I suicidi di Parigi. Ferdinando Petruccelli della Gattina

I suicidi di Parigi - Ferdinando Petruccelli della Gattina


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      —Io sarei curioso di contemplar da vicino e parlare al capo degli zingari, che ò visto stamane nella piazza della fiera. Potreste indurlo a venir qui?

      —Nulla di più facile, eccellenza, se tuttavia non se l'è svignata dal paese.

      —No: l'ò visto or ora: vi è ancora.

      —In questo caso, eccellenza, vado a servirvelo in un quarto d'ora.

      —Io non chiedo che il capo solo.

      —Vostra eccellenza non vedrà che lui.

      Infatti, poco stante, lo zio Tob arrivò.

      Non mai Callot, o Moya, o Pinelli, non fantasticò di un cialtrone più compiuto di questo zio Tob. Giammai fiero Castigliano non portò cenci con più fierezza e nobiltà che codestui—vantandosi del resto di discendere dai re di Polonia, benchè nato nello Yorkshire.

      La sua toilette era il più strano abuso del pleonasma—eppure sembrava nudo! Aveva una camicia a merletto sur una camicia da notte, sovrapposta essa stessa ad una camiciuola di rosso fustagno. Sulla camicia à jabot s'incrociava un panciotto di piqué bianco, alla Robespierre, sotto, un panciotto di velluto, preceduto da un terzo panciotto di raso nero, che mostrava i suoi lembi consunti in fra i due. Poi, su codesto, un pastranello che si sarebbe detto una vareuse rossa, un attila ungherese, ed un mantello alla spagnuola. Il suo capo era coperto da un feutre grigio a larghe falde, il quale dava libero passo, dai suoi molti buchi, alle ciocche di un'irsuta capigliatura che aspiravano a sventolare a grado dell'aure. Il feltro era sormontato da un'altra piuma di coda di galli, azzeccata da uno scheggiale brillante di acciaio, ed abbellito da una fettuccia di velluto. Poi ancora, dei calzoni azzurri larghissimi, cacciati a mezzatibia, in un paio di stivali alla scudiera, sui quali ballonzavano delle uose mal bottonate.

      I capelli neri del babbo Tob si attorcigliavano sulle sue spalle come colubri. I suoi lineamenti, regolarissimi, rilevati da un naso aquilino delicato e da un paio di magnifici occhi neri, restavano ancora imponenti, malgrado l'estrema loro magrezza ed il loro colorito di oliva.

      Tob era alto, nervoso, spigliato. Però tutto codesto indovinavasi anzi che vedersi, non essendo facile a discernerlo.

      Lo zio Tob era un composto di toppe di rapporto. Ogni parte del suo corpo serviva a completare l'armonia ed a compensar la dissonanza della parte vicina. Ogni arnese aggiunto al suo vestito, serviva a dissimulare la soluzione di continuità dell'arnese sottoposto, di guisa che, ravvicinati l'uno all'altro, essi formavano appena un involucro più screziato che caldo.

      La regolarità delle sue forme serviva appena altresì a temperare la ripulsione, che senza ciò avrebbero desta la sua magrezza e la sua itterizia.

      Lo zio Tob si fè avanti di un'aria sicura, mentre le sue ossa scricchiolavano al suo passo. Non cavò il copri-capo. Prese per di più una seggiola, cui avvicinò a quella del dottore, ed attribuendosi la parola pel primo e dandogli del tu, al modo dei gitani, disse:

      —Che mi vuoi tu, compare?

      Il dottore non rispose da prima. E' cercava a rendersi conto dell'uomo con cui aveva a negoziare, mediante l'analisi della fisionomia e l'osservazione di quelle mille protuberanze—cui certe abitudini della vita e del pensiero sollevano sul corpo—sì eloquenti, quando li si sa interrogare da frenologo, non da ciarlatano.

      Dopo due minuti di silenzio, che turbavano lo zio Tob, il dottore fiutando una presa di siviglia, disse lento, lento:

      —Io sono straniero. Viaggio perchè mi annoio. Son curioso. Amo le storie bizzarre. Ora, come io m'immagino, caro, ch'e' vi potria essere nella storia vostra qualche cosa di piccante, vi ò fatto chiamare per chiedervene il racconto.

      Il dottore aveva aperta la conversazione con mal garbo—non tardò ad avvedersene.

      Lo zio Tob restò un istante come stupefatto, gli occhi spalancati, pensando sognare, sospettando, malgrado ciò, che non fosse innanzi ad un commissario di polizia. Poi si alzò pian piano, e rispose:

      —Io pure, sono straniero. Io viaggio per vivere. Io non sono punto curioso. Detesto le storie, bizzarre o no. E come non ò nella mia vita nulla di ghiotto, e come, quand'anche ve ne fosse, io non l'avrei spippolato al primo ozioso venuto che prendesse la pena di chiedermelo a brucia pelo, io ti rispondo: addio compare.

      —Scusatemi, signore—riprese il dottore alzandosi—io non aveva intenzione di offendervi. Se vi ò dimandato il racconto delle vostre avventure non è mica unicamente per un sentimento di curiosità. Un'idea più generosa ispiravami.

      —Alle corte, compare—sclamò bruscamente lo zio Tob.—tu ài un servigio a chiedermi. Un uomo come te non scomoda un uomo come me pel semplice piacere di fare una chiacchierata come un vecchio paio di amici. Andiamo dunque al busillis. Che mi vuoi tu?

      —Dappoichè voi mettete la quistione in questi termini—replicò gaiamente il dottore—io l'accetto. Andiamo al fatto.

      —Andiamovici—ripostò il babbo Tob.

      —Io ò rimarcato, nella vostra banda di gente e di bestie, una creaturina di dieci o dodici anni cui suppongo una fanciulla.

      —Ah! ah!—fece Tob grattandosi il naso—Sì, infatti, è una fanciulla.

       E poi?

      —È vostra figlia?

      —Che ne so io? Del resto, appo di noi, il figlio appartiene alla comunità. E' non rileva che dal suo capo; non conosce che sua madre; ed è classificato dalla nazione ove nacque. Chi nasce in Ungheria è ungherese; chi nasce in Italia, italiano.

      —Che diritto avete voi sulla vostra compagnia?

      —Dimanda piuttosto, compare, qual diritto io non mi abbia.

      —In questo caso, voi potete vendere quella fanciullina.

      —Se volessi, il potrei senza fallo.

      —Che prezzo, volendolo come il potreste, ne dimandereste allora?

      —Io non ò detto che il volessi. Ma come tu ami a cianciare, cianciamo pur di codesto come di tutt'altro.

      —Allora?

      —Orbè, l'è secondo. Che vorresti tu farne, anzi tutto.

      —Mia figlia—supponiamo.

      —In questo caso, e' sarebbe più caro.

      —Perchè?

      —Perchè la sarebbe perduta per sempre per noi.

      —Infine—sclamò il dottore con un po' d'impazienza.

      —Cinque mila franchi—disse Tob, distillando le sillabe.

      —Il prezzo di un cavallo inglese!—proruppe il dottore. Mille grazie.

       Compro una Circassa.

      —Ti tengo—gridò lo zio Tob. Non è una figlia che tu compri allora, l'è un'utilità, l'è uno strumento, l'è un godimento o un servizio qualunque che tu acquisti infine. Tu calcoli semplicemente, non compi un'opera da filantropo.

      —Ciò mi riguarda, brav'uomo.

      —E ciò riguarda anche me. Cinque mila franchi, dunque.

      —Impossibile. Addio.

      —Vuoi tu comprarla alla libbra, compare?

      —La carne viva inganna al peso. Voi sareste minchionato, caro. No.

      —Ad ogni modo, ne daresti tu che?

      —Mille franchi.

      —Mille franchi! La sarà per me la gallina dall'uovo d'oro. Però dimmi questo, compare: ne farai tu una cristiana?

      —Senza dubbio.

      —Io diffalco allora cinque cento franchi di mancia pel diavolo.

       Prendila a 4,500


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