Amedeide. Gabriello Chiabrera
Essi di sangue, e di ricchezza altieri,
E scaltri a pien per la virtù de gli anni
Avean nel tempo rio fissi i pensieri
A far men gravi de la patria i danni;
Timodemo dicea: tuoi gran guerrieri,
Signor, non fia chi di viltà condanni;
Anzi del chiaro e lor sì nobil vanto
Eterna fama ha da stancar suo canto.
XX
Ha quì tratte Ottoman squadre infinite,
Chiuse le vie del mar, cinte le mura,
E tra ceppi, tra fiamme, e tra ferite
Minaccia fa d'ogni crudel ventura.
E pur con l'alme, e con le fronti ardite
Tengono infino ad or Rodi secura,
Incontra morte coraggiosi e franchi,
E per vegghiare, e travagliar non stanchi.
XXI
Ma senza aita a che cotanto ardire?
Cadremo al fine; or tu consiglia il core,
E del barbaro fier contempra l'ire;
E sottranne con patti al suo furore:
Se nel risco presente, oltra il morire,
Di maggior mal non ci turbasse orrore,
Voce non aprirei; ma quali schermi
Avran le donne e i pargoletti infermi?
XXII
Ah che di sozze abominevol voglie
Rapina fian: quì la rugosa fronte
Gemendo abbassa in su le palme, e scioglie
Giù da le ciglia lagrimando un fonte.
Mentre il vince così forza di doglie
A favellar comincia Alcimedonte,
Non senza affanno; e sì dolor lo strinse,
Ch'a mezzo il favellar gemiti spinse.
XXIII
Miseri noi! cui sole alba non mena,
Nè chiude a sera in occidente il giorno,
Che non ci si minacci aspra catena,
Che duri oltraggi non ci sian dintorno;
E nostra vita gir di pena in pena,
Far su le scure tombe atro soggiorno,
Stillar gli occhi, piangendo i cari ancisi,
E depor sul ferètro i crin recisi.
XXIV
Su ciò volgendo il cor chi fia possente
In petto non raccor somma pietade?
Ma quanto più sarà Rodi dolente
Posta in balìa de le nemiche spade?
Non daranne Ottoman ne l'ira ardente
Esempio d'ineffabil crudeltade?
Non sfogherassi con furori immensi?
Che ciò si vieti a tua virtù conviensi.
XXV
Pensa a la nostra Fe': caro e diletto
Sempre fu vostro imperio a nostre schiere;
Ed or non ci pentiam: tranne dal petto
Alta necessità queste preghiere.
A questi detti serenò l'aspetto
E mostrò Folco le sembianze altiere;
Ma, serbando nel cor la tema ascosta,
Cotale a' messaggier diede risposta.
XXVI
Fedeli, io mossi da Provenza allora,
Che 'l mento ombra di pel non mi copriva;
E fin oggi con voi fatto ho dimora,
De la mia vita omai presso la riva:
Non mento io, no; fin che vivrommi ancora,
Meco di voi fia la memoria viva.
Rodi preposi al mio terren natio;
Come da me porrassi unqua in oblio?
XXVII
Mentre in tal forma il gran Baron consiglia,
Angel scelto di Rodi a la difesa,
La crespa fronte, e le canute ciglia
E d'Argodemo ogni sembianza ha presa;
Al guardo di costui, gran meraviglia!
Spazio alcuno in mirar non fa contesa;
Ma dove di ciascun perde la vista,
La sua più forza, e più possanza acquista.
XXVIII
Quinci è ben noto; or di sì fatto aspetto
L'Angelo si colora; indi apparìa
Là, dove Folco nel real suo tetto
De' suoi l'affanno, e le preghiere udìa;
Dicegli: d'Ottomano anzi il cospetto
Pur ora il campo a schiera a schiera uscìa;
Certo novello orgoglio oggi il commove,
De gli aspri assalti a ritentar le prove.
XXIX
Ma non temete; di vigor ripiene
L'alme vostre fiammeggino: vicino
Oggimai veggo farsi a queste arene
Incontra Turchi un Cavalier divino;
Per salute di noi ratto sen viene,
Trascorrendo di mar lungo cammino,
Il gran guerrier, che di supremo alloro
La Dora adorna, e la Città del Toro.
XXX
Sul fin de le parole ei si disveste
De l'altrui volto, ed invisibil torna;
Ma nel suo disparir, lume celeste
Via più, che 'l sole i regj alberghi adorna;
Qual se gran lampo tra più ree tempeste
Balena in antro, ove pastor soggiorna,
A quei fochi divin tremagli in seno
L'anima rozza, e di timor vien meno.
XXXI
Tal Folco in pria di se medesmo tolto
Immobilmente stassi; indi ravviva
Dio ringraziando, la letizia in volto,
E verso i messaggier le labbra apriva:
Se per scampo di noi, lunge non molto
Move il Grande AMEDEO da questa riva,
Sieno forti le destre, e i cori ardenti,
E di scitico stral non si paventi.
XXXII
Non che sottrarci da fortuna acerba