Pro Judaeis: Riflessioni e Documenti. Corrado Guidetti
ve v'erano 20,000 sotto Augusto, e narra Strabone che v'erano numerosi Ebrei in quasi tutte le città d'Italia (33). E numerosi eran pure in molti altri paesi non ancora sottoposti al giogo di Roma. In ogni luogo, al dire di Filone, gli Ebrei esercitavano una salutare influenza sulle credenze religiose e sui costumi; in ogni luogo avevano stabilito sinagoghe, dove si riunivano nei giorni di sabato per pregare e commentare la Bibbia. A queste riunioni partecipavano sovente molti pagani, che aderivano poco a poco alle nuove dottrine udite proclamare, e che, rigettando gli errori del politeismo, accettavano le pratiche più essenziali del giudaismo, il riposo settimanale e l'annuo digiuno dell'espiazione. In tutte le classi sociali del mondo romano abbondarono i giudaizzanti, ben prima che sorgesse l'apostolato cristiano; sicchè si può dire coll'Havet (34) che, se colle parole l'avvento del Cristianesimo, deve intendersi la conquista del mondo greco e romano da parte del Dio degli Ebrei, si può dire che questo avvento aveva avuto luogo sin dai tempi di Augusto e di Tiberio, e che questa conquista era in via di compiersi, ben prima che fosse questione di Cristo.
Ad Alessandria di Egitto, a Roma, in Siria la propaganda giudaica fu sempre intensa ed efficace.
Giuseppe Flavio ci apprende come molti greci passassero in Antiochia al Giudaismo (35).
A Roma il proselitismo ebraico, nascosto nelle vie adiacenti al Tevere, forse in prossimità almeno dei luoghi dove oggi ancora sorge il ghetto, guadagnò neofiti persino nelle famiglie patrizie, salendo dallo schiavo al liberto, dal liberto al padrone (36).
E di questo spirito di proselitismo e della efficacia sua ci dà prova Svetonio (37).
L'influenza delle idee giudaiche sul paganesimo preoccupava gli spiriti: Victoribus victi legem dederunt sclama Seneca nel De Superstitione, ed il poeta Rutilio geme: Atque utinam nunquam Judaea subacta fuisset.
Nè il legislatore se ne mostra meno impensierito. Al tempo di Domiziano le conversioni al giudaismo erano così frequenti che parecchie leggi furono fatte per impedirle (38). I convertiti erano puniti di morte e colla confisca dei loro beni, e la stessa pena colpiva coloro che erano accusati di aver cooperato alla loro apostasia.
Nè pare che queste leggi avessero risposto allo intento, perchè vediamo Costantino obbligato a proibir di nuovo con severissime pene agli Ebrei di far proseliti.
Ma a toglier ogni dubbio sull'efficacia dello spirito di propaganda che animava gli Ebrei nella Roma pagana, ci piace recar qui un brano di Dione Cassio (39). “Questo paese si chiama Giudea, e Giudei i suoi abitanti. Non conosco l'origine di questo secondo nome, ma esso si applica ad altri uomini che, quantunque di razza diversa, hanno adottate le istituzioni di questo popolo. E fra i Romani sonvi molta gente di tal fatta, e quanto si fece per porvi ostacoli, non giovò che ad aumentarli, tanto che fu forza accordar loro la libertà di vivere secondo le loro leggi.”
Altro modo, di cui gli Ebrei dovettero giovarsi per acquistar proseliti, fu il possesso degli schiavi; e le numerose precauzioni, che per lunga serie di secoli prendono le autorità spirituali e le temporali, per impedire agli Ebrei di convertire alla loro religione gli schiavi da essi posseduti, bastano a farci persuasi quanto zelo mettessero gli Ebrei nel deluderle.
Ma anche senza tener conto di questo coefficiente pure importantissimo per l'adulterazione della razza, la storia delle età di mezzo ci porge non infrequenti esempi di conversioni al giudaismo.
Alla fine del iv secolo dell'èra nostra Abu-Karibba-Tabban re dell'Yemen (40) e nel 740 Bulan re dei Kazari (41) abbracciano il giudaismo.
All'epoca dell'imperatore Enrico II il cappellano di un Duca Corrado, di nome Vecelino, passò al giudaismo, locchè fece adirare al massimo grado l'imperatore, ma non produsse altro castigo che quello di una erudita confutazione (42).
Un caso simile sotto Lodovico il Pio è narrato da Krabano Mauro (43).
In Francia le conversioni al giudaismo non sono senza esempio. Parecchi cristiani lasciarono nel ix secolo la Chiesa per abbracciare il giudaismo, e fra questi si citava un diacono palatino a nome Putho (44), e sino ai tempi di Filippo il Bello (xiv secolo) si segnalano conversioni (45).
Nel 1040 un celebre rabbino di Granata, Giuseppe Halevy, è accusato di aver fatto proseliti alla fede mosaica in Ispagna e messo a morte (46).
Le conversioni al giudaismo erano, nel xiii secolo ancora, tanto frequenti da meritare che Nicolò IV, appena assunto al Pontificato, se ne occupasse con una lettera datata da Rieti, 5 settembre 1288; lettera che non deve aver prodotto grande effetto, se Giovanni XXII è obbligato a promulgarne una consimile il 13 agosto 1317.
Rainaldo ci assicura che nel xiv secolo molti fra i discepoli di Giovanni Viclefo abbracciarono la perfidia giudaica.
Il primo di agosto 1603 sulla Piazza Ribeiro in Lisbona venne bruciato fra Diego di Assunçao, monaco francescano, che, dopo aver abbracciato il giudaismo, andava predicando ed insegnando questo solo doversi considerare vera religione.
Ricorderò ancora quel Giovanni Mica, cristiano portoghese del xvi secolo, che, fattosi ebreo, prese il nome di Giuseppe Nassi, visse in Costantinopoli e pubblicò varie opere lodatissime (47).
Nel secolo scorso rimase celebre in Inghilterra la conversione di lord Giorgio Gordon (48).
Molti altri esempî potremmo citare (49); ma crediamo che quelli da noi portati sien più che sufficienti a provare che il Giudaismo devesi considerare come una religione, non come una razza (50).
Come dubitare che gran parte degli Ebrei attuali non discenda da questi nuovi convertiti (51)? Certamente, grazie alle persecuzioni che per lunghi secoli afflissero i credenti nella legge di Mosè, non un Ebreo si trova oggi nel luogo di origine della propria famiglia.
Cacciati or di qua, or di là, essi andavano concentrandosi nei paesi, dove leggi, non più miti, ma meno crudeli permettevano loro di vivere con una sicurezza relativa; sicchè, oggi, tanto varrebbe voler cercare i veri discendenti dagli Ebrei di Palestina, per ricacciarli nella loro terra, quanto il cercare in Italia i discendenti degli antichi barbari per ricacciarli oltre Alpi.
Ma se si volesse adottare contro gli Ebrei un provvedimento qualsiasi, ispirato a questa pretesa differenza di razza, come a noi italiani non si affaccierebbe alla mente la testimonianza, già da noi invocata, di Dione Cassio e come non ci tormenterebbe il dubbio che questi pretesi stranieri, questi abborriti semiti sieno proprio figli di quei Romani convertiti al Giudaismo, di cui parla lo storico latino, tornati fra noi, dopo Dio sa quali peregrinazioni, mossi da quell'amore del paese di origine che, come un istinto, sopravvive forse in noi alla memoria?