L'amore di Loredana. Luciano Zùccoli
Non osavo, — confessò la fanciulla, guardando l'amico a occhi socchiusi, tra le lunghe ciglia. — Del resto, che cosa poteva importare a lei? Lei non si occupa di queste piccole miserie.
Filippo non rispose, ma disse a se medesimo, che infatti egli non poteva e non doveva occuparsi dell'avvenire di Loredana, poichè non voleva toglierla ad Adolfo e sposarsela lui.
— Tutto ciò che la riguarda m'interessa, — osservò. — La mia amicizia aveva qualche diritto.
La fanciulla chinò il capo e non rispose. Una sofferenza nuova sorgeva nel suo cuore per quell'interrogatorio. Aveva qualche diritto, Filippo? E allora anche lei aveva qualche diritto, e pur tuttavia Filippo le aveva sempre taciuto, anzi le aveva sempre negato quell'amore per la contessa di Montegalda, del quale si parlava ormai con sicurezza in città.
La madre sopravvenne, e mostrò a Loredana i campioni di alcune stoffe per gli abiti della fanciulla. Filippo volle sceglierne due egli stesso, ma la signora De Carolis osservò ch'eran troppo cari; bisognò contentarsi dei più semplici, che a Filippo sembrarono anche molto brutti. Egli comparò mentalmente la vita modesta, quasi povera della sua piccola amica col lusso onde si circondava Fausta; e fu intenerito, ricordando che Loredana non si lagnava mai, non badava a quei particolari meschini, non invidiava nessuno.
Fausta sarebbe rimasta intontita se avesse potuto sapere che la povertà di Loredana era più gradita a Filippo che non l'eleganza di lei.
Una sera a pranzo dalla contessa Lombardi, Filippo s'irritò sordamente incontrando Fausta gemmata come un idolo, coperta di merletti preziosi, superba. C'era il marito, il conte Ettore di Montegalda, e Filippo non potè subito dire a Fausta qualche parola crudele; ma non gliene mancò l'occasione durante la serata; e ripensando ai campioni delle stoffe per gli abitini di Loredana, sentì il bisogno di criticare l'abbigliamento di Fausta, con tanta ingiustizia, che la contessa ne rimase stupefatta.
— Via, via, — ella disse, sforzandosi a ridere, — voi non potete giudicar di queste cose!
— Voi, piuttosto, non potete dare un giudizio di nulla e di nessuno! — rimbeccò Filippo. — Credete di vivere, e siete tanto lontana dalla vita quanto la terra dal sole!
Fausta aveva l'abitudine di comandare, d'imperare sempre e dovunque. Era bella, alta, formosa, coi capelli nerissimi e gli occhi azzurri; gli uomini la desideravano, le amiche ne tolleravano il potere, il marito ne era orgoglioso senza mai aver pensato ad amarla.... Sentendosi, per la prima volta dacchè viveva, così umiliata e torturata da Filippo Vagli, ella ne provava un dolore inesprimibile, e invece di ribellarsi, a poco a poco era tratta a soggiacere a quella forma di dominio non mai provata. Se un giorno ella aveva amato Filippo tepidamente, lasciandosi prendere per accidia e per noia, ora la rudezza insospettata dell'amante, la prepotenza che si tramutava qualche volta in sarcasmo, la soggiogavano; e temeva di perderlo, e si chiedeva ansiosa se quella irascibilità, quella voglia di tormentare non fossero i sintomi della stanchezza; e divenendo umile, moltiplicava le cure gentili per l'innamorato, cercava di farsi piccola e buona.
Ma ella era ormai condannata a scontare ciò che Filippo soffriva per Loredana; ogni episodio triste o increscioso dell'amicizia tra la fanciulla e il conte Vagli si ripercuoteva nell'amore tra il conte Vagli e Fausta; la quale non capiva, non sapeva darsi ragione, non sospettava menomamente la causa di quella mutazione improvvisa, e cominciava a credere che Filippo fosse malato davvero, seriamente, più di quanto egli aveva detto.
— Quel suo fidanzato è molto antipatico! — disse un giorno Filippo a Loredana. — Perchè mi guarda sempre di sottecchi, e scappa appena giungo io? Non potrebbe trattare da persona educata?
Adolfo Gianella voleva togliere di mezzo Filippo: la presenza di quest'ultimo, le sue cortesie e la sua assiduità presso una fanciulla dalla quale non doveva sperar niente, gli sembravano strane e sospette.
— È il mio amico! — aveva risposto Loredana alle insistenze del fidanzato. — È il solo amico che io abbia: mi vuol bene come un fratello. Perchè devo fargli uno sgarbo e mandarlo via, dopo tre anni d'amicizia onesta?
Adolfo non capiva. Un conte, un libertino, un pessimo soggetto, preso da sentimento purissimo per una giovinetta di diciotto anni, bella e povera? Non aveva mai udito raccontar nulla di simile. Ed essa, fredda e testarda, continuava a ripetere ch'era l'amico, e che non lo avrebbe mandato via, e che Adolfo non doveva pensar male.
Ogni giorno si tornava daccapo; il carattere passionale d'Adolfo s'accendeva e s'inveleniva; il giovane avrebbe voluto che la signora De Carolis intervenisse a favore di lui, ma la mamma giudicava con la testa della figlia, e non ricordava nemmeno di averla rimproverata una volta in diciotto anni. Anzi, vedendo che la figlia era triste, anche la signora De Carolis cominciava a pensare, senza avere il coraggio di dirlo, che Adolfo era brutale; e si pentiva d'avere accolta e favorita la proposta della famiglia Gianella, che voleva unire i due giovani. Non si poteva negarlo: la pace della casetta bianca era stata turbata da Adolfo Gianella; Loredana, sempre allegra, aveva mutato carattere per colpa di lui; egli, geloso, inquieto, pieno di sospetto, guardava tutti in cagnesco, non voleva che si andasse a teatro, s'irritava per la spensieratezza di Loredana, l'offendeva con incessanti osservazioni, pretendeva ch'ella fosse già grave e prudente come una madre di famiglia, e infine, anche nei momenti buoni, era querulo e noioso, pedante e meschino.
Per quel contrasto incessante, la fanciulla era accasciata; e più d'una volta Filippo la trovò con gli occhi rossi e gonfi.
— Non bisogna sposarlo, sa? — egli diceva recisamente. — È un matrimonio impossibile. Che cosa farà quel ragazzo quando sarà suo marito e avrà i diritti più stupidi e più antipatici? Vuole che parli io con la mamma?
La fanciulla non aveva il coraggio di togliersi da quella situazione tormentosa: tutta la famiglia Gianella, madre, padre, zii, cugini di Adolfo, le stavano attorno, magnificando le virtù del giovane, facendo disegni per l'avvenire, dimostrandosi tanto sicuri, tanto lieti per quel matrimonio singolarmente felice, che Loredana soffocava e taceva. Ma non si sarebbe potuto trovare un uomo il quale fosse più di Adolfo incapace di comprenderla, tanto che essa, buona con tutti, era sempre con lui irritata, nervosa, dolente.
Da ultimo egli voleva anche legger le lettere ch'ella riceveva dalle amiche, delle quali non si fidava punto; una mattina, mentr'egli s'era recato a dare il buon giorno alla fidanzata, sopravvenne il portalettere, e Adolfo s'impadronì della posta, aperse la lettera d'una ragazza che scriveva a Loredana da un paese della provincia, domandò notizie delle persone ch'eranvi ricordate, e finì col mettersi la lettera in tasca.
Quando giunse Filippo verso sera, la fanciulla vibrava ancora tutta di sdegno e d'ira; raccontò ogni cosa all'amico, anche quel che aveva taciuto fino a quel giorno, le angherie, le taccagnerie, la diffidenza oltraggiosa, la gelosia irragionevole, la presunzione di Adolfo.
— Non lo voglio, non lo voglio, non lo voglio! — esclamava con gli occhi sfavillanti di rabbia. — Qualunque cosa piuttosto di questo matrimonio! Mai, mai, mai!
Filippo aveva ascoltato in silenzio, guardando il pavimento a piastrelle bianche e rosse e segnando col piede il ritmo d'una marcia.
A un tratto sollevò il capo, afferrò le mani dell'amica, e chiese:
— Vuole venire con me?
La fanciulla non capì subito.
— Dove? — ella domandò.
— Via, lontano, fuori di Venezia, per sempre! — incalzò Filippo.
— Fuggire? Fuggire con lei? — ella disse sottovoce, già tremando senza saperne la ragione.
— Mi ascolti, — mormorò Filippo.
Andò fino al limitare della saletta, vide che la mamma leggeva attentamente un libro mal rilegato, e continuò, tornando presso Loredana:
— Quella che noi chiamiamo amicizia, non è che amore. Se n'è accorta?
Essa, ferma e fissa, con gli occhi spalancati, non rispose.
— Me ne sono accorto