L'ultima primavera. Memini
detto alzando le spalle:
— Per amor di Dio, figliuola mia, non farti sentire a dire di queste corbellerie. Già! l'ho sempre detto, che tu vivi sempre nel mondo della luna.
La zia Balbina, dal suo punto di vista non aveva tutti i torti; ma convien dire che nel mondo della luna non ci si stia poi tanto male, perchè Elisa, coi suoi bizzarri ideali e colle sue funzioni d'amanuense, pareva, ed era proprio felice, e in fatto di matrimonio non se la pigliava con quel fervore più o meno ben celato di molte fra le nostre belle signorine. In casa, la Signora era lei, suo padre l'adorava, attorno a loro s'era fatto un circolo, un po' esclusivo a dir vero, di vecchi amici di casa, quasi tutti assai colti.
Fedele all'antica amicizia con Tecla, Elisa non ne aveva contratte altre, con giovani signore o signorine. Coi giovani era alquanto a disagio.
Essa passava per una signorina eccezionalmente colta, ed alcuni giovinotti, che se ne sarebbero facilmente invaghiti, conoscendola sotto un altro nome, trovavano spiritoso di simulare un piccolo brivido di paura, o una smorfia di riverente sgomento, quando si parlava di lei.
Fanciulletta ancora, aveva perduta la madre. Priva dei suoi consigli, entrata giovanissima nel gran mondo, non aveva saputo evitare qualcuno dei tanti scogli di quel mare infido. Non aveva toccato che delle piccole ferite, subito rimarginate dalla reazione del buon senso e dall'innata equità; ma di quelle che in certe anime ultra delicate, lasciano una traccia e anticipano di anni ed anni il segreto disgusto del mondo. Così: alle grandi riunioni, alle feste, Elisa preferiva di gran lunga la compagnia del padre e quella che gli chiamava d'attorno la sua larga ospitalità di scienziato gran signore. Intelligenza veramente eccezionale, coadiuvata da profonde cognizioni, il barone Nardi amava coltivare le serie doti mentali di sua figlia, addestrando lo spirito di questa al pregio tanto femminile della ricettività intellettuale.
In quell'ambiente ove nulla penetrava di frivolo, in mezzo a studii prediletti e a persone simpatiche ed omogenee, padre e figlia erano felici ed Elisa non si rammentava che alla sua età, a 24 anni, ella avrebbe potuto essere da tempo maritata. Non ci pensava, ecco tutto.
Ma qualcuno ci pensava per lei. La zia Balbina procurò un giorno di trovarsi sola col fratello e gli chiese, coll'intrepidità di chi sa di compiere un'opera meritoria, se contava di sacrificare definitivamente l'avvenire di sua figlia al piacere di averla a segretario dei suoi lavori storici.
L'autore delle Rivoluzioni dei Comuni Italiani cascò dalle nuvole.
Lui! sacrificare sua figlia!
Rimase senza parola, subitamente addolorato ed impensierito davanti alla categorica domanda di quella energica sorella. Il suo egoismo (se davvero n'era stato colpevole) era d'indole affatto inconscia, poichè gli era sempre parso che la figliuola fosse felice con lui, nè desiderasse di mutar vita. Così era infatti, per un assieme di circostanze affatto speciali; ma lo zelo della zia Balbina tanto seppe evocare l'immagine dell'avvenire e rammentare al barone quella tal legge di natura che sbarazza l'umanità della sua parte eccedente ed inutile (dei padri vecchi, per esempio) ch'egli cominciò a ricordarsi che infatti, da qualche tempo in qua, si sentiva alquanto deperire in salute. Già, veramente... era stato un grande egoista.
Osservò umilmente alla sorella ch'egli, però, non aveva mai contrariata la figliuola. Elisa era perfettamente libera di scegliere chi più le piacesse per compagno della vita.
Oh! come rise di cuore la zia Balbina quando udì queste parole! Come rivelavano lo scienziato, l'uomo che non aveva mai avuto, scusasse... un po' di senso pratico della vita. L'Elisa aveva avuta in retaggio da lui, la stessa assenza di sano positivismo; era una piccola marmotta che non sarebbe mai stata capace di pescarsi un marito, con tutte le sue doti trascendentali. Oltre a ciò, era una ragazza eccezionale, che uno dei soliti giovanotti mondani avrebbe resa infelicissima. Per Elisa ci voleva un uomo serio, coltissimo, di uno spirito superiore. Penserebbe lei, insomma, a trovarlo.
A ciò non si oppose il barone. La zia Balbina lo aveva destato come da un sogno; e ora egli si chiedeva come avesse potuto farlo sì quieto, sì prolungato!... E giacchè c'era questa terribile necessità che le figlie dovessero prender marito e i padri rimaner soli, dopo averle tanto amate, dopo essersele tenute a fianco, sì care, per tanto tempo, compagne del cuore e della mente, luce e vita della casa... ebbene... facesse pure, la zia Balbina!...
È d'uopo convenire che la zia Balbina, ispirata dal suo zelo, non operò per nulla colla testa nel sacco, e compì la sua missione coscienziosamente e secondo la sua più stretta idea del dovere e di ciò ch'ella giudicava più atto alle speciali esigenze di sua nipote. Non ebbe pace sicchè non ebbe trovato un uomo, che, a farlo apposta colle mani, non poteva esser più adatto a quella cara Elisa. Uno scienziato anche lui... come quel benedetto papà, meno che la sua malattia era la numismatica. Ricco, nobile, istruito, un pozzo di scienza! Sui quarant'anni, ma un bell'uomo ancora. E un carattere così solido... così calmo, una perla d'uomo.
Insomma quello doveva essere proprio l'ideale di Elisa, quello che meglio rispondeva a tutte le sue idee, le sue abitudini, le sue tendenze! Zia Balbina sfidava chicchessia a trovare per Elisa un marito più ad hoc del conte Emilio Serramonti!
Tutto ciò era molto vero in sostanza e il cuore di Elisa era come una bella casettina nuova che non ha ancora avuto inquilini. Ella accettò fiduciosamente quello sposo, le cui qualità erano indiscutibili, e che aveva comuni con lei e col padre suo tante idee e tante simpatie. E quando, pochi anni dopo il matrimonio della figlia, il barone Nardi si sentì presso la sua fine (immatura dopo tutto, poichè non toccava i 50 anni) benedì in cuor suo il gran dolore che gli aveva imposto la zia Balbina. Oh! sì! poteva chiuder gli occhi in pace, contento del suo sacrificio. Lasciava la sua Elisa nel pieno possesso di una calma, di una ragionevole felicità. Di una cosa soltanto si rammaricava: che ella non avesse figli. Da qualche tempo, più specialmente, questa circostanza lo impensieriva.
Ma zia Balbina, venuta in quei giorni dolorosi, a recare il conforto e l'aiuto della sua testa pratica, combattè colla più consolante energia quel rammarico del fratello.
Ma che! Ubbie! Una donna intellettuale, come Elisa, dotata di sì grandi risorse di spirito, con un marito, quale glielo aveva procurato lei stessa, poteva benissimo far senza della distrazione dei marmocchi. Suo marito amava ricevere, essa lo coadiuvava mirabilmente, avevano un salone letterario frequentato dalle più alte intelligenze. Che poteva desiderare di più, coi suoi gusti, quella povera cara Elisa!
* * *
Veramente, quando, in capo a poche settimane, quella povera cara Elisa perdette il padre suo, una cosa soltanto desiderò con intenso desiderio e fu che la lasciassero sola col suo dolore. Provò una violenta gratitudine pel marito, il quale la sottrasse alle consolazioni e ai ragionamenti pratici di zia Balbina, conducendola seco a fare un lungo viaggio durante il quale egli si occupò assai colle sue medaglie e lasciò ch'ella si occupasse colle sue lagrime e col suo immenso rimpianto.
Non mai, come in seguito a questo pietoso salvataggio, ella fu tentata di credersi ciò che tanto si applicava ad essere: una moglie felice. E quando suo marito ammalò alla sua volta d'una lunga e gravosa malattia che li trascinò per anni ed anni, in caldi e lontani paesi, unica infermiera del conte Emilio fu la moglie sua. Veramente affettuosa ed intima e dolcemente fraterna fu l'esistenza di quei due!
Quando egli morì, dopo solo sei anni di matrimonio, di una dolce morte, confortata da sincere lagrime, ella si sentì veramente sventurata. Le parve che colla nuova si riaprisse in lei l'antica ferita. Nella sua completa solitudine morale, quelle due care memorie ella confuse in un culto di indole quasi pari, e le parve di sentir compiuta e chiusa la vita del suo cuore, nella duplice tristezza del suo lutto di figlia e di sposa...
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A Costantinopoli ella aveva perduto suo marito, ed ella stessa ne ricondusse la salma in Europa.
Per un anno intero abitò in una sua bellissima villa sulla Riviera. Più tardi comperò una casa a Firenze e fu per lei una gradita occupazione quella di metterla in ordine e di addobbarla, seguendo le ispirazioni del suo raro gusto artistico. In quella circostanza ella osò per la prima