L'idolo. Gerolamo 1854-1910 Rovetta

L'idolo - Gerolamo 1854-1910 Rovetta


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il commediografo.

      Ah! che sollievo!...

      Sorride, diventa rosso, messo in orgasmo e intimidito da quel cappellino verde che si avvicina lentamente. Egli si ferma colla scusa di accendere un altro sigaro, e intanto, mentre tiene colle due mani il cerino per difendere la fiamma dal vento e fuma, fuma come una locomotiva, guarda innanzi, spiando chi c'è in compagnia della signorina Emma.

      Carlo Borghetti (fra sè come sopra) Donna Fanny... il poeta... il presidente... il Verdi... Per Dio, chi è?...

      Il sangue gli dà un tuffo: l'architetto è diventato pallido: anche il secondo sigaro non tira. In fretta attraversa la contrada; vuole schivare, non vuol fermarsi con quella gente.

      In quell'«andante maestoso» che si avvicinava con Emma, in quel gilet bianco, in quel cilindro lucente come un fanale, egli ha subito sentito, indovinato, il gran conferenziere, l'uomo del giorno, un nemico... il nemico!

      Il nobile Barbarani (ha visto l'architetto da lontano: fa un piccolo salto, chiamandolo, e si pianta in mezzo alla strada per fermarlo) Carlo Carletto! Son proprio content! (rivolgendosi a Giordano Mari) Adesso le farò conoscere (colpetto di tosse: colla voce più forte) un grande originale. Molto ingegno! Molta erudizione! Matto, ombroso come un cavallo! Ha la specialità dei monumenti, delle antichità, tutta roba interessante per gli appositi amatori, per la storia — bravo! — Ma con la dovuta moderazione! (un altro colpetto di tosse perchè si arrabbia e soffoca) E col dovuto rispetto e le dovute convenienze per chi paga le tasse e ha diritto ai suoi comodi! Milano è una città modernissima — per i milanesi prima di tutto!... Non un museo per i forestieri! Carlo! Carletto!... Don Carlo!

       Carlo Borghetti — (risponde seccamente) Ciao. (Si leva appena il cappello e tira via diritto, affrettando il passo e con una faccia tale che tutti sorridono, ma nessuno osa fermarlo).

      È proprio fuori di sè. Egli odia in quel punto tutta la gente e tutte le donne. Le donne in ispecial modo: leggiere, vane, civette, false!... Tutte le donne, che poi si riducono per Carlo Borghetti ad una sola, Emma, il cappellino verde, colpevole di farsi accompagnare per la strada da quel ciarlatano dell'oratoria; colpevole.... colpevole, sopra tutto, di non aver mai capito ciò ch'egli si è sempre studiato di nasconderle, a furia di musi, di scontrosità e magari anche di sgarberie!

      Il nobile Barbarani (rimane per un istante sconcertato, fermo in mezzo alla strada; poi, brontolando, si mette alla coda prendendo sotto braccio il cavalier Venceslao) Che presunzione! Che arroganza! Per avere il diritto di mancare anche di educazione, bisognerebbe chiamarsi per lo meno... il Brunelleschi!

      Giordano Mari (sottovoce, osservando la signorina Emma, dopo di aver osservato l'atto, il turbamento, quasi la fuga del giovanotto) Chi è quel signor.... Carletto?

      Emma (con naturalezza... sincera) Mio cugino, l'architetto Carlo Borghetti.

      Giordano Mari (con squisita cortesia, per fare un complimento alla famiglia) Oh, oh!... Il sapiente artefice restauratore, il rievocatore, dirò meglio, del monastero di Pontida?

      Emma (sorridendo, perchè tutti ridono in coro delle originalità di suo cugino) Già: e si figuri: adesso, perchè lo zio è diventato ministro dell'istruzione pubblica, voleva dare le sue dimissioni, sospendere i lavori...

      Giordano Mari (vivamente interrompendola, parlandole più curvo, quasi inchinandola) Come, come, Sua Eccellenza l'onorevole Albertoni sarebbe dunque suo zio?...

      Emma. Sì, fratello della mamma.

      E così dicendo Emma arrossisce e torna a guardare per terra, confusa, turbata e inebriata. Sente che Giordano Mari le si è fatto più vicino, sente più vicino a' suoi capelli, alle sue guance, quella bocca eloquente, mobile, carnosa, dai bei denti lucentissimi e si sente tutta avvolgere da uno sguardo più fisso, più intenso, più caldo e... — Che peccato! — mormora, sospira ingenuamente. — Siamo già a casa!...

      A quattro passi di distanza:

      Donna Fanny (dicendo quasi la stessa cosa a Guido Bardi) Che peccato! Siamo arrivati!.... Ed io devo proprio salir un momento dalla signora Dionisy..

      Guido Bardi (con una certa ansietà che gli rende la voce un po' velata) E... dopo?... Sì?... Vengo a salutarla?

      Donna Fanny. Oggi... non si può. È domenica: devo andare anche da mia suocera: è il suo giorno.

      Guido Bardi (si rannuvola... si morde i baffi).

      Donna Fanny (guardandolo per consolarlo, con uno sguardo morbido come una carezza) Venga a prendere il caffè — con noi — dopo pranzo. Ma... non si faccia aspettare!

       Indice

      Il salottino della signora Letizia, la madre di Emma: persiane chiuse, tendine calate; di primo colpo, buio pesto, poi a poco a poco si comincia a distinguere una figura bianca, gentile, che occupa, mollemente distesa, tutta la lunga poltrona a sdraio: capelli inverosimilmente biondi, occhi inverosimilmente neri: la signora, che è stata bellissima, è ancora bella: soltanto da un paio d'annetti circa non si lascia più vedere altro che allo scuro... sempre più allo scuro. Vicinissimo, un'ombra, una forma confusa, molto chinata su di lei. È il dottor Fabio Speranza che, dopo averle cercato e toccato il polso, è salito adagio, più su, colla mano, dentro la manica larga della soffice veste d'intérieur, e trovato morbido e piacevole il posticino, vi è rimasto, al caldo, senz'ombra di malizia.

      Il dottore (eleganza stagionata: tutte le arguzie e le risorse della professione; parla lentamente, sommessamente, con una monotonia di tono e d'argomenti che riposa, calma e persuade) Dunque, per oggi, la mia tosa, restiamo intesi così: la noce vomica, prima quattro gocce, poi cinque, poi sei, a colazione, e così a pranzo. E per il momento, direi nient'altro. Stiamo a vedere. La digestione è abbastanza regolare — vero? — La nutrizione soddisfacente, la cerina... buona; anche quei nostri piccoli fenomeni nervosi non si sono più ripetuti, dunque — da brava — dallo stato generale dell'organismo bisogna ragionevolmente concludere che il meglio è nemico del bene, quindi accontentarsi!

      La signora Letizia (languidamente) E le pillole di ferro?

      Il dottore (dopo averci molto pensato, gravemente) Io direi anche, se crede (pausa), sospendiamole per qualche giorno (lunga pausa e lungo sospiro). Potremo poi ricominciare più tardi, se sarà il caso la cura ascendente.

      La signora Letizia. E dell'Emma che cosa ne dice?

      Il dottore (ancora più grave, più serio, scrollando il capo, sospirando profondamente) Mah!... (un'altra pausa, poi risalendo colla mano dentro la manica della signora Letizia e premendole il braccio in modo significativo) Un marito; cara la mia tosa, darle marito. Tutto il resto, l'esercizio, l'aria buona, la montagna, il tennis... non dico di no: hanno ottenuto un risultato al di là del soddisfacente. La ragazza è bene sviluppata, ben nutrita... il pannicolo adiposo abbondante, ma... ma... (sospiro e pausa) tutto alla sua epoca indicata, alla sua stagione prefissa — sicuro. Adesso, Emma... — appunto — ha un certo pallore interessante... un certo brillare degli occhi... Viene la sua stagione per tutto — vero? — per il cappellino di paglia e per la pelliccia. E dunque, eccoci: precisamente: adesso, Emma è nella vera stagione del matrimonio.

      La signora Letizia (languidamente) Oh, dottore, è un po' il suo tic quello del matrimonio!

      Il dottore (sorridendo e colla punta del dito mignolo rovesciando delicatamente il labbro inferiore della signora Letizia per guardare le gengive un po' esangui) È Domeneddio che ha fatto le cose in modo da giustificarmi pienamente!

      La signora Letizia (rivoltandosi sulla poltrona, ridendo e nascondendosi il viso, impone colla mano al dottore di tacere, di non ricominciare colle solite enormità. Poi, quando si è bellamente riadagiata come prima, e il dottore


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