L'ultima primavera. Memini

L'ultima primavera - Memini


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Ma...

      — Via, per carità! — rispose Elisa sbottonandosi nervosamente.

      Egli la guardava, ridendo, ma subito fece una faccia lunga e contrita.

      — Bastonate il vostro servitore, Contessa. Egli è reduce da un fiasco.

      Ella rimase non sorpresa, ma accorata.

      — Me l'immaginavo — sospirò. — Che disdetta! Un così buon partito... Ma cosa le trova poi... colui? Non gli par bella forse?

      — Bellissima. Egli rende piena giustizia ai pregi fisici della vostra amica. Una sola cosa gli parve insufficiente in lei.

      — E cosa?

      — L'anima, cara Contessa.

      Elisa buttò dispettosamente il guanto, testè toltosi, sul tavolino prossimo.

      — E dàlli.... anche lui, con quest'anima! È una scusa così comoda, ora. Che anima volete che abbia una povera ragazza al giorno d'oggi, coll'educazione che le si dà, colle leggi assurde che ha fatto la società! Vi accerto che Marina è una giovane piena di cuore, e ha dei bellissimi sentimenti, e il vostro amico non capisce...

      Don Marcello incrociò le braccia sul petto in atto sì comicamente umile che la contessa dovette far bocca da ridere.

      — No, no, vi assicuro..., sono contrariatissima. È un giovane simpatico, intelligente.

      — Avete detto testè che non capisce niente.

      — Un eccellente partito!... Mi rincresce all'anima. Fortuna che Marina non ne sapeva nulla.

      — Uhm!...

      — Ma no, vi accerto. Non le abbiamo fatto il più lieve cenno...!

      — Tant'è.

      — Dio, che ostinato!... Se vi dico che non ne sapeva nulla. E dopo tutto egli poteva non piacere a lei. Non è mica un Adone, il vostro amico. Scommetto ch'ella non lo avrebbe voluto.

      — Perdereste la scommessa. — Ella sarebbe stata meno esigente di lui.

      — Oh bella questa! Perchè?

      — Perchè di sì... E se ci pensate un momento, converrete meco...

      La Contessa pensò un momento, e in cuor suo convenne ch'egli non aveva torto. Ma scosse ancora il capo, dubbiosamente.

      — Siete ingiusto per lei. Non l'avete mai potuta soffrire.

      — Perdonatemi; non è esatto. Ho di lei molta stima, non avrei, se fosse altrimenti, pensato a proporla in moglie ad un mio amico. La benevolenza di cui l'onorate è la sua più valida commendatizia. Nelle sue speciali circostanze ella ha sempre dimostrato un tatto ed un senno commendevoli. Ma se fossi stato al posto di Fedimari...

      — Avreste fatto come lui?

      — Precisamente, Contessa.

      Una pausa tenne dietro a questa schietta dichiarazione.

      — Ebbene — disse la Contessa dopo un momento, tutto ciò è molto triste. Io, vedete... detesto tutte queste cose, questa forma di progetti di combinazioni. Mi pare che sia quasi una profanazione.

      La sua bella fisonomia assunse inconsciamente un'espressione malinconica piena di sincerità e di sentimento. E continuò:

      — Mi direte: ma a queste combinazioni, tu pure presti mano, mentre le critichi. Che volete!... Se ne vedono tutti i giorni, e a volte finiscono bene... meglio degli altri matrimoni. Ma è così triste, tutto ciò... sì dissimile dall'amore!

      Modulò dolcemente, con dolcezza involontaria, l'arcana parola.

      — Ma è la vita, Contessa. Due cose molto distinte, come vedete.

      — Infatti. Si può vivere senza l'amore.

      — Certo. Ad un patto però. Di non aver cominciato a provarlo.

      — Non si comincia, ecco tutto; — rispose Elisa, sorridendo.

      Egli ebbe un impercettibile moto delle sopracciglia. Ella sorrise ancora e soggiunse:

      — E sopratutto non si comincia fuor di tempo.

      Marcello Plana prese il libro che aveva testè deposto: Mad. Chrysanthème di Pierre Loti, e lo sfogliò un momento. Poi lo rimise sul tavolino.

      — Insomma, questa volta abbiamo proprio fatto un buco nell'acqua! Me ne dispiace, credete.

      — E a me pure, immensamente. Povera Marina!

      — E contate rimettervi in campagna?

      — Certo. In queste cose non bisogna mai fermarsi a contare i morti. Quella povera figliuola...

      — Non la compiangete tanto. Anzitutto, ha un'amica come voi. Poi ha un'altra amica, pure tenerissima, di lei... lei stessa, cioè, colla tenacità del suo proposito. Vi assicuro che riescirà; col vostro concorso o senza.

      — Dio lo voglia! Don Marcello. Vorrei vedere...

      — Tutte le pecore sul monte? Che valida sostenitrice del matrimonio. Peccato che non vi ricordiate che, in certi casi, Cicero pro domo sua sarebbe il migliore degli argomenti.

      Ella arrossì alquanto e scosse gravemente il capo.

      — Oh! non si tratta di questo. Marina...

      — Sì, lo so. Marina è abbastanza convinta, per conto suo, non siate in pena per ciò. Ma siete voi che...

      Si arrestò; ella aveva lievemente aggrottate le ciglia e una espressione di tristezza passava sul suo volto.

      — Voi... siete incorreggibile — completò Don Marcello. — Ed io pure, nel tormentarvi. Ma consolatevi, parto presto per Milano. Mi scriverete, nevvero, mi terrete a giorno dei vostri nuovi tentativi?

      — Certamente. Benchè, a dir vero, in questo momento, non saprei proprio a che santo raccomandarmi per trovare...

      — La rara avis? Il marito di Marina? Suvvia. Non v'inquietate. Verrà da sè... E ora rasserenate il vostro caro volto di missionario, e date un pensiero anche agli altri miseri mortali. Guardate la vostra posta che vi attende, chi sa da quanto.

      — Infatti. Permettete?

      Egli chinò il capo e tornò a recarsi fra le mani Mad. Chrysanthème, colle sue figurette birichine, mentre la Contessa andava rimestando in una piccola farraggine di carte, di giornali, di lettere che, giunte nella sua assenza, attendevano al posto solito, là dove il domestico aveva ordine di deporle, in una larga coppa di antico Giappone.

      Una viva esclamazione, sfuggita alla Contessa, fece alzare il capo a Don Marcello. Essa leggeva frettolosamente, con evidente sorpresa e crescente soddisfazione una lettera abbastanza voluminosa. Quando ebbe finito, si lasciò andare sulla poltroncina e cominciò a ridere, ma di gusto... quel suo bel riso sonoro, che pareva tornarla sì giovane.

      Egli la guardava, curioso, aspettando.

      — Oh! — diss'ella finalmente, non appena le venne fatto, e sollevando trionfalmente la lettera — quando si dice il destino!

      Guardate qui! Lo sapete voi cosa c'è in questa lettera?... Ebbene! Immaginate... C'è dentro nientemeno che... il marito di Marina!

      — Amen!... — disse gravemente Don Marcello Plana.

       * * *

      Era sola, oramai, e pensava!

      Addietro, addietro negli anni, nei remoti recessi della memoria, ella trovava i ricordi dell'amica che le aveva scritto ora sì confidenzialmente e sì a lungo, dopo tanti anni di silenzio. Rivedeva i due giardini confinanti delle ville paterne, teatro dei loro giuochi, il pianoforte sul quale solevano assieme eseguire, con tanto impegno le sonatine, applaudite dagli amici indulgenti. Tecla d'Oppado era maggiore di lei, di parecchi anni, e le faceva da mammina all'occasione, con grande disinvoltura.


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