Pro Judaeis: Riflessioni e Documenti. Corrado Guidetti
href="#ulink_ec04ec9a-2177-551b-8b39-2cada93865ee">(63), cioè dei dottori più celebri vissuti durante i due secoli anteriori, e ne fece un'opera divisa in sei parti principali, dette ordini.
Ogni ordine è diviso in trattati (letteralmente: contesti), ogni trattato in capi, ogni capo in paragrafi (detti mischnà, nel senso più ristretto della parola). La prima parte od ordine che dir si voglia intitolata delle sementi tratta delle leggi dell'agricoltura e delle decime (64). Vi è premesso un trattato sulle benedizioni quotidiane e su quelle che devonsi pronunciare in varie circostanze. La seconda parte delle Feste tratta delle cerimonie da compiersi nei giorni feriali e solenni. La terza: della Donna o del matrimonio e dei doveri della famiglia. La quarta: dei danni, si occupa della indennità dovuta pei danni che si occasionano altrui ed in generale di tutto quanto si riferisce al giure civile ed al punitivo. Questa parte offre in moltissimi punti una grande analogia col diritto romano (65). A questa parte è aggiunto un trattato di morale che contiene una raccolta di sentenze morali dei padri della Sinagoga. La quinta parte tratta della Santità e dei sacrifizi che si offrivano nel Tempio, che vi è minutamente descritto, e contiene inoltre i precetti sui cibi. La sesta verte sulle purificazioni e sulla purità ed impurità legale.
Lo spirito generale della Mischnà trova la sua migliore espressione nelle parole del suo stesso redattore, che servono quasi di epigrafe alla intiera raccolta: “Siate tanto coscienziosi nell'adempimento dei piccoli precetti quanto dei grandi perchè ignorate la ricompensa che va annessa ad ognuno di essi. Paragonate la perdita temporale che vi occasiona l'adempimento di una legge, colla ricompensa celeste che vi è congiunta, ed il beneficio che risulta dalla trasgressione della legge colla pena che deve seguirla. Per evitare il peccato abbiate sempre presente tre cose: che al dissopra di voi vi ha un occhio che tutto vede, un orecchio che tutto intende, e che tutte le vostre opere sono scritte in un libro” (66).
La Mischnà ha più carattere di codice che di trattato di metafisica. Però essa non trascura l'occasione di inculcare quegli alti principii morali cui deve informarsi la stretta lettera della legge. Nell'esecuzione di un fatto guarda più all'intenzione che all'atto in sè stesso. Chi reclama un diritto, basandosi sulla lettera della legge, ma senza tener conto del sentimento di umanità, che dovrebbe spingerlo a non insistere nelle sue pretese, non è amato nè da Dio nè dagli uomini. Quegli invece che spontaneamente fa buon diritto agli altrui reclami, anche quando la legge non gliene impone l'obbligo, colui, in una parola, che non si ferma alla porta della giustizia, ma che varca la linea della misericordia, guadagna l'approvazione del saggio. “Gerusalemme, vi è detto, non andò distrutta se non perchè in essa si giudicava col rigor della legge” (67). Certi doveri, come, ad esempio, il rispetto ai genitori, la carità, l'applicazione precoce allo studio, l'ospitalità, il metter pace fra nemici traggono seco (68) la loro ricompensa in questo mondo, ma questa non è che un interesse; la vera ricompensa, il capitale, viene pagato nella vita futura. Nella Mischnà non è parola dell'inferno. Oltre le pene sancite dalla legge la Mischnà non minaccia ai peccatori che un solo castigo misterioso e formidabile mandato da Dio, “lo sradicamento;” è lo sterminio (cared) di cui già parla la Scrittura. Le colpe si riscattano generalmente o col pentimento, o colla carità, o col sagrifizio e nel giorno della espiazione; se gravissime, il pentimento giova soltanto a sospendere gli effetti dell'ira divina, ed ove esso continui sino alla morte, questa tutto espia. I peccati commessi contro gli uomini non sono perdonati se la parte offesa non riceve piena riparazione, e non si dichiari soddisfatta. La virtù la più alta consiste nello studio della legge, siccome quello che conduce all'esercizio della virtù (69). Un bastardo istrutto è più onorevole di un gran sacerdote che non lo sia (70).
Esistono due redazioni della Mischnà, le quali non presentano per altro notevoli differenze.
La Mischnà, la quale non contiene generalmente che la decisione finale della tradizione, secondo i pareri dei diversi dottori, fu naturalmente argomento di note, di scolii, di discussioni, nelle due accademie religiose di Palestina e di Babilonia. In ciascuna di queste due accademie si fece più tardi una raccolta di queste discussioni: queste raccolte, molto più voluminose della Mischnà che serve loro di testo, presero il nome di Ghemarà o complemento. La Mischnà e la Ghemarà insieme unite formano il Talmud (71).
Per conseguenza si hanno due Talmud; uno frutto degli studi dell'Accademia di Palestina chiamato Ghemarà di Gerusalemme, l'altro dovuto all'Accademia di Babilonia e detto Ghemarà di Babilonia.
La Ghemarà di Gerusalemme venne redatta a Tiberiade ed ultimata probabilmente verso la fine del iv secolo dell'èra nostra, sotto la direzione di rabbi Iochanan, detto anche bar nappachà, ossia, figlio del fabbroferraio (72). Conteneva i commentarii sulle cinque prime parti della Mischnà, ma quelli risguardanti la quarta parte andarono perduti.
Anche le altre quattro parti contengono taluni trattati incompleti. Questa Ghemarà venne negletta, negli studii delle scuole ebree del medio evo. Essa subì la sorte delle Accademie, da cui aveva avuto origine, e che vennero ecclissate da quelle di Babilonia. Se le edizioni del Talmud gerosolimitano sono meno buone, è perchè ancora non se ne è scoperto un esemplare manoscritto colla cui scorta si possano ristabilire i differenti brani mutilati dai copisti. Inoltre questo Talmud offre molta difficoltà, grazie alla lingua, in cui è scritto, imbarbarita dalla mescolanza di molte voci greche e siriache.
La Ghemarà di Babilonia, la cui autorità prevalse fra gli Ebrei, venne redatta, in una lingua mescolata d'ebraico e d'aramaico, nel corso del quinto secolo, da Aschè, celebre dottore dell'Accademia di Sora (73), da Ravenà suo discepolo e terminata l'anno 500 da rabbi Jossè. Essa è almeno quattro volte più voluminosa dell'altra, quantunque a noi non sian giunti che i commenti a trentasei dei sessantatre trattati, di cui si compone la Mischnà. Le discussioni vi sono più sviluppate, essendo stato chiuso più tardi. Contiene, oltre alle dispute di numerose scuole babilonesi, anche quelle di talune scuole di Palestina.
Questa Ghemarà, al paro della Gerosolimitana, è composta di due parti principali: la parte rituale, detta Alachà, in cui si discorre anco dei riti che divennero impraticabili dopo la distruzione del tempio e una parte non rituale, detta Agadà che contiene narrazioni, leggende, allegorie, proverbi, regole di vita sociale, dottrine morali e sentenze (74). Morale, metafisica, giurisprudenza, astronomia, medicina, tutte le scienze trovano luogo nel Talmud (75).
Le nozioni, che sopra ognuna di esse vi si leggono, sono certamente ben lungi dal raggiungere la perfezione, ma, a traverso gli errori moltissimi che danno a quel libro l'impronta dell'epoca in cui fu scritto, appare che, sin da allora, esisteva presso gli Ebrei il germe della Enciclopedia umana. E ciò è tanto vero che l'Etheridge, scrittore certamente non favorevole al giudaismo, si lascia scappare questa confessione: “Quando il Talmudismo come sistema religioso sarà scomparso, il Talmud non cesserà perciò di essere una preziosa miniera di leggende divertenti e di lezioni inapprezzabili che resteranno vere per tutti i tempi futuri” (76).
Quanti scrissero del Talmud notarono il disordine con cui è redatto. L'Alachà e l'Agadà vi si incontrano promiscuamente, senza sistema nè ordine, sicchè un illustre scrittore disse sembrar quasi che i dottori, minacciati dalla dispersione, agissero come uomini che in un incendio salvano tutto quanto loro viene sotto mano, lasciando ad altri la cura di tirare più tardi il miglior