Amedeide. Gabriello Chiabrera
Con sì forte guerrier non siam bastanti;
Ma sentirà nostre armi Asia superba;
Ma tra catene lasceremla in pianti;
Qual Savoia ne' suoi virtù riserba,
Come di quel gran sangue ergansi i vanti,
È noto, ed ove in mar Febo s'asconde,
Ed ove il carro d'or tragge da l'onde.
XXXIII
Voi la fuor di ragion presa paura
Ammorzate in altrui con nobil voci,
Mentre le torri, e l'assalite mura
Assegno in guardia a Cavalier feroci.
Tale in sembianza a rimirar secura
Folco parlava; i Rodïan veloci
Poi ch'inchinato e reverito l'hanno,
Van per scemare ai cittadin l'affanno.
XXXIV
Ma succinto di spada, altier sen giva
Il vecchio Folco con breve asta in mano;
Ed eccitando i Duci ei pria veniva
Là, v'era in guardia il buon Velasco Ispano.
Questi correndo il mar di riva in riva
Alzò ricchi trofei per l'oceano;
E fra gli Iberi suoi molto s'avanza,
A cui Folco dicea lieto in sembianza:
XXXV
Viensene al fine, e del soccorso giunge
Fama non vana; a' nostri casi indegni
Mosse, o Fernando, ed è da noi non lunge
Il buon Signor de' Savoiardi regni;
Tu, se di vero onor cura ti punge,
L'anima infiamma d'animosi sdegni
Nei novi assalti; e questo debil muro
Fa contra l'armi d'Ottoman securo,
XXXVI
Or ch'ei n'infesta. Le pensose ciglia
Volge Fernando al suo Sovran Signore
Posatamente, ed a risponder piglia
Sponendo altier ciò ch'a lui detta il core:
Quel, che tuo nobil senno or mi consiglia,
Non manco il mi consiglia il proprio onore;
A sua voglia AMEDEO vegna, e non vegna;
Quì non giammai cadrà la nostra insegna.
XXXVII
Lieto lodalo Folco, e quindi i passi
Rivolge, ed affrettando il piede antico
Vien, dove tra' Francesi armato stassi,
Lor cara scorta, l'animoso Enrico;
Or, che per questi rüinosi sassi
Vuoi di novo assalirne il fier nemico,
Che pensi tu? sul combattuto calle
Costringerassi a rivoltar le spalle?
XXXVIII
Tanto sangue fin quì, tanto in battaglia
Sparso da noi sudor, tanto ardimento,
Oggi con esso te cotanto vaglia,
Che non ti prenda d'Ottoman spavento.
Risponde Enrico: de la morte assaglia
Spavento un core a le vili opre intento;
Io m'adornai di questa Croce il petto,
Perchè di bella gloria ebbi diletto.
XXXIX
Così disse egli. Folco oltre cammina
Là, dove, pregio del suo Tebro eterno,
II giovine Giordan, progenie Orsina,
De l'Italica lingua have il governo;
Sue guancie eran qual rosa mattutina,
Che d'ostro ride a lo sparir del verno,
E splende un lume altier negli occhi suoi,
Onde sono usi fiammeggiar gli Eroi.
XL
Ver lui Folco diceva: esser puoi certo,
Ch'ogni forte guerrier quinci a mille anni
Invidïando il nostro nobil merto
Avrà desir di sì lodati affanni;
E s'a' vostri Romani il varco aperto
Fu de la gloria in soggiogar tiranni,
In soffrir pene, in disprezzar perigli,
Deh non sian di viltà nostri consigli.
XLI
E quei risponde: io prontamente attendo
Le vestigia seguir de gli avi altieri;
Siasi Ottoman quanto mai fosse orrendo,
Non fia, che 'n Dio fidando, unqua io disperi.
Folco sì forte la risposta udendo,
Verso una porta allor calca i sentieri,
Onde poteano entrare armi d'aita,
Ed onde far contra i nemici uscita.
XLII
Per quella aspra stagion fido custode
L'animoso Lancastro ivi s'elesse,
Che sorto da la culla, in su le prode
Del bel Tamigi le vestigia impresse;
Chiaro per gli avi; ma superba lode
Acquistò, di sua man con l'opre istesse
Tra' ferri or sotto caldi, or sotto geli
Stancando il fianco, ed imbiancando i peli.
XLIII
A costui Folco favellò: le mura
Già tutte aperte, e da gli assalti offese,
Parte pregando ho già lasciate in cura
Ed a l'Ispano, ed al valor Francese;
Parte non men di lor farà secura
Il valor de l'Italiche difese.
I duci io vidi; e coraggioso e forte
Trovai ciascuno a vilipender morte.
XLIV
Lancastro, alberghi d'oro, alta ricchezza,
Qual sommo ben non ogni spirto ammira,
Ed anco in van scettro real si prezza;
Sì miseria sovente in basso il tira;
Ma tra rischi di morte oprar fortezza,
Vincer la rabbia de' nemici, e l'ira,
E consacrarsi a Dio ciascuno onora;
Ciò dentro il tuo gran cor faccia dimora.
XLV
Rispose: e qual posso incontrar fatica,
Quale oggi sarà stral, che mi percota,