L'amore di Loredana. Luciano Zùccoli

L'amore di Loredana - Luciano Zùccoli


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Filippo Vagli aveva pensato alla piccola amica, che dormiva tranquillamente nella casetta bianca sul campiello muto! E rideva dentro di sè, chiedendosi che cosa avrebbero detto quelle patrizie, le amiche officiali, se avessero conosciuto l'umile sua confidente, colei che sapeva farlo sorridere, sapeva parlare come a lui piaceva, sapeva ascoltare e discutere.

      In quei tre anni egli aveva avuto più d'una amante; e la voce, per i meandri molteplici del pettegolezzo veneziano, esagerato ed innocuo, era giunta fino all'orecchio di Loredana, la quale non capiva se quei racconti le facevan piacere o se l'angustiavano; ma intanto si studiava d'osservare le donne che la voce popolare additava quali amanti di Filippo, per vedere s'eran belle, se vestivan bene, se non erano indegne di lui.

      Osò parlarne con Filippo, che ne rise.

      — Stia attenta, — egli le disse, — e vedrà che ogni mese e fors'anco di quindici in quindici giorni il nome della mia amante cambia. Son discorsi di sfaccendati, i quali mi rendono il favore di sviar la curiosità dietro mille tracce, e non si sono ancora avveduti che io passo tanto tempo vicino a lei.

      — Non ha amanti, allora? — chiese Loredana.

      Essi parlavan di sera, nel tinello; una sera a metà gennaio del 1893. Spesse volte si trovavan così quasi soli, perchè la mamma, con la fiduciosa ospitalità veneziana accresciuta dalla stima ch'ella aveva per la figlia, non vigilava i loro discorsi e stava innanzi alla finestra della saletta a centellare la ventesima tazza di caffè.

      E quella domanda, la quale sarebbe parsa ardita e sconveniente per un'altra fanciulla, ai due amici sembrò così naturale, che si stupirono di non aver mai parlato d'un argomento che si prestava a tante confidenze.

      — No, non ho amanti, — rispose Filippo.

      Loredana si mise a ridere.

      — Neanche la contessa Fausta di Montegalda? — domandò maliziosamente, e soggiunse: — Fausta! Che bel nome!

      — Toccato! — pensò Filippo. Quindi rispose: — No!

      — Eppure, si ricorda quella sera che andai alla Fenice l'inverno scorso, con la mamma e gli zii? Lei era nel palco della Montegalda, che aveva un così bel diadema di brillanti sui capelli neri; e qualcuno mi disse che lei era innamorato della contessa. Io guardai attentamente e capii che avevano ragione.

      — In ogni caso, — osservò Filippo, — tra innamorato e amante v'è un abisso.

      — Oh sicuro! — esclamò Loredana con gravità comica. — Un abisso!... E lei, tanto timido, si spaventa degli abissi....

      La fanciulla rise e Filippo la guardò. Non gli era mai parsa così bambina come in quell'ora, e tutta fresca, con la bocca sinuosa e ardente appena ombreggiata da una lievissima pelurie sul labbro superiore; e la luce che veniva dai grandi occhi scuri gli sembrò più vivida del consueto.

      Prima ancora di riflettere, si chinò e baciò quegli occhi e quella bocca, mentre Loredana abbassava la testa, attonita e sommessa.

      — Ciò che egli fa, è ben fatto! — ella pensò. — Ciò che egli fa, si può fare!

      Loredana pensava in tal maniera, pure senza amare Filippo, e Filippo la baciava senza amarla. Ma ambedue con ogni sforzo avrebbero difeso quella loro strana amicizia, perchè sentivano l'un per l'altra una fiducia, che nessuno al mondo aveva mai loro ispirato.

      Fu in quello stesso mese di gennaio che Filippo trovò un giorno la casetta in festa. Era l'onomastico della mamma e v'eran due o tre famiglie, recatesi a portar dolci e augurii alla buona donna. Intorno a Loredana, tutta vestita di rosa e lievemente scollata, stavano altre fanciulle, e alcuni giovanotti scherzavano con la piccola amica di Filippo, la quale rideva e si scaldava presso il caminetto, avanzando i piedini con una mossa non priva di civetteria.

      Filippo guatò lo spettacolo. Tra quei giovani, uno fermò specialmente la sua attenzione, un biondo con occhi cerulei; si chiamava Adolfo Gianella, era impiegato in una banca e possedeva qualche po' di terra in provincia di Vicenza. Parlava poco, vigilava gli amici, ascoltava, serrando le labbra, i madrigali ch'essi rivolgevano alla giovinetta; e sopra tutto, pareva noiato e diffidente per la presenza di Filippo. Egli stava presso il caminetto, in piedi, di fronte a Loredana; e v'era nel suo atteggiamento muto un significato di padronanza e di protezione, che svelava in lui il fidanzato o almeno l'innamorato serio. Dai suoi occhi si sprigionò più d'una volta qualche occhiata cupida al collo bianco e perfetto di Loredana. Il contegno di Adolfo Gianella divenne a poco a poco tanto chiaro, che i suoi compagni smisero di corteggiare quella e si volsero alle altre ragazze.

      Filippo se ne andò, con un male in cuore, con una rabbia, con un'angoscia, che lo stupivano e lo facevano tremare.

      Entrò nel salotto della contessa di Montegalda e parve distratto tutto il tempo che vi rimase. Fausta gli passò vicino, gli fece un lieve cenno di seguirla e quando furono nella sala da ballo, deserta, gli chiese:

      — Che cosa avete, Flopi?

      — Mi fa male il cuore! — egli rispose.

      — Male? — ripetè Fausta. — Un male fisico?

      — Fisico. Un aneurisma, — disse Filippo sbadatamente.

      — Mio Dio! — esclamò la contessa con voce soffocata. — Siete pazzo? Di aneurisma si può morire!

      — Si può morire di tutto, amica, mia! — concluse Filippo.

      La giovane voleva insistere, chiedere quali cure facesse, ma Filippo le lanciò un'occhiata stranamente beffarda, e rientrò nel salotto, dove si intavolava una partita di boston.

      Egli aveva bisogno di sapere, e tuttavia stette parecchi giorni senza recarsi a trovar le signore De Carolis. La comparsa di quel giovanotto biondo con gli occhi cerulei gli aveva fatto sentire che un giorno Loredana gli sarebbe stata tolta per sempre e ch'egli non avrebbe potuto nulla per impedire una cosa tanto semplice e tanto grave, poichè non aveva intenzione di sposare la fanciulla, d'affrontare una lotta con la propria famiglia, con la madre, con le sorelle e coi cognati.... Loredana avrebbe appartenuto ad Adolfo Gianella, impiegato di banca e piccolo possidente.

      Fausta di Montegalda conobbe in quei giorni molte amarezze; Filippo era irascibile e pareva che il fasto e l'eleganza della giovane signora lo irritassero, quando per l'addietro gli erano stati tanto cari. In un convegno, egli sbadigliò più d'una volta, mentre Fausta gli esponeva, come nei primi tempi del loro amore, i progetti per la primavera, per l'estate, per l'autunno, tutto un programma di divertimenti, studiato in modo da non dover vivere troppo lontani l'uno dall'altra.

      Quello stesso giorno, Filippo incontrò in Piazza, sotto le Procuratie Nuove, Loredana che camminava frettolosa, di ritorno dall'aver fatto alcune compere. Egli la salutò e tirò dritto, perchè evitava di farsi vedere dagli amici con una fanciulla, ch'essi non conoscevano e che non apparteneva al loro « mondo »; il quale era un gruppo di men che duecento persone. Ma tornò presto indietro, e corse a casa delle De Carolis.

      Loredana era molto impacciata; Filippo era freddo e pieno di rabbia. Anche il fatto, punto nuovo, d'averla trovata sola per istrada, gli faceva dispiacere, sebbene non avesse mai ignorato che la signora De Carolis permetteva alla figlia, come del resto usavan tutte le sue amiche, di uscire sola a far compere o di andare sola a far visita alle conoscenti.

      Infine, per togliere quell'ombra che s'addensava tra di loro, la fanciulla raccontò a Filippo che l'avevano fidanzata, da un mese circa, ad Adolfo Gianella.

      — Le piace? — domandò Filippo.

      — No, per niente.

      — Le pare che sarà felice con lui?

      — Ne dubito molto.

      — E allora?

      Allora? La mamma aveva consigliato così; la famiglia Gianella era contenta; Adolfo era innamorato e minacciava d'uccidersi e di uccidere, se Loredana non fosse stata sua. Poi, che cosa poteva fare ella al mondo? Adolfo era un giovane onesto, in buona posizione, e le voleva bene davvero.... Ella s'era rassegnata e il fidanzamento


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