L'ultima primavera. Memini
un energico moto di protesta, ma subito chinò il capo come assentendo.
— Certo — disse — da qualche tempo, o, per essere più esatto, da qualche mezz'ora, è successa in me una reazione. Ma la mia conquista assoluta donna Marina Negroni la farà solo il giorno in cui vi libererà dalle vostre materne incombenze. E spero che sarà il più presto possibile.
— Oh! — diss'ella — come correte! il matrimonio immediato non entra nel mio programma. Vorrei aver prima il tempo di fare un po' di bene a quel giovane.
— Veramente? E quale?
— Vorrei destare in lui un senso della responsabilità che gli danno il suo nome e la sua fortuna. Non avrà grande ingegno, ma un pochino, del suo ozio, ci hanno colpa l'affetto troppo esclusivo della madre ed altre circostanze. Mi pare impossibile che un po' di aiuto, d'indirizzo, di buona influenza non abbiano a convincerlo, ch'egli non avverta un momento o l'altro l'assoluta necessità di affermare in qualche modo la sua personalità, che egli non provi il bisogno di rendersi utile al suo paese e a sè stesso, più degno di considerazione e di stima.
S'era animata, così parlando. La sincerità e il convincimento delle sue parole agivano su lei stessa, creandole in cuore un'emozione.
— Vi pare, credete che ci riescirò? — soggiunse, vedendo che l'amico la fissava arricciando nervosamente i lunghi baffi. — E non vi sembra che, ad ogni modo, valga la pena di tentare, per la mia povera Tecla, se non altro?
— Dio la benedica, la povera Tecla, — rispose un po' bruscamente don Marcello. — Credo che riuscirete, se ho a dirvelo, e forse al di là di quanto sperate.
— Dunque tutto è per il meglio, nevvero?
— Già, tutto per il meglio. Ora, se permettete, mi congederò da voi. Mi spiace quasi di partire domani, sapete? Avrei assistito volentieri allo svolgimento di quest'azione, diremo così, educativa.
— Allora, quando è così, restate. Mi darete dei buoni consigli.
— Perdonate. Non li prodigo, quando non sono accetti. Ve ne ho dato uno più volte... No, no, non fate la faccia seria, non insisto. Quello di oggi non l'avete ascoltato, forse non l'avete neppur guardato in faccia abbastanza per ravvisarlo. Ma ora è tardi, e voi dovete andare dalla signora Peruzzi, che vi deve presentare Gregorovius, non è vero?
Essa lo lasciava dire, dubbiosa. Cercava di afferrare, attraverso la velatura del sorriso ironico, il pensiero ch'egli si ostinava a celarle.
Sentì di esser meno forte di lui e rinunziò a penetrare quel segreto.
Finalmente, egli si alzò per partire. Ma prima le ripetè una raccomandazione, quella di scrivergli. Ancora ella promise.
— Tutto? — chiese quell'incredulo ostinato.
— Tutto.
— Anche le disillusioni possibili?
— Anche quelle.
— Sta bene. E mandatemi al più presto la notizia del matrimonio di donna Marina col vostro figliuolo.
— Lo spero... con tutto il cuore.
Dopo di che, don Marcello Plana le baciò la mano, come soleva, e se ne andò.
IV.
È giunta anche da noi ora questa moda di prolungare la dimora in villa sino ai primordi dell'inverno, e i primi freddi si soffrono coraggiosamente in campagna, nei casoni dai vasti ambienti, con sì provvida cura destinati dagli avi nostri a riparo e sollazzo pei tempi estivi. Ma di ciò ne conforta il pensiero di essere delle persone molto chic e di condurre vita inglese e per questo, forse, degli agi cittadini si lascia generosamente il monopolio ai forestieri e specialmente agli inglesi. Ma, in qualunque epoca avvenga, è sempre gaia la rientrata della società fiorentina nei suoi quartieri d'inverno. Subito, senza attendere la pedantesca epoca fissa del prossimo carnevale, s'inaugura l'êra di alcune piccole riunioni intime, ove ogni beltà regnante fa il novero dei suoi fedeli, e dove si dispongono le avvisaglie delle fazioni campali della stagione. Ma il luogo ove ferve più palese la nuova manifestazione della vita elegante fiorentina è indubbiamente: le Cascine.
Quivi si tengono le prime riunioni, si fissano i giorni pei tiri a quattro, coi drags o coi mails, quelli del tiro a quattro alla Daumont, quelli delle mezze gale o delle gran gale. Si rivedono zelantemente le buccie ai nuovi attacchi, e, ahimè, anche al contenuto dei nuovi attacchi! Si constata se la campagna ha data una ruga di più alla signora tale o dei colori troppo vivi alla signora tal'altra. Si segnala la comparsa di una nuova stella, l'americana o l'inglese dall'enorme assegno dotale, ovvero della piccina d'un'illustre famiglia paesana, che, a somiglianza d'una farfalluccia testè liberata dalla sua crisalide, ha lasciato in villa le gonnelline corte della ragazzetta e aspetta, con un gran batticuore, il primo gran ballo della stagione.
Si è generalmente lieti di ritrovarsi in quell'epoca e tutti hanno fretta di farsi vivi. Nel viale a destra, quello che costeggia l'Arno, e dove si accaparra sì a lungo il tepore e la gaiezza del sole, aumenta ogni giorno il concorso dei legni e della folla. Oggi, per esempio, in questo giorno ch'è dei primi di dicembre e che non ha nè nubi, nè vento, nè freddo, sono quasi le Cascine delle grandi epoche, le più belle dell'anno. Sembra una rassegna della grande armata mondana, tanto il viale brulica di equipaggi. A destra le vecchie foglie morte ed accartocciate prolungano negli alberi il lutto del morto estate, mentre la tunica di Nesso dell'edere poderose dà loro la scalata, coll'ingordo verde che le riveste e le consuma. Lontano, sotto le arcate sforacchiate dei viali negletti, erra qualche coppia sentimentale cui la folla non attira; passa qualche chiuso brougham di convalescente, qualche carrozza signorile, il cui percorso è prestabilito da un marito vecchio e geloso, qualche equipaggio colle assise nere e un carico di bimbi e di governanti in lutto grave. E ogni tanto il trotto di qualche cavaliere solitario, che vuol gustare davvero, non distratto, il piacere di cavalcare, echeggia sonoro sul terreno.
La banda militare suonava, sul piazzale c'era ingombro di carrozze. Quella della duchessa d'Accorsi stava ad uno dei posti migliori. Non l'equipaggio di gala, bensì la giardiniera colle stoffe e le vernici verde olivo. Poco lungi, dietro la giardiniera, era fermo parimenti un leggiadro tandem da giovanotto, ma il groom soltanto stava a custodia del magnifico trotteur; il padrone, Dino di Follemare, era sceso, appena aveva visto arrestarsi la giardiniera e stava ora alla portiera di questa.
La duchessa Ginevra era sola nel legno. Donna Marina passeggiava nel viale dei pedoni, con una sua amica inglese. Sua madre l'avrebbe chiamata più tardi, all'ultimo giro.
Il posto della giovane era attualmente occupato da un cane accovacciato in dormiveglia sur uno scialle persiano. Fido compagno della Duchessa, quell'orribile Tom era un piccolo bull terrier bassotto, arcigno, dal muso nero, grottescamente feroce.
Sul sedile dirimpetto giaceva un vaghissimo mazzo di perus japonica. Una primizia anche a Firenze, in dicembre, quei boccioli di un cupo scarlatto, che parevano mettere una chiazzatura sanguigna sul verde dei cuscini.
La Duchessa era vestita di velluto grigio, con una guarnizione di grèbe, non di ultima moda, ma che pareva fatta apposta per lei, coi suoi riflessi splendidamente argentei. Il suo fitto velo di garza chiara, rialzato, le faceva quasi un diadema sul pallore giallastro della sua fronte.
Presso alla sua portiera non stava solo Dino Follemare. Parecchi fra i più noti frequentatori del Club, alcune fra le più notevoli personalità dell'aristocrazia fiorentina le avevano già fatto d'attorno un po' di corteo. Anche là ella teneva circolo, dominando ed avvivando sempre la conversazione col mordace suo spirito, coll'impunità da tanto tempo acquisita anche ai suoi detti. La conversazione era libera, viva, non pietosa a chi n'era oggetto. E veramente, di fianco a quella formidabile giardiniera, gli altri equipaggi non facevano lunghe soste. Le signore paventavano per istinto e per esperienza i commenti spietati di quel crocchio, la libertà del linguaggio su tutto e per tutto, quei decreti senza appello sull'eleganza