I drammi de' campi. Emilio Raga

I drammi de' campi - Emilio Raga


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la tristezza della lontananza, il desiderio di quel luglio nella cui metà si solevano dar le vacanze, immaginava eventi per i quali la sua presenza fosse inesorabilmente necessaria, ne' luoghi a lui ora tanto cari.

      Però l'amore a quell'età soggiace all'incostanza dell'anima ancora fanciulla: oggi è fiamma, domani cova sotto le ceneri, o si spegne del tutto. L'esser libero per la prima volta in una grande città, i divertimenti, gli amici con le loro tentazioni, lo distrassero: i ricordi si presentarono meno vivi, i pensieri non più caldi e insistenti come prima: cominciò con qualche scappatella, sinchè ruppe la cavezza affatto, e la fanciulla fu quasi dimenticata.

      In quel torno la nonna cadde malata gravemente. Giovanni chiamato in fretta da Palermo, arrivò appena in tempo per baciarle la mano l'ultima volta. Passato il lutto, s'aprì il testamento. Ma la vecchia aveva fatto prima delle donazioni a don Bastiano, il testamento non era tanto chiaro, don Alessio si piccò per un nonnulla, e messe su causa. Con la causa nelle due famiglie entrò una certa animosità, sicchè cessarono dal vedersi.

      A Giovanni ciò non fece nè caldo nè freddo: ora egli aspettava con impazienza la fine delle vacanze per tornare a divertirsi in città, dove anzi si diceva che il signorino facesse il cascamorto con la figlia d'un ricco negoziante.

      Intanto in paese, per non perder tempo, guardava con fissità da facchino le grosse figlie del cancelliere della pretura, che andavano in sollucchero civettando della maniera più grottesca; faceva la posta alle servotte che andavano all'acqua in piazza, sull'imbrunire. Le pedinava; sussurrava loro dietro delle parolacce e delle proposte; ne ghermiva qualcuna in un vicolo deserto o sotto a un arco buio. Ciò secondo lui era essere un giovine di spirito, uno che sappia davvero cosa vuol dire far vita.

      —Che caro pazzo, dicevan tutti. E se ne imitavano le mode, se ne scimmiottavano le maniere, si ricercava la sua compagnia, la sua amicizia.

      La sera in Casino si faceva crocchio attorno a lui; egli raccontava le sue avventure, con parole molto libere, tra le grasse risate, e gli sguardi accesi di voglia di quei più o meno barbuti signori, tra gli ammicchi e' sogghigni dei giovinastri, de' quali qualcuno s'alzava rosso come un gambero, e spariva per tutta la sera. Gli attempati anzi affettavano di dargli dei consigli, infilando famigliarmente il braccio sotto al suo: tutto ciò per strappargli delle confidenze: come stesse a quattrini, se era in via di rovinare il babbo, poveretto, un uomo che non se lo meritava davvero. E lasciatolo appena, andavan dicendo roba da chiodi de' fatti suoi. Aveva le mani bucate quel giovine; quella casa era bell'e ita; non era credibile quanti debiti avesse quel poco di buono a Palermo; una sera, nientemeno, aveva speso mille lire per una cena in un certo locale…. in un certo costume…. cosa da far nausea addirittura!

      —Uh, chi gli darà la figliuola ora a quel vizioso? A pronuncia! esclamano le mamme, segnandosi col pollice sulla fronte, come per scacciarne la tentazione.

      Trascorsero cinque anni. Si decise la causa che vinse don Bastiano. Si misero di mezzo alcuni amici intimi, e i due fratelli pacificarono. In quell'occasione si pianse di commozione e di gioia; nessuno però ne provò tanta quanto la giovinetta, oramai sicura di rivedere il suo Giovanni. Essa non aveva scordato le belle passeggiate, e le canzoni dell'aia, e i balli dell'autunno. Lo amava di più anzi quell'ingrato che non s'era fatto più vivo, forse per quel che sentiva raccontare della sua vita sbrigliata (è così fatta la natura umana) forse perchè come certi teneri cuori non doveva amare che una sola volta.

      Si rividero. Arrossirono come al solito sino al bianco degli occhi, balbettarono come al solito, e passata la prima commozione provarono tutt'e due una viva tenerezza.

      —Dio, come s'è fatto bello! pensò l'una tutto il giorno.

      —Come s'è fatta bella! pensò l'altro. E in capo a poche settimane non solo tornò ad amarla come prima, ma confessò a sè stesso che oramai non poteva vivere senza di lei.

      Tuttavia malgrado ciò, malgrado fosse compreso dal fascino che facevan sempre più crescere i colloqui intimi ne' quali parlavano del più e del meno con tenere inflessioni nella voce, le carezze degli occhi, certi rossori subitanei, certi dolci sorrisi, certi tocchi innocenti…. que' mille nonnulla insomma che per gli innamorati sono tante incantevoli rivelazioni, non osò mai farle una dichiarazione. Egli tanto ardito con l'altre donne, dinanzi a lei diventava timidissimo. Aveva tentato diverse volte cercando di farsi coraggio con tutti gli argomenti possibili, ma inutilmente: non poteva pronunziarla quella parola che il cuore gli spingeva sulle labbra, e non s'accorgeva ch'essa stava ad aspettarla ogni volta tutta tremante.

      Un giorno però ardì rubarle un guanto. Era un piccolo guanto grigio, molto sciupato, che cacciò rapidamente nel taschino del panciotto: e ne lo cavava fuori spesso, e lo baciava, e ne aspirava l'odore con certi dolci fremiti, come se sotto al naso e sulle labbra, ci avesse la piccola manina della fanciulla con la punta dell'indice punzecchiata dall'ago.

      Lola lo cercò con una singolare insistenza; fece un mondo di domande al cugino…. avrebbe fatto supporre essersi accorta ch'era stato lui a prenderglielo. Quel guanto ebbe la virtù di guarire in certo modo il giovine dalle sregolatezze passate. Ora era agitato d'altri pensieri. Aveva ventitre anni e si sentiva stanco di quella vita da scapestrato…. Oh, la vita beata coniugale, nella pace, tra una nidiata di figlioletti rosei e ricciuti, senza cure e senz'impicci! E provava una dolcezza infinita. Gran destino era il suo che quella benedetta nonna avesse disposto ch'egli doveva prendere la laurea prima d'ammogliarsi!… Basta, era il penultim'anno quello, e per di più n'era passata la metà: un anno e sei mesi si fanno sur un piede, che diavolo!

      Anche la sua timidità era scomparsa dopo quell'atto ardito; almeno egli lo credeva: anzi aveva giurato a sè stesso che, arrivato a Badalà, non si sarebbe lasciata sfuggire la prima occasione favorevole; l'avrebbe pronunziata quella parola che doveva rendere completa la sua felicità.

      E aspettò le vacanze in preda a un'impazienza vivissima.

      III.

      Se fosse dato a ognuno di far correre il tempo a seconda de' propri desideri, la vita, dall'età della ragione all'ora della morte, non sarebbe che un breve passo. Finalmente vennero quelle penultime vacanze tanto desiderate, e l'ora in cui il giovane potè montare la sua storna, e seguito da due campieri, mettersi in via per S. Giovanni.

      La villetta gli apparve all'uscir dalla gola della Ferma, imporporata da' raggi del sole in sul tramonto. Come gli batteva il cuore! come parvegli interminabile quel breve tratto di via che doveva ancora percorrere per arrivarci! Che faceva lei in quel momento?… Se era al terrazzino poteva riconoscerlo alla cavalla…. Come la troverebbe?… s'era mutata?… Oh, se non l'avesse a guardar più negli occhi con quella dolcezza di paradiso che faceva di lui il più felice degli uomini!

      E una voce interna gli diceva, che stesse tranquillo, la sua Lola sarebbe stata con lui come per il passato, che cessasse dal dubitare, essa l'amava. E quella villetta in mezzo ad un bel verde, circondata sin dove l'occhio arrivava, da stoppie gialle, tramezzate qua e là da favuli bruni, da vigneti, da qualche boschetto, gli sembrava un vero Eden, dove, con quell'Eva, si sarebbe potuta passare la vita intera nelle voluttà dell'amore.

      Al paesetto sonava l'Angelus quando il ponte di legno che accavalcava il piccolo borro, secco in quella stagione, risonò sotto lo scalpitare delle cavalle. S'internarono in una viottola ripida tra due siepi di rose d'ogni mese, si curvarono sul collo delle cavalle per evitare i rami del famoso moro, e poco dopo, per il viale de' castagni, sbucarono nella spianata. Due grossi mastini si slanciarono abbaiando; una fanciulla, con un cucito in mano, s'affacciò appena nel terrazzino e rientrò vivamente arrossendo: Giovanni però l'aveva veduta.

      Le solite feste dello zio Alessio e della zia Costanza non mancarono; non mancò il solito invito fatto sempre con la solita frase: «questa volta, spero, vorrai passare alcuni giorni con noi;» gli offrirono vino, gli offrirono caffè. E don Alessio cominciò a darsi moto; s'affacciò alla terrazza, urlò con quanto n'aveva in canna allo stalliere di menar nella stalla la cavalla del signorino; s'adirò anche perchè non l'aveva già fatto, e lì un diavoleto: poi rientrò, andò, come soleva a dir le sue ragioni alla sorella, e senz'attender risposta, nell'anticamera ad affacciarsi all'uscio della


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