Il Re prega. Ferdinando Petruccelli della Gattina

Il Re prega - Ferdinando Petruccelli della Gattina


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      Perchè i vescovi amano i gatti?

      Monsignor Laudisio stese la sua mano al prete che la baciò, piegando il ginocchio, e lo lasciò in piedi senza dir motto. Don Diego potè contemplare così a suo comodo il grande disordine del gabinetto episcopale.

      In una biblioteca, alcuni volumi rovesciati, collocati di traverso con dei segnuoli di carta,—dei libri di teologia,—poi la Storia della Chiesa di Fleury, il Codice del Regno, i Commentari sul Codice, di Tullier, le opere di S. Alfonso di Liguori, l'Orlando Innamorato di Berni, La Scienza e la Fede, giornale dei gesuiti, un volume di Walter Scott…. Dei fasci di carta occupavano le poche sedie del gabinetto; dei fascicoli in carta bollata, dei pezzi di minerali—ferro, marmo, rame—giacevano in ogni angolo. In uno spigolo una coppia di capponi legati ancora dai piedi ed otto di quei caciocavalli di Pollino che i ghiottoni napolitani trovano deliziosi. Li aveva ricevuti in dono proprio allora, e monsignore non aveva pensato di farli torre via prima di ammettere il prete alla sua udienza. Un Cristo in avorio, grassotto e panciuto, pendeva dal muro alle sue spalle, fiancheggiato da un'immagine di San Alfonso all'aria di un doppione in galloria, dall'altra il ritratto del marchese di Sora. A portata della sua mano una sferza. Perchè monsignore infliggeva personalmente la ferula ai seminaristi… per fare della ginnastica! Sur una tavola, una disciplina di missionario, un paio di manette da gendarme, un sacco di libercoli sul Cuore di Gesù. Poi, dei bei ricami per le sue cotte ed i suoi camici, una manata di medaglie del Cuore di Maria, un paio di speroni,—perchè monsignore cavalcava benissimo a traverso le montagne della sua diocesi. Poi ancora, sul suo tavolo, dispacci suggellati pel ministro della polizia. In faccia, i busti in gesso del re e della regina. Sopra uno sgabello a sinistra una tazza di porcellana per dare a bere del latte ai suoi gatti, delle zuccheriere, due zaini di pelle di capretto ripieni di piastre, un oggetto di toiletta,—che io non oso nominare benchè Molière ne parli sovente,—una mezza dozzina di tabacchiere in argento ed in vermiglio e molte cartacce. Il Codice del Contenzioso era aperto innanzi a lui.

      Monsignore portava la sottana nera del suo ordine, la croce d'oro gittata dietro le spalle, la berretta piantata di traverso sulle tempie, un collare aperto al collo, lasciando intravedere un collo di camicia di servizio da parecchi giorni.

      Quando si ebbe terminato il suo dispaccio, e che l'ebbe suggellato e collocato con gli altri, levò il capo e disse a Don Diego, poggiando i gomiti sul tavolo e congiungendo le mani sotto il suo mento:

      —Don Diego, figlio mio, tu vai a confessarti con me.

      —Vi domando perdono, monsignore, non sono preparato.

      —Ah! fece monsignore Laudisio, un prete che terminò or ora di dir la messa e che non è preparato per confessarsi al suo vescovo?

      Don Diego lo guardò raddrizzandosi e piegando le braccia sul petto. Monsignor Laudisio fissò egualmente i suoi occhi schernitori sul prete. Ambi si misurarono dalla testa ai piedi, si compresero.

      —Monsignor reverendissimo, dimandò Don Diego, codesta confessione è dessa indispensabile?

      —Dubiteresti tu dunque dell'efficacia di un sacramento? sclamò il vescovo.

      —Il sacramento può esser buono, monsignore, ma le disposizioni del penitente e del confessore non altrettanto. Il padre Sanchez l'ha detto.

      —I gesuiti, figliuolo mio, facci attenzione, non sono sempre finamente ortodossi.

      —Vostra Eccellenza appartiene alla compagnia di S. Alfonso.

      —Così dunque?

      —Sta bene monsignore.

      —Allora vatti a raccogliere per qualche minuto nella camera qui presso, mentre io scrivo due parole al procuratore generale di Potenza.

      Don Diego obbedì. Però monsignore lo udì a passeggiare nella camera ove ei doveva darsi alla preghiera ed all'esame di coscienza.

      —Quest'uomo è pericoloso, mormorò monsignore scrivendo la lettera.

      Dieci minuti dopo chiamava Don Diego, che si mise in ginocchio e fece sembiante di confessarsi male o bene. Monsignore non l'interruppe punto ed ascoltò. Quando Don Diego ebbe cessato di parlare, monsignor Laudisio dimandò:

      —Hai finito, figliuolo?

      —Sì, monsignore.

      —Tu non obblii nulla?

      —Nulla.

      —Tu non commetti dunque che dei peccatuzzi veniali, eh!

      —Ve ne occorrono dei mortali, monsignore? osservò Don Diego impertinentemente.

      —Va benissimo, figliuolo mio: alzati

      —Voi non mi date dunque l'assoluzione, monsignore?

      —E' sarebbe uno sciupar le buone cose fuor di proposito. Tu non ne hai bisogno d'altronde.

      Don Diego si levò.

      —Ho voluto vedere, riprese monsignore cangiando tuono, fin dove si poteva spingere l'audacia del sacrilegio. L'ho visto.

      —Prego Vostra Eccellenza Reverendissima di spiegarsi, disse Don Diego con calma, prendendo una sedia e sedendosi, con grande stupore del vescovo che lo aveva lasciato in piedi e l'avrebbe voluto a ginocchio.

      —Io non ho che una parola a dirvi, a voi, Don Diego Spani, rispose il vescovo alzandosi: io v'interdico.

      Don Diego non si mosse: restò assiso e chiese:

      —Potrei pregare Vostra Eccellenza Reverendissima di darmi una ragione della severità di questo gastigo?

      —Io non ho ragione a rendere dei miei atti che al re, al papa ed a

       Dio, rispose il vescovo.

      —Nonpertanto, monsignore, quando si batte sì duramente, sì crudelmente, si deve pur dire perchè,—non fosse che per lasciar venire il pentimento.

      —Voi non siete uomo da pentirvi, replicò il vescovo.

      —Chi sa, monsignore? se io fossi veramente colpevole! Ma voi sapete che per codesta punizione inesplicabile ed illimitata, voi mi rovinate. La messa è il mio pane,—e non solamente il mio, ma quello della mia povera sorella.

      —Ah! sclamò il vescovo con un piccolo sorriso che esprimeva un mondo di cose.

      Don Diego vide il sorriso, comprese il pensiero del suo superiore, si alzò, si avanzò di un passo verso il prelato e gridò:

      —Monsignore, spezzatemi quanto volete: il prete è la cosa del vescovo. Ma non un sorriso di più, simile a quello che venite di smorfiare, non una parola, non un pensiero, non un aspetto… io ve l'ordino in nome del mio cuore, in nome della mia dignità di uomo.

      Monsignore squadrò Don Diego impassibilmente poi soggiunse, giocando sulle parole:

      —Voi date degli ordini troppo presto, figlio mio: procurate dapprima di esser vescovo.

      Don Diego cadde a ginocchio e congiungendo le mani supplicò:

      —Ve ne scongiuro, monsignore, ditemi di che mi accusano.

      —Voglio soddisfarti, figlio mio, disse il vescovo sedendo di nuovo. Eccolo: 1.° tu sei incredulo; 2.° tu sei carbonaro; 3.° tu hai delle relazioni incestuose con tua sorella.

      Don Diego si alzò lentamente, e poggiando la mano sinistra sul lembo della tavola del vescovo, rispose:

      —Se sono incredulo, ciò riguarda Iddio. Se sono carbonaro, ciò riguarda il re. Se avessi le relazioni infami che dite voi, ciò riguarderebbe l'onore della mia famiglia, mia sorella e me. Il mondo non ha potuto mai sorprendere alcuno di questi delitti nella persona mia.

      —Il mondo, chi sa? Ma Dio?

      —Dio mi giudicherà quando la sua volta arriverà, ed io saprò che rispondere. A voi, monsignore, non ho a dire che questo: calunnia, calunnia, calunnia!

      Vi


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