Pro Judaeis: Riflessioni e Documenti. Corrado Guidetti
leggiera traccia di spirito di proselitismo.
(50) Anche il Rénan si è testè occupato di questo argomento in una conferenza da lui tenuta il 27 gennaio 1883 al Cercle Saint-Simon ed edita poi dal celebre editore parigino Calmann Lévy col titolo: Le Judaïsme comme race et comme religion. In questa conferenza, cui rimandiamo coloro che fossero vaghi di maggiori particolari sull'argomento, il dotto francese, dopo aver spiegato come la scienza delle religioni le divida in due grandi classi, universali (il buddismo, il cristianesimo, il maomettismo) e nazionali o locali cui devono ascriversi tutte le altre, viene a mostrare come tutte le religioni nazionali sieno perite e come la religione ebraica, precorrendo per opera dei suoi profeti al Cristianesimo, abbia assunto, col monoteismo che ne è la caratteristica la più spiccata, forma appunto di religione universale. Gli Ebrei, che dalle loro profezie eran fatti persuasi tutti i popoli dovere col tempo convertirsi alla loro Fede, cercavano affrettarne la realizzazione cercando proseliti fuori della loro nazione. E di questo spirito di propaganda del giudaismo antico molti esempî reca il Rénan. Nessuno poi potrà dire di aver un'idea completa dell'argomento, ove non abbia letto l'importantissimo opuscolo del cav. Marco Mortara: Le prosélytisme juif. Paris, Witt. Hersheim, 1875.
(51) È innegabile che la segregazione forzata in cui gli Ebrei vennero tenuti fino a pochi anni addietro impedì loro sempre di confondersi colle popolazioni in mezzo alle quali vivevano; sicchè si può asserire con qualche certezza che esiste un tipo speciale al quale si possono conoscere gli Ebrei. Ma questo tipo è egli il tipo semita puro? Quale antropologo potrebbe asserirlo? Non è più ovvio il ritenere che esso sia più che il carattere di una razza, la risultante di speciali abitudini di vita, che si sarebbe perpetuata per eredità fisiologica? Ed infatti, non vediamo questo stesso tipo andar man mano cancellandosi negli Ebrei, che, vivendo nei paesi civili, finiscono coll'adottare le abitudini delle popolazioni fra cui si trovano, mentre si mantiene inalterato in Ungheria, in Polonia ed in tutti i paesi dove la minor civiltà delle popolazioni e la conseguente rozzezza dell'ebreo rende difficile ogni contatto, ogni assimilazione?
(52) Usiamo la denominazione la più comunemente accettata, pur conoscendone l'inesattezza, per non ingolfarci in una questione etnografica affatto estranea al nostro argomento.
(53) Ricordiamo che il Conte di Molé, famoso ministro francese dei tempi di Luigi Filippo, discendeva da una ebrea, la figlia di Samuel Bernard il banchiere di Luigi XIV, che si era battezzata per isposare il cancelliere Molé. Nè questa dei Molé è la sola nobile famiglia europea nelle cui vene sia frammisto qualche gocciolina di sangue giudaico; e, per non moltiplicare gli esempi, ricorderò come da famiglia ebrea discendesse Pier di Leone, noto antipapa del secolo xii, e come discendesse pure da una ebrea — la figlia del celebre generale Ventura, modenese — quel marchese di Trazignies, belga, che, spinto da fanatismo religioso e politico, venne in Italia a combattere il movimento nazionale nelle file dei briganti, e fatto prigioniero colle armi alla mano, fu, da un picchetto del 43º reggimento fanteria, fucilato in Isoletta li 11 novembre 1861.
II.
Il Talmud
Tutti hanno udito menzionare, ed anche maledire, il Talmud, questo libro che lo storico Milman (54) chiamava: “monumento straordinario dell'attività umana, della intelligenza umana, e dell'umana pazzia;” molti certamente ignorano cosa esso sia, o ne hanno nozioni assai incomplete; e non vi sarebbe troppo da meravigliarsi se qualche semidotto credesse ancora che il Talmud fosse un uomo, siccome avvenne a quel buon Cappuccino d'Henry de Seyne che ebbe con tutta tranquillità a scrivere: Ut narrat Rabbinus Talmud.
Cercheremo, in brevi parole, di dirne quel tanto che sarà necessario per far chiaro ciò che dovremo dire in appresso.
Fintanto che gli Ebrei rimasero nella Terra Promessa, la Legge scritta, il Pentateuco, fu, per essi, solo codice religioso, morale, politico.
Coloro che eran chiamati ad insegnarlo ed a curarne l'osservanza, ne conoscevano ed applicavano, caso per caso, l'interpretazione tradizionale.
Essi erano, a sentirli, depositari di una tradizione orale trasmessa in buona parte da Dio stesso a Moisè sul Sinai (alachà lemoscè Missinai) (55), da Mosè trasmessa a Giosuè, da questo agli anziani, dagli anziani ai profeti e dai profeti agli uomini della Grande Sinagoga (56).
Agli Ebrei però era allora vietato di raccogliere per iscritto tale tradizione. Il motivo di questo divieto non è noto. Chi crede ne fosse causa il desiderio connaturale ai popoli orientali, siccome ci mostrano la storia dell'India e dell'Egitto, di concentrare in poche mani il monopolio della scienza (57); chi ne cerca ragione nel timore che errori di copisti o volontarie falsificazioni (58) producessero nuovi scismi; chi nel desiderio di impedire che la legge tradizionale acquistasse eguale autorità della scritta; S. D. Luzzatto (59) infine, pensa che tale divieto provenisse dall'aver, gli antichissimi dottori, voluto che la teoria e la pratica della religione rimanessero in buona parte modificabili, giusta i bisogni dei tempi, ragione per cui nulla scrissero e nulla permisero si scrivesse per non scemare ai posteri la libertà di modificare gli insegnamenti dei predecessori (60).
Per quanto incredibile possa ciò sembrare a' giorni nostri, non è meno certo che questi insegnamenti passavano per tradizione orale dall'una all'altra generazione. La memoria sviluppatissima, come è noto, presso i popoli orientali, dovette aver parte grandissima nelle scuole ebraiche (61).
Caduto il secondo tempio e venutane la gran dispersione degli Ebrei, i loro dottori compresero che ove si fosse continuato nell'antico sistema, la tradizione avrebbe molto probabilmente finito coll'andar dispersa.
Pensarono quindi di ridurla in iscritto, e Giuda di Tiberiade, soprannominato il Santo, a causa della sua scienza e della purezza dei suoi costumi, e conosciuto anche sotto il semplice nome di Rabbì, quasi il maestro per antonomasia, compilò, nel primo quarto del terzo secolo, la Mischnà o seconda legge (62).
Che egli poi la scrivesse, come afferma il Maimonide e con lui moltissimi altri, o che invece egli si limitasse ad insegnarla ai suoi numerosi uditori, sicchè essa si tramandasse inalterata per molte generazioni e venisse soltanto dopo lungo tempo posta in iscritto, siccome vogliono con S. D. Luzzatto, il Graetz e molti altri moderni, è questione sulla quale non ci sentiamo da tanto di pronunciarci. Ciò che è certo è che la Mischnà sta al Pentateuco, come il Mitri ai Veda, la Sunnah al Corano e che è qualche cosa di analogo alle Ῥήτραι greche, alla lex non scripta dei Romani ed alla Common Law degli Inglesi.
Nella Mischnà Giuda raccolse tutti i decreti, gli statuti, le sentenze pronunciate dai saggi, diverse massime religiose e morali, tutto ciò che era stato adottato durante l'epoca dei profeti dai membri della