altri, non per sè stessa; ha molte pretensioni di eleganza, di gioventù e la smania di essere ancora corteggiata. Ingrassa ogni giorno, ma per conto suo ha invece l'illusione di dimagrare a forza di stringersi e di patir la sete, cosa che la fa essere sempre eccitata, rabbiosa. Quando le domandano se è stata alla conferenza, monta in furore. Ma come?... Lei?... La marchesa Gonzales alla conferenza di un ateo? Di un... eretico? Sa! Sa! Sa tutto!... Le hanno detto tutto! Le hanno già riferito i suoi amici — perchè lei ha degli amici veri, e tutti simpatici, fedeli, provati e tutti giovanotti! — le hanno riferito che cosa ha detto di bello quel signore! Che teorie! Che massime! Che dottrine!.. Che spropositi!

      Lo sdegno e la veemenza della marchesa sono tali che tutti tacciono ammutoliti. La signora Letizia è quasi mortificata di aver mandato Emma alla conferenza; donna Fanny di esserci stata lei; ed Emma, scossa, confusa, china il capo, quasi vergognosa, quasi addolorata.

      Il silenzio è grave, penoso, rotto soltanto dagli accordi e dai solfeggi del cavalier Venceslao, e dal risonare delle chiavettine del dottore, il quale, in punta di piedi, gira intorno alla ricerca del suo cappello... poi, pianino, passando vicino ad Emma, toccandole, premendole le mani, le ricorda, sottovoce, le cartine di fosfato che ha da prendere prima di pranzo, e sparisce senza che nessuno se ne accorga.

      Il nobile Barbarani (a un tratto scattando dalla seggiola e fermandosi ritto dinanzi alla marchesa) Miscredente?... Un ateo?... Un eretico?... Benissim! Ma in tal caso (un colpettino di tosse) sia quel che si sia — mi piace sempre dire la verità! — son proprio content d'essere un miscredente anch'io; perchè il Diderot, il Voltaire, il Rousseau, li leggo e li ammiro anch'io, e in quanto alla filosofia e alla storia c'è poco da ridere: credenti, o miscredenti, la storia — per sua regola, marchesa — resta quello che è; non si può cambiare.

      Emma (si sente sollevata; lo guarda, sorride) Che bel vecchietto quel Barbarani! Leale, franco, simpatico...

       Indice

      Giordano Mari (entrando cerca il portiere che non c'è, chiama il cameriere che non risponde, entra nel burò dove non trova nessuno; si mette a brontolare prima a mezza voce, poi molto più forte).

      Il direttore (che si era addormentato in quel caldo pomeriggio, risvegliandosi e avanzandosi nel buio) Il signore?... domanda?...

      Giordano Mari. Domando se ci sono lettere, telegrammi per me.

      Il direttore (che non si ricorda chi è) Scusi?...

      Giordano Mari (risentito) Per Dio! Giordano Mari.

      Il direttore (lo guarda c. s.)

      Giordano Mari (furibondo) Il numero 15!

      Il direttore (con calma) Adesso domanderemo al cameriere.

      Per il numero 15 c'era un telegramma ed una lettera: erano stati portati in camera: e per Giordano Mari dovevano essere importanti assai, perchè, ordinato in fretta da pranzo, fa le scale d'un fiato.

      Col telegramma, invece di una sola lettera, ce ne sono due. Una da Roma, l'altra col bollo di città.

      Giordano, prima di aprire, guarda di chi sono: la lettera di Roma è quella che egli aspetta dall'onorevole Rocco Marana, sotto-segretario di Stato all'istruzione pubblica. Quella di città è del suo editore.

      — Ma perchè mi scrive? Se l'ho avvertito che domattina sarei andato io da lui?

      Da quella lettera Giordano Mari sente che deve aspettarsi una contrarietà, un rifiuto; tuttavia legge prima il telegramma:

      «Impossibile ottenere rinnovazione: voci attendibili assicurano solito sovventore prossimo fallimento. Regolati.»

      «Finardi.»

      — Anche gli usurai che falliscono! Quando il diavolo ci vuole mettere la coda! E adesso... a quest'altro! — E comincia più lentamente ad aprire e a leggere la lettera di Roma. È la risposta ad una sua domanda per certa missione all'estero che ha più volte sollecitato e che gli procurerebbe, oltre al divertimento e all'onore di un paio di commende, anche qualche biglietto da mille:

      Ministero

       della

       Pubblica Istruzione

       Gabinetto del Sottosegretario di Stato.

      Carissimo amico,

      «Cattive notizie! Il tuo invio a Lipsia per l'esame e il possibile ricupero dell'epistolario galileiano, scoperto in quella città, — e di doverosa rivendicazione da parte del Governo italiano di fronte alle irregolarità di acquisto emerse dal recente processo — pareva cosa sicura. S. E. il ministro, anche l'altra sera, dopo un lungo colloquio intorno a molte altre cose, me ne aveva dato la quasi certezza, mostrando di ricordarsi molto bene di te, de' tuoi titoli e delle tue benemerenze. Credevo di potergli far firmare a giorni il relativo decreto e le commendatizie ufficiali presso i corpi diplomatici, allorchè, stamane, apprendo che la missione è irrevocabilmente affidata all'onorevole Toscolani. Questo nome, in questi momenti, ti dice tutto; ti dice specialmente, come non sia dipeso da mancanza di buon volere da parte mia l'esito negativo della pratica. Un elemento così


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