I drammi de' campi. Emilio Raga
avesse a far di tutto per averlo: metteva in campo lusinghe, persuasioni, tendeva gherminelle, offriva cambi con altre terre, minacciava anche, messo con le spalle al muro. E se tutto ciò non approdava a nulla, perdeva la pace, se ne sognava la notte, era preso dalla malinconia, e faceva fioccare l'offerte, sino a che il proprietario, abbagliato, non cedesse.
Allora diventava un giovinotto a vent'anni: non voleva che la persona s'allontanasse, temeva che ci dormisse sopra; correva a casa, si cambiava d'abito, prendeva il danaro necessario, e via dal notaro. Respirava. L'indomani immancabilmente metteva in capo il suo largo cappellaccio, di feltro grigio, prendeva un suo lungo bastone che pareva un bastone di pecoraio, e se n'andava diviato nella nuova proprietà. Provava un vivo piacere a vedere rompere i limiti divisori, squarciar la terra dall'aratro se campo seminativo, dalla zappa se vigna, e spingeva quel suo amore per la terra sin a curvarsi a raccogliere anche lui de' sassi e gettarli nei mucchi rotondi che faceva inalzare apposta perchè occupassero meno spazio, a estirpare i minimi fili d'erba che i giornalieri si lasciavano dietro. Ciò sin a tanto che un nuovo amore non venisse a fargli scordare il primo, un nuovo acquisto non richiedesse le carezze già prodigate al precedente. Così aveva fatto la fortuna di tanti poveri diavoli, che, se ridevan di lui, in fondo lo benedicevano. Questa brama però aveva le sue colonne d'Ercole: cessava appena il confine arrivasse a una via, a un torrente, anche a un ruscello. Bisognava vedere allora con quanta indifferenza guardava le terre al di là! non l'avrebbe prese manco regalate. Ciò per non guastar l'ordine. Era di sangue caldo, gridava per ogni nonnulla; ma in fondo poi era una pasta di zucchero: in quella casa il bernoccolo della bontà l'avevan tutti.
Donna Costanza, la sorella, aveva avuto sempre una particolare affezione per lui; sì che avevano finito con far tutt'una casa. Era una donna di media statura, grossa, con un faccione rotondo dal naso a ballotta; proprio una botta, come dicevan tutti, ma che aveva tali pregi da far dimenticar quasi la sua bruttezza, per la quale, del resto, in paese non aveva potuto trovare un cane che le abbaiasse. Non è a dire se ciò arrivava all'anima della poveretta che lo sapeva, benchè si fosse rassegnata. Anzi aveva spinto il buon senso a tal punto, da non voler acconsentire a farsi vedere da uno spiantato d'un paese vicino, venuto con un mezzano di matrimoni per conoscerla e sposarla qualora gli piacesse, diceva lui: aveva compreso esser quella una pura formalità, quel coso voler la dote e non lei.
Aveva fatto la serva alla cognata, una donna superbiosa da stomacare, e quando questa era morta al parto, s'era data a prodigare tutte le sue cure alla neonata: l'aveva cresciuta, le aveva insegnato quel poco che sapeva di lavori donneschi, le aveva trasfuso tutti i buoni sentimenti della sua anima candida, e ne aveva fatto un angelo. Fu così che la piccola Lola non s'accorse della sostituzione e l'amò come una vera madre.
Sin dal primo giorno però aveva avuto il governo della casa; il che la solleticava un pochino: lei provvedeva alle spese giornaliere, lei s'occupava delle provviste. Sicchè era sempre attorno or per una cosa, or per un'altra, e un po' di riposo l'aveva solo la sera, quando, messa a letto la nipotina e fattala addormentare con una fiaba, andava a sedersi vicino al tavolino dove il fratello faceva invariabilmente la solita partita a scovertino con padre don Giuseppe. Essa amante d'ogni giuoco (benchè non giocasse che al solo lotto) stava a guardare attentamente e con un vivissimo piacere. Nella stanza regnava il silenzio rotto solo dalla voce monotona de' giuocatori:—Coppe.—A lei.—Bastoni.—Tre d'assi…. Don Alessio, bizzoso quanto mai al giuoco, dava un gran pugno sul tavolino: era il segnale, e cominciavano a bisticciarsi. Donna Costanza cercava d'acquetarli…. Basta, ci riusciva: ma eccoti il reverendo a cominciare a sua volta…. A un'ora e tre quarti precisi si stabiliva di fare l'ultime tre partite, a due ore si cenava, a tre tutti erano a letto. Si faceva una piccola eccezione alla regola, quando il reverendo restava a cenare alla villa, o quando c'era Giovanni, il nipote, il che era sempre un avvenimento.
Aveva appena aperto gli occhi gnaulando, quando la mamma decretò, che gli si sarebbe messo nome Giovanni com'il nonno, e se ne sarebbe fatto un avvocato. Chi ha roba, ha liti. Il bimbo era venuto su sano e robusto, con tutt'altra inclinazione che per il codice, a giudicarne dalla sua passione pe' bastoni, su' quali cavalcava tutto il santo giorno, e per certi cappelli da generale con fiocchi e franzoli di carta, sua manifattura, che mettevano come un fruscio di foglie dovunque passasse galoppando. Poi una sera, in casa dello zio, gli avevano messa sulle braccia la cuginetta nata d'allora, e gli avevan detto ridendo: bacia la tua piccola sposina. Il fanciullo era diventato rosso sino alla radice dei capelli, aveva fatto una smorfia che voleva essere un sorriso, e aveva appiccato un bacio tanto forte sulla guancetta della bimba, che questa s'era messa a strillare. Così li avevano fidanzati sin dal nascere; e a mantenere sempre viva quell'idea ne' loro piccoli cervelli, la nonna alludeva, don Bastiano e donna Rosaria alludevano, don Alessio, donna Costanza, le serve…. fino i gatti di casa: tutt'e due ricchi, tutt'e due figli unici, era naturale: la sposa non avrebbe cambiato nemmeno di cognome. Essi soli non pronunziarono parola che accennasse a quell'accordo de' parenti: però la piccola Lola, sin dall'età della ragione cominciò ad imporsi con certe prepotenze di donnina viziata, a tenergli il broncio come un'amante quand'egli non le andasse a' versi, e Giovanni a fare ogni suo volere, benchè non fosse tanto pieghevole. Egli passava alla villa le feste e le vacanze. Facevano a rincorrersi o a rimpiattino, scorazzavano pe' campi, saccheggiavano il frutteto, alzavano casette e forni con pezzi di mattoni e terra bagnata, riempendo la casa, per solito silenziosa, delle loro risa e delle loro grida infantili, insudicciandosi, e facendo spazientire la zia. Fin la partita disturbavano la sera, e, cosa incredibile, don Alessio li lasciava fare sorridendo.
Ma un bel giorno Giovanni arrivò col babbo. Veniva a salutare lo zio, la zia e la cuginetta, prima di partire per Palermo: aveva compiti i dieci anni e la nonna aveva detto: è tempo ch'egli entri in collegio.
I due cugini non si videro che dopo sette anni. Il ragazzo s'era cambiato in un bel giovinetto che si pavoneggiava un pochino nella divisa di colleggiale di panno turchiniccio con le mostre rosse, la bimba in una fanciulla, che, a cagione del suo sviluppo precoce, mostrava più anni di quelli ch'avesse realmente. Dovettero pensar certo alle allusioni che s'eran fatte in famiglia sul loro avvenire, poichè si guardarono timidamente, arrossirono, si confusero, non seppero se non balbettare poche parole. Don Alessio e donna Costanza sorrisero e la vecchia serva dette loro d'occhio.
Agosto, settembre e ottobre, passarono come in un sogno delizioso. Oh, le belle passeggiate ne' dintorni! le scorpacciate di more sotto al grand'albero, con la faccia e le mani impiastricciate di rosso, facendo a rubarsi le più grosse, e le più mature! Oh, le belle sere passate al lume di luna nell'aia, sdraiati sulla paglia, a sentire l'allegre canzoni de' contadini, accompagnate dallo scaccia pensieri; o i cori stupendamente intonati con quelle cadenze larghe e malinconiche che fan vibrare le parti più riposte del cuore! E la raccolta delle frutta nell'autunno, e la vendemmia con i balli nel prato al suono dello zufolo accompagnato dall'accordo delle voci dopo la tramuta! Sì che lo studente, ritornato a Palermo, alzava la faccia spesso dal libro, e con l'anima inondata di mesta tenerezza, restava assorto in que' ricordi, fra' quali si moveva la figura della cugina col visino bianco tanto simpatico, e gli occhioni bruni e le grosse trecce nere che soleva portare sulle spalle. E or la vedeva seduta in casa, curva sul suo lavoro d'ago o di ricamo; or in mezzo a' campi per la viottola costeggiata di siepi di sambuco, con una rosa fra' capelli; or seduta nell'aia col bel viso illuminato in pieno dalla luna; or sotto al gelso, a rizzarsi sulla punta de' piedini, e stender la mano per cogliere una grossa mora: la manica del vestito scivolando, lasciava a nudo un braccio bianco come neve: oh, quella manica caramente indiscreta! Allora sì, aveva un bel rileggere il periodo, fare tutti i suoi sforzi per carpirne il senso; dopo due o tre parole la mente ricorreva dietro a quel caro fantasma. Pensava con un dolce trasalimento che una volta in cui lei gli mostrava certi cardellini che un contadinetto le aveva portati la mattina stessa, le loro mani s'erano incontrate nel carezzarli, ed essa s'era fatta rossa rossa: ricordava anche com'era vestita quel giorno…. d'una veste di mussola azzurro cupo, con delle mostre di tela color caffè crudo, aveva sul capo, e annodato sotto il mento, un fazzoletto di seta bianca: pensava che l'ultima volta ch'egli lasciò la villa, nell'accomiatarsi, aveva tenuto a lungo fra le sue la mano che la fanciulla gli abbandonava, e s'erano guardati a lungo negli occhi: quel suo sguardo l'aveva accompagnato come una carezza nel montare a cavallo, nel voltarsi indietro a salutar per l'ultima volta là dove la via si perde fra gli alti castagni che nascondono la vista della spianata…