L'ultima primavera. Memini

L'ultima primavera - Memini


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Ma che! Tutte s'erano abituate ormai a quell'eterno spettacolo del tandem di Dino Follemare fermo, in attesa, dietro la carrozza della Duchessa. Al più, qualche mamma sospirava pensando che Dino sarebbe stato un sì bel partito, un tempo, prima che si fosse sì nobilmente rovinato per tener dietro al lusso di cavalli di casa d'Accorsi. E certamente, se n'erano fatti e se ne facevano sempre dei bei matrimoni alle splendide feste della Duchessa! E ci si divertiva tanto: erano, curioso a dirsi, tanto scelte! Perciò, quasi tutte le signore, passando, salutavano con grande spesa di sorrisi gentili.

      Varie carrozze s'erano già successe nello spazio prossimo alla giardiniera, quando giunse e si fermò un elegante calèche inglese, dalle morbidissime oscillazioni, molto apprezzate dagli intelligenti. All'interno stava una signora vestita di bruno. L'occhialino della Duchessa fu tosto in moto, e nel crocchio fu uno scappellare rispettoso e generale.

      — La contessa Serramonti, che novità! — disse la Duchessa, dopo aver mandato ad Elena un saluto ed un sorriso, scelti nella gamma dei suoi migliori.

      — È vero, viene di rado, — osservò Gino Casabello.

      — Oh! — ribattè Gincora ridendo, — non è già una sfaccendata della nostra specie; ha meglio a fare, sapete.

      — Ma no, — disse Sacha Dzworkoff, un russo malato di petto che veniva ogni anno a svernare a Firenze ed era diventato più fiorentino del vero, — no, non ha nulla di meglio a fare, pur troppo.

      — Oh per quello! — osservò Guido d'Aspano, che non capiva perchè gli altri ridessero del patetico «pur troppo» di Dzworkoff — è una donna assai occupata, è una delle più assidue frequentatrici...

      — Del monde où l'on s'ennuie — interruppe il piccolo russo con tanta foga, che la fine della sua frase gli morì in un lieve accesso di tosse.

      — Vi prego di osservare, — disse la Duchessa ridendo, — che viene sempre anche da me. Suvvia, Sacha, non calunniate una donna tanto esemplare. Fareste infinitamente meglio a tentare di farvi sposare da lei. Sarebbe una buona occasione per voi di far giudizio o di pagare i vostri debiti.

      — Oh, Duchessa! Sapete quanto il freddo mi è proibito per la mia salute, e mi suggerite il Polo Nord in moglie. Volete proprio la mia morte, allora?

      Là Duchessa rise di cuore a quell'uscita di quel capo scarico, dicendogli che era un monello incorreggibile, e ch'egli e tutti loro non sapevano nulla di nulla. Invece di dir tante freddure sul conto di quella cara Elisa, dovrebbero andare pietosamente a consolare la sua solitudine.

      — Uhm, — ribattè Dzworkoff, — saremmo un po' in ritardo, per l'appunto. Guardate. Un cavaliere si accosta alla sua portiera.

      — È vero, — sclamò Ginevra. — E un bel giovane anche! Curiosa!

      Per un momento nel crocchio fu silenzio. Tutti osservavano, attenti, il giovane che, montato su un morello di elegantissime forme, veniva a presentare i suoi omaggi alla Contessa. La salutò con una certa grazia innata e naturalmente distinta, trattenendo con molto garbo ed abitudine della sella, il cavallo irrequieto.

      Roberto Rescuati era ciò che si chiama un bel cavaliere, forte ed elegante ad un tempo. S'indovinava in lui una consuetudine antica e la passione di quell'esercizio.

      Elisa era venuta appositamente alle Cascine per vedere il suo protetto, a cavallo.

      Gli fece i suoi cordiali mirallegro, provando vero piacere a vederlo sì bello e sì disinvolto.

      — Lo scriverò alla mamma, — soggiunse con un sorriso di approvazione indulgente. — Siete sotto lo sguardo di giudici competenti, e vedo che vi approvano.

      Senza muovere il capo, colla coda dell'occhio accennò il gruppo di sportsmen che stavano osservando Roberto.

      La fresca e rosea epidermide del volto del giovane si colorì vivamente, sotto l'impressione genuina dell'amor proprio soddisfatto.

      — Com'è fanciullo! — pensò Elisa con una specie di commossa indulgenza.

      La Duchessa frattanto aveva lasciato cadere il suo occhialino.

      — Una bella creatura, quel cavallo! — sentenziò.

      — Stupendo! — disse Guido d'Aspano. — Non sono venti giorni che è arrivato dall'Inghilterra. L'ho visto da Huber. Neri Speroni ne andava pazzo. Huber ne chiedeva cinquemila franchi. Ma Speroni l'avrebbe rovinato subito, mentre invece mi pare che il suo acquisitore sia un discreto cavaliere.

      — So chi è, — disse Dino di Follemare. — È alloggiato alla Pace e desina al Doney. Di provincia... delle Marche, che so io. Ressuati... Rescuati, o qualcosa di simile.

      — Rescuati Melli, forse? — chiese la Duchessa.

      — Precisamente.

      — Oh, conosco! Ho incontrato un Rescuati all'estero, in Germania! Simpaticissimo. Suo padre, mi figuro. Eccellente famiglia. Si trattiene?

      — Credo di sì. Ha preso una scuderia nella mia casa di via della Scala, — rispose Brandino Berardi. — Pare un giovane per bene, benchè discretamente provinciale.

      La Duchessa ebbe un sorriso silenzioso e passeggero. Ancora una volta, dietro il suo occhialino, il suo sguardo si trattenne, sagace, sul giovane.

      — Decisamente è una bella creatura quel morello. Neri è stato uno scimunito a non prenderlo. Coprite Tom, Dino, e dite al cocchiere che si muova. Fa freddo qui. A stasera, nevvero? — soggiunse con uno sguardo di saluto generale, mentre la carrozza si metteva in moto.

      Passando davanti al cocchio di Elisa, le mandò ancora uno dei suoi saluti speciali, che la Contessa ricevette senza nulla aggiungere alla correttezza un po' sostenuta di quello da lei reso. Poi Elisa disse dolcemente a Roberto:

      — E così, quando si fa questa presentazione alla duchessa d'Accorsi?

      — Come! — diss'egli altamente meravigliato — è quella la duchessa d'Accorsi?

      — Sì, — disse Elisa, — ma perchè?

      Egli si mise a ridere.

      — Perchè, ecco. Avevo sentito certe storie! Scusi sa, ma proprio non capisco! Se è vecchia quanto il brodo, e brutta come.... Oh, lo direbbero così bene laggiù, da noi. Ma scusi, — soggiunse con un subito timore d'essere stato imprudente e scortese, — quella signora è forse una sua amica intima?

      Ella ebbe un rapido, altero cenno di diniego.

      — Oh no... no...

      S'avvide, dall'aria attonita di lui, di essere stata troppo vibrata nel suo: no.

      — Ci vediamo, — soggiunse con maggior pacatezza, — ci incontriamo di spesso, ma non siamo in relazione molto stretta. Ha una figlia alla quale sono molto affezionata, una cara giovane. La Duchessa riceve molto, ed ha molto spirito; vi sarà certamente utile per tutto ciò che riguarda la società. Per ciò avevo pensato di presentarvi.

      — Oh! quando crede — mormorò il giovane, ma con accento sì poco entusiasta che Elisa ne rimase un po' scoraggiata. Era a Firenze da un mese, Roberto, ed ella non aveva ancora potuto scrivere a Tecla ch'egli fosse il beniamino delle signore. Sino a quel tempo aveva frequentato più che altro le scuderie, e, certo in quei pressi, aveva acquistate le sue nozioni elementari sul conto della società fiorentina.

      — Ebbene, allora diciamo la settimana ventura, eh? Vi pare?

      Gli parlava dolcemente, dandogli del voi, mentre egli le dava del lei, come era convenuto tra loro.

      Egli s'inchinò pensando: Ouff! e non sapendolo ben nascondere. Proprio, non ne aveva voglia di quella presentazione. E quella cara Contessa ne aveva sempre una. O non l'aveva fatto trottare per tre ore, non più tardi di ieri, dagli Uffizi a Pitti per veder dei chilometri di tele dipinte! E l'altro giorno, quella lettura al Circolo... Misericordia!

      Ella s'accorse di qualcosa. Uno sgomento l'invase. Ma Dio mio! come fare con quel benedetto ragazzo, che non s'interessava


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