I suicidi di Parigi. Ferdinando Petruccelli della Gattina

I suicidi di Parigi - Ferdinando Petruccelli della Gattina


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      —In questo caso, ne diffalco altri mille franchi—a causa della probabilità che la potrà un giorno tornare a noi, in un modo o nell'altro. Tre mila cinquecento franchi, allora.

      —No. Due mila franchi, ecco l'ultimo mio prezzo.

      —Un'ultima domanda, compare, insistè lo zio Tob, riflettendo—ove la conduci tu?

      —A Parigi.

      —Vada. Te l'abbandono per 3000 franchi. Tutto non è perduto.

      Il dì seguente, lo zio Tob consegnava la fanciulla pel prezzo sopradetto, accettato dal dottore.

      Infrattanto, il mercato conchiuso, il dottore faceva rivenire l'albergatore e gli comandava da cena per due.

      —Io mi tedio a cenar solo e non mangio—diss'egli. A chi potrei indirizzarmi in città per averlo a conviva?

      —Ah!—rispose l'albergatore—se vostra eccellenza ama il buon vino, noi abbiam qui il capitano della gendarmeria…

      —Non vo' birri alla mia mensa, gnoccolone!—interruppe il dottore, conoscendo i polli di casa Borbone.

      —Vi sarebbe inoltre l'arciprete.

      —Io sono protestante.

      —In questo caso, che vi sembra del medico?…

      —Son medico anch'io. Ci arrovelleremmo prima di dar mano agli hors-d'oeuvres.

      —Allora, eccellenza, io non so mica più… perchè il sotto-intendente non verrebbe.

      —Nè io il voglio, perdio.

      —Il suo segretario fa la corte alla moglie di lui, e non si scomoderebbe neppure pel re. Il sindaco à la gotta… Ah! un'idea.

      —Dite pure.

      —Vostra eccellenza gradirebbe ella un messere che mangia molto, ma molto?

      —S'e' mi piacesse, per fermo.

      —Ebbene, il cancelliere comunale è la perla delle tavole. E' non mangia mica sovente, il galantuomo, perchè è povero.

      —Perchè è desso povero?

      L'albergatore restò allampanato alla dimanda. E' sbirciò il dottore con attenzione, poi soggiunse:

      —Cazzica! perchè è povero? Da prima perchè non guadagna abbastanza. In seguito perchè à una famiglia numerosissima. Infine, eccellenza, perchè giuoca alla lotteria quel po' di ben di Dio cui guadagna.

      —Andate ad invitare il cancelliere—ordinò il dottore—e fate il festino per bene.

      Il cancelliere accettò di balzo e giunse all'albergo.

      E quest'uomo non aveva sul viso che occhi e peli; poi, un gobbo alle spalle, un piè più corto dell'altro. E' non rideva mai. Un libro sudicissimo faceva capolino d'una delle tasche della sua giacca.

      Egli salutò sommariamente il dottore: la vista dell'imbandigione l'abbacinava.

      La cena non fu guari allegra.

      Messer lo scriba ingollava pietanze su vino e vino su pietanze. Il dottore assisteva, con noncuranza, al riempimento di quell'imbuto, aspettando il momento d'intraprendere il suo affare. Imperciocchè, non pretendiamo fare un mistero non aver egli invitato quel baratro per il piacere della di lui compagnia. Alle frutta, il momento gli parve propizio. Il degno uomo piangeva di tenerezza.

      —Voi non siete mica ricco, l'amico, mi àn detto—sclamò il dottore.

      —Lo sarò—rispose il cancelliere sfolgorante. Io non mi stancherò. O' un terno, che in tutte le giuocate rasenta l'uscita, e che mi avrebbe prodotto di già due ambi se io li avessi giuocati insieme. Ma, io vo' tutto, signore; tutto o nulla. Io lo spio, questo scellerato terno; e' verrà fuori, infine: ne son certo.

      —E se io vi dessi dei numeri più certi ancora, eh! Meglio ancora che codesto: se io vi dessi dei numeri che usciranno senza neppur averli giuocati? Che ne dite?

      —Peste e paradiso! signore… io direi… che voi vi burlate di me.

      —Io non mi burlo giammai di alcuno. Io non scherzo mai.

      —Ma allora, eccellenza… voi siete Dio o il diavolo.

      —Ditemi un po'. Voi non giuocate dunque che dei numeri schietti schietti?

      —Come mo? Vi sarebbe dunque altra cosa a giuocare?

      —Senza la formola?

      —Che formola?

      —Non mi stupisco allora che perdiate sempre.

      —Mi strangoli Dio, se ne comprendo goccia, gridò don Antonio.

      —Lo veggo bene.

      —Voi andrete a rivelarmi codesta formola—impose il cancelliere levandosi, fiammeggiante, con una energia ed una decisione che gli davano l'aria di un bandito.

      —La formola del viglietto che giocherete la volta ventura, amico mio—rispose il dottore con calma—sarebbe la seguente; «Estratto dai registri dello stato civile della Comune di Nicastro, n°… pagina… ecc., ecc. Oggi, 20 aprile 1832, s'è presentato a noi, cancelliere della detta Comune, D. Antonio Bello, accompagnato da quattro testimoni onde fare iscrivere una bambina chiamata… chiamata… sì, chiamata Regina, cui il detto D. Antonio Bello ed i testimoni ànno dichiarato appartenergli, come pure a sua moglie Lucrezia Paolina Atripalda di Nubo, ecc., ecc.»

      —In una parola, un atto di nascita!—riassunse lo scriba stupefatto.

      —Nè più, nè meno…. secondo le vostre formole ordinarie.

      Il cancelliere aveva ascoltato il dottore. Ora, come il discorso di costui gli sembrava incoerente, e' suppose che l'anfitrione gli favellasse in quel modo onde dargli dei numeri di lotteria così dissimulati, come talvolta si pratica.

      I santi, i cappuccini non li danno altrimenti.

      E' cavò dunque di saccoccia il libro sporchissimo che vi mostrava i lembi—chiamato Smorfia nell'ex-regno di Napoli—e che è una specie di dizionario con un numero appiccicato ad ogni parola. Cominciò a sfogliarlo, avvegnachè sel sapesse a memoria. Però non vedendo costrutto in quel che il dottore aveva detto, il cancelliere restò muto e si grattò il cocuzzolo a maniera di idiota.

      —Ebbene?—fece il dottore. Rispondete voi? Vi va desso di guadagnar, a colpo sicuro, 500 franchi sur un terno?

      —Sì, sì, balbuziò il cancelliere. Ma io non vi veggo il terno, io. Per esempio, noi abbiamo la bambina che fa 37, poi il padre che segna 15, e poi… buona sera.

      Il dottore sorrise e rispose:

      —Amico caro, quel che io vi chiedo è ben più semplice di tutto ciò. Io vi chiedo, secondo la vostra formola, di estrarre dai registri dello stato civile di Nicastro l'atto di nascita di Regina, figliuola di D. Antonio Bello e D. Maria Lucrezia, Paolina Atripalda di Nubo, nata il 20 aprile 1822. Capite voi?

      Lo scriba comprese alla fine, e sorridendo a sua volta, chiese:

      —Troverò tutto codesto nei miei registri, signore?

      —Ciò vi riguarda—rispose il dottore un po' brusco. Io vi darò dimani un viglietto di 500 franchi contro l'atto in quistione, bollato, registrato, firmato dal sindaco e dal sotto-intendente.

      —Ciò è grave!—mormorò il cancelliere.

      —Cosa? ciò che vi chiedo?…

      —Che voi non ne dimandiate che uno, di codesti atti.

      —Ah!

      —Va bene. L'avrete ad ogni modo domani. Perchè il sindaco firma sempre senza leggere, quando non firma in bianco nei suoi momenti d'ozio. Ma è mestieri far visitar l'atto dal sotto-intendente, onde legalizzare la firma del sindaco, ciò che io


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