Pro Judaeis: Riflessioni e Documenti. Corrado Guidetti

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      Questo disordine non deve recar meraviglia. Chi non sa che, malgrado gli sforzi di Triboniano, il Digesto abbonda in germinationes, leges fugitivae, errativae? Gli stessi famosi capitolari di Carlo Magno, o meglio dei Re Franchi (Capitula Regum Francorum), non sono, se si considerano colle idee dei nostri tempi anzichè con quelle dell'epoca in cui vennero scritti, che una indigesta e disordinata farraggine (78). Eppure i Capitolari son di vari secoli posteriori al Talmud.

      Una questione importante a risolversi sarebbe quella di conoscere, se il disordine che tanto si lamenta nel Talmud, sia una ripercussione di quello che avrebbe sistematicamente regnato nelle discussioni delle accademie ebraiche; ma l'esame di tale questione ci porterebbe fuori del ristretto campo di questo modestissimo libercolo, sicchè contentiamoci di averla accennata.

      Il miscuglio però dell'Agadà coll'Alachà ci viene spiegato da un aneddoto che troviamo narrato nel Talmud stesso, e che ci piace riferire anche perchè vale a render ragione delle iperboli esagerate che spesso si riscontrano nel Talmud, e di cui si fecero un'arme coloro che vollero denigrarlo, senza tener presente l'aureo consiglio di Goëthe, che chi vuole comprendere un poeta deve recarsi nel paese dove egli visse. Un vecchio maestro, narra adunque il Talmud, accorgendosi un giorno che i suoi scolari sonnecchiavano durante la lezione, si interruppe d'un tratto per dire: “Vi fu una volta in Egitto una donna, che diede alla luce seicentomila uomini.” Si può di leggieri immaginare l'effetto prodotto da questo meraviglioso racconto. “Era, continuò tranquillamente il maestro, Jochebed, la madre di Mosè, il quale valeva da solo i seicento mila uomini d'arme che uscirono dall'Egitto”; e rieccitata in tal guisa l'attenzione dell'uditorio, continuò la sua lezione. Chi conosce l'indole immaginosa degli Orientali comprenderà come i maestri, per tener desta l'attenzione degli uditori, dovessero spesso ricorrere a tale sistema, mescolare la leggenda divertente e fantastica col precetto rigido e positivo.

      L'Agadà fu spesso segno a motteggi, ed è sempre o quasi sempre di essa che si parla, allorquando si discorre di fantasticherie rabbiniche, o si scaglia contro gli Ebrei il vecchio insulto: Lex Judaeorum, lex puerorum (79).

      Niun miglior giudice però dell'importanza che devesi annettere ad un'opera, dello stesso autore; ora nel Talmud stesso troviamo questo giudizio che può fare apprezzare l'importanza che gli stessi rabbini annettevano all'Agadà: “Colui che la trascrive non avrà la sua parte nell'altro mondo, colui che la spiega sarà bruciato e colui che l'ascolta non riceverà ricompensa” (80).

      Ogni popolo ha le sue leggende, ma non accade sovente di vedere i contemporanei giudicarle coll'indipendenza d'opinione di cui dà prova questo rabbino.

      Ed è veramente strano il vedere che, malgrado siffatta indipendenza di giudizio, si sia potuto da taluno asserire che gli Ebrei di ogni paese si sarebbero obbligati con patto solenne ad accettare il Talmud nella sua integrità, a non aggiungervi ed a non togliervi una sola parola. Con ben maggiore ragione un illustre professore tedesco scrisse: “che i Talmud non hanno essenza dogmatica, che persino i risultati scientifico-legali sono soltanto opinioni individuali e provvisoriamente valevoli, che la sinagoga non li sanzionò mai, e non riconobbe mai in essi l'autorità di decretali riconosciute e generalmente valevoli.” (81).

      Infatti il Talmud non fu mai accettato dalla nazione, in assemblea generale o speciale. Le sue decisioni legali, come quelle che emanavano dalle più alte autorità teologiche del Giudaismo, formarono certamente la base della legge religiosa, la norma di tutte le decisioni future. Ma è probabile, per non dir certo, che egli non deve la autorità di cui gode, che ad una causa non prevista dai suoi stessi autori. Durante le persecuzioni contro gli Ebrei, che ebbero luogo nell'impero persiano sotto Ysdegerd II (440 d. G. C.), Peroze e Cobade, le scuole furono chiuse per quasi ottant'anni. Lo sviluppo permanente, continuo, della legge che era lo spirito del Giudaismo fu violentemente interrotto; ed il libro ottenne una autorità suprema, che era ben lungi dalla mente dei suoi autori.

      Ma qual sia questa autorità, ce lo dice Samuel Naghid, il dottissimo ebreo spagnuolo che fu nell'xi secolo segretario di un re di Granata, e che è autore di una introduzione al Talmud, tenuta in tanto conto dagli Ebrei, che forma oggidì parte integrante di tutte le edizioni del Talmud stesso:

      “Tutto quanto si trova nel Talmud, e che non abbia rapporto con la legge rituale dicesi Agadà; nè da questa devesi trarre altro insegnamento se non quello che persuade. È da notarsi eziandio che quello che i dottori fissarono essere dottrina rivelata a Mosè sul Sinai deve ritenersi come legge fissa ed immutabile, mentre le deduzioni da essi fatte coll'appoggio di commenti a testi biblici, son cose fatte a seconda delle esigenze, delle circostanze e delle proprie idee; per cui mentre devesi ritenere quanto in questi ultimi insegnamenti vi ha di persuadente, il resto non è cosa su cui si abbia l'obbligo di appoggiarsi.” Se così scrivevano gli antichi non meraviglia che con eguale indipendenza il rabbino Hurwiz di Londra abbia scritto nella sua opera Hebrew Tales: “Sono lungi dal sostenere che il Talmud sia un libro irreprensibile, sono disposto ad ammettere che contiene molte cose, che ogni spirito illuminato, ogni israelita pio desidererebbe non vi fossero mai state o vi fossero, almeno, state tolte da molto tempo.” (82).

      Se piacque dunque a taluno, dice, ben a ragione, il dottissimo Bedarride (83) di porre a paro le prescrizioni del Talmud con quelle della legge di Mosè, questa dottrina non è mai stata ammessa dagli Ebrei siccome articolo di fede. Nelle cerimonie del culto giudaico è il Pentateuco che il ministro della religione presenta ai fedeli dicendo: “Ecco la legge che portò Mosè ai figliuoli di Israello.” Se il Talmud avesse formato un tutto colla legge di Mosè non si sarebbe mancato di unirlo a quella in siffatte funzioni.

      “Negli articoli di fede del Maimonide, che ottennero l'approvazione di tutti gli Ebrei, si legge: “Tutta la legge che è oggi nelle nostre mani ci è stata trasmessa da Mosè.” Anche qui evidentemente non può trattarsi che del solo Pentateuco.

      “Infine, in tutte le epoche, i più dotti rabbini si sono espressi liberamente sul conto del Talmud, ciò che non avrebbero osato fare se fosse stato parte della legge rivelata.

      “Così Judas Levy, che fiorì nell'undecimo secolo, dichiara nel Cozri, che vi sono nel Talmud cose che già ai suoi tempi non si sarebbero scritte (84).

      “Maimonide, nel Morè hanevohim, critica numerosi brani del Talmud, ed allorquando taluni zelanti vollero scomunicarlo, una folla di dotti ebrei alzò la voce per adottarne e difenderne le opinioni.

      “Così Aben Ezra, Giuseppe Albo, e gran numero di altri dottori che meritarono il nome di sapienti, pur rendendo alle tradizioni, che si trovano nel Talmud, il tributo di rispetto che meritano, non hanno esitato a dichiarare che vi si contengono cose che non è possibile ammettere.”

      Non si creda però che noi intendiamo invocare quanto siamo venuti finora dicendo per sostenere che dal Talmud non si può desumere un sicuro criterio per giudicare della moralità degli Ebrei. Lungi da noi siffatta idea.

      Volemmo soltanto dire che coloro i quali asseriscono avere gli Ebrei egualmente autorevole il Pentateuco ed il Talmud sono in grande errore, siccome errerebbe chi asserisse che, pei Cristiani, il Vangelo e la Summa di San Tommaso hanno eguale valore.

      Certamente non mancan Cristiani che non curano o non comprendono i sacri misteri della loro fede per correr dietro alle stupide fole di Maria Lateau (85) come non mancano Ebrei che trascurarono quasi il Pentateuco e le opere sublimi dei loro filosofi, dei loro pensatori per perdersi nelle quisquilie del Talmud.

      Ma questo, ci si permetta dirlo, non prova nè contro gli Ebrei, nè contro i Cristiani, prova soltanto,


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