Il Re prega. Ferdinando Petruccelli della Gattina
vescovo si sentì come strangolare. E' stette in silenzio per qualche minuto affondando lo sguardo fisso nello sguardo immobile del prete.
—Calunnia! disse egli infine. Voi non siete dunque ateo?
—Monsignore, io sono prete.
—Voi non siete carbonaro?
—Monsignore, io obbedisco alle leggi dello Stato senza mormorare.
—E voi non amate vostra sorella?
—Io l'amo, monsignore. Mio padre era un povero sarto che andava in giornata, monsignore, e morì poco dopo la nascita di mia sorella. Mia madre guadagnava il nostro pane tessendo per la gente della comune. Ella morì di fatica lasciandomi sulle braccia una figliuolina di quattro anni. Mia sorella ha adesso diciassett'anni. Io ne ho quaranta. Io sono stato suo padre, il suo istitutore, la sua madre, la sua amica vera, monsignore,—ciò che le donne non incontrano mai. Io ho lavata, io ho coricata, io ho pettinata questa piccina. Io le ho insegnate le sue preghiere. Noi abbiamo pianto insieme. Noi abbiamo insieme digiunato quando non avevam pane. Io ho fatto la bisogna di casa in suo luogo, per risparmiare questo piccolo e gracile corpo. Io ho soppresso le mie camicie per comperarle una veste. Io ho sofferto la fame per nudrirla a seconda dei suoi bisogni. Io ho avuto il coraggio di sorridere, per non attristarla, quando il dolore e l'oltraggio mettevano a soqquadro l'anima mia. Breve, monsignore, questa figliuola è la mia anima. Il cielo non ha un cherubino più puro e più bello di Bambina.
Monsignor Laudisio aveva appoggiato il suo cubito sul braccio del seggiolone, il suo mento nella mano, ed ascoltava attentamente il prete, esaminando l'espressione illuminata di quella figura. Un'aria sarcastica svolazzava sul volto del vescovo.
—Tutti i preti della mia diocesi, disse infine il vescovo dopo un momento di silenzio, hanno delle ganze. I più onesti ne hanno due,—senza contare le cugine, le cognate, le religiose dei conventi. Io ho fatto tutto ciò che un vescovo, un ministro della polizia, un capitano di gendarmeria, un procuratore reale potevano fare per riformare questi infami costumi. Li ho interdetti. Li ho messi in prigione. Li ho relegati nei conventi a far penitenza. Li ho fatti mandare al bagno. Li ho ingiuriati dall'alto del trono della chiesa. Non sono riescito. Non mi resta che non aver più dei preti, se voglio averli morali. Un solo, in mezzo di questo branco immondo, si è preservato da ogni sozzura: voi!
—È vero, monsignore.
—Voi siete giovane, nondimeno, voi siete robusto. Le occasioni non vi sono mancate. Voi non avete nè cause, nè ragioni apparenti per condurvi differentemente degli altri…. Volete voi spiegarmi l'eccezione?
L'osservazione del vescovo era strana, ma profondamente giusta. Non si fa violenza alla natura quando le si può dare impunemente libero sfogo, quando non si è sotto l'imperio di una legge, di un bisogno; di una volontà superiore all'istinto. Laonde, Don Diego si trovò imbarazzato a rispondere.
—L'eccezione, monsignore, diss'egli infine dopo un istante di riflessione, tiene a delle cause moltiplici,—piccole cause forse, ma che, riunite in fascio, formano un ostacolo insormontabile, come i piccoli rami di vimini allacciati oppongono una diga all'innondamento del fiumi.
—Delle imagini! continuate.
—Ebbene, che so io? la miseria, le cure di casa mia, la mancanza di tutto, l'assenza delle tentazioni, la timidezza, l'assorbimento in altre occupazioni dello spirito, una fibra accasciata dal principio sotto il dominio della volontà, un altro corso dato all'attività della vita, un ideale qualunque che mi ha guidato per i cieli e mi ha fatto trovare la terra orribile e laida, quell'indomani che si sovrappone all'indomani per il compimento di un desiderio o di un disegno, l'isolamento, la stessa astinenza….
—E sopratutto, l'interruppe il vescovo con un sorriso ironico ed incredulo, perchè non si va al mercato a comperar delle pesche punticce quando se ne hanno delle così belle nel proprio verziere.
—Ah! sclamò don Diego d'un tuono freddo, abbassando la testa, incrociando le braccia sul petto.
—Un giorno, continuò il vescovo, un contadino spagnuolo ed un contadino Moro si presentarono all'arcivescovo di Toledo, il quale era altresì principe sovrano. I due villici si disputavano un cavallo, di cui entrambi si dicevano proprietari. Non testimoni da interrogare. Non giudizio di Dio per le armi, da tentare. Non documenti, che stabilissero la proprietà o il possesso, da consultare. Il Moro diceva: il cavallo è a me! Lo spagnuolo assicurava: No, esso è il mio! L'arcivescovo, a fine di spedirli, dette il giuramento sul vangelo ai due litiganti. Ambo giurarono. Se voi foste stato l'arcivescovo di Toledo, a chi avreste consegnato il cavallo?
—Anzi tutto, rispose don Diego io non avrei fatto giurare il Moro sul vangelo, ma sul Corano.
—L'arcivescovo non credeva al Corano; egli credeva al giuramento del cristiano sul vangelo.
—Allora?
—Allora, riprese monsignore con tuono altero e severo, io fo come l'arcivescovo di Toledo: io credo ciò che mi è stato attestato da un prete cattolico, realista, credente, piuttosto che la negativa sofistica di un carbonaro empio, e v'interdico per tutta la vita.
Don Diego restò come fulminato per alcuni minuti. Il viso di monsignor Laudisio, pallido di collera, esprimeva una determinazione irremovibile, i suoi occhi fiammeggiavano. Don Diego disfece allora lentamente il suo collare di prete, lo gettò a terra, vi pose su il piede e gridò:
—Voi lo volete, monsignore? ebbene sia pur così. Io era stato buono, puro, onesto. Io aveva sofferto la miseria con rassegnazione, vagheggiando il meglio, ma non mi movendo per realizzarlo, rispettando ciò che non credevo, subendo tutti i pregiudizi della società senza mormorare, senza violarli…. Voi mi fate sentire che fui un minchione. Voi mi spezzate prete: io mi rialzerò…
—Papa? interruppe monsignore ghignando.
—Monsignore, io conosco tal figliuolo di beccaio, il quale non seppe altro che la sua piccola teologia, ed ancora! Ebbene quel garzone si fe' vescovo. Vostro padre, il beccaio, valeva bene, io mi penso, il mio che era sarto. Ed il figliuolo di quest'ultimo conosce ben altre cose che la teologia, e non rincula più davanti a nulla, nulla! per conquistare il suo posto al sole della vita. Addio, monsignore.
—A rivederci, figliuolo mio, soggiunse il vescovo profondamente ferito dall'allusione del prete, ma sorridendo. Per facilitarvi il cammino, vado di questo punto, a raccomandarvi al ministro della polizia.
—Monsignore, al disopra del ministro vi è il re.
—No, bimbo mio, al disotto, brontolò il vescovo scrollando la testa; il re non governa, prega.
Don Diego salutò ed uscì. Monsignor Laudisio lo fece chiamare. Don
Diego ritornò.
—Ascoltate, disse Monsignore, io non voglio spezzare la zattera sotto i piedi un naufrago senza offrirgli una tavola. Codesta tavola, eccola qui. Voi siete stato carbonaro. Voi siete adesso mazziniano ed unitario. Voi sapete molte cose. Voi conoscete gli uomini ed i progetti. Volete rendere servizio al re, alla chiesa, al vostro paese?
—Ed a voi, monsignore!
—Io fo il mio dovere, rispose il vescovo alteramente: io adempio l'articolo 19 del Concordato del 1818 che fa dei vescovi dei guardiani dell'ordine pubblico.
—Monsignore, voi mi dimandate lì il vostro cappello di cardinale. Io ve lo rifiuto. Grazie dell'infame tentazione. Se io dovessi giammai divenire un Giuda, io non farei mai come quel povero calunniato di Galilea cui dicon venduto per trenta denari.
Don Diego, partì senza salutare.
Entrando in casa, egli era stravolto. Cadde affranto sur una sedia, la testa piegata sul petto, le braccia penzoloni. Vedendolo entrare, col sembiante così decomposto, Bambina divenne scialba come raggio di luna. Di uno slancio, ella saltò sulle ginocchia del fratello e cingendo delle sue braccia le testa fulminata del povero prete, se l'attirò sul petto.
—Di', che hai tu dunque, fratello, gridò dessa con voce lacerante.
—Tutto