Il Vino: Undici conferenze fatte nell'inverno dell'anno 1880. Autori vari

Il Vino: Undici conferenze fatte nell'inverno dell'anno 1880 - Autori vari


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quel che riguarda i riti funebri nessuno ignora quanta parte avesse nei medesimi il vino presso i Greci ed i Romani: col vino, secondo che ci descrive lo stesso Omero, si estingueva il rogo su cui ardeva il corpo del defunto, col vino e coll'olio se ne lavavano le ceneri prima di raccoglierle nell'urna; e in Roma col vino e col latte come si ricava da Tibullo. E ho appena bisogno di ricordare quell'inamabile usanza di terminare le funebri cerimonie con un banchetto, dove troppo spesso svaniva indecentemente ogni dolore fra i tripudii a cui davan luogo le frequenti libazioni di vino generoso.

      Molto di sacro hanno naturalmente i trattati di alleanza e i giuramenti: e anche qui trovo che presso alcuni popoli concorreva il vino a renderli più solenni. Ad esempio gli Sciti si ferivano alla fronte lasciando gocciare qualche stilla di sangue in un calice contenente del vino; immersavi quindi la punta di un dardo bevevano di quella miscela. E i Valacchi invece pongono in un vaso del pane, del sale e una croce: giurano, e poi in quel vaso le parti contraenti bevono vino.

      Neanche il cristianesimo, il quale pure si dimostrò così acerrimo nemico d'ogni forma del culto pagano, potè bandire del tutto il vino dalle sue cerimonie: ed è caratteristico quello che ci racconta il Peysonel nella sua relazione d'un viaggio nell'Asia Minore. Trovandosi egli a Smirne nel 1768, potè assistere a una cerimonia del rito greco in cui ravvisò un vero e proprio avanzo delle antiche libazioni; dovendosi lanciare in acqua un battello, il costruttore, prima che le altre cerimonie d'uso si compissero, si fe' portare una coppa di vino, e dopo averne spruzzata la poppa del naviglio, bevette il rimanente e ne fece bere agli astanti.

      E nel medesimo rito greco la libazione di vino interviene pure nella cerimonia degli sponsali e nei banchetti funebri; e quel che è più singolare il vino ha pure la sua parte nel sacramento dell'estrema unzione. Perchè questa vien somministrata coll'olio puro ai moribondi; ma quando la si dà a qualche reo di peccato mortale, si mescola coll'olio una leggiera quantità di vino.

      D'altra parte il vino nel rito cristiano fu innalzato all'onore supremo di rappresentante del sangue stesso del Cristo, onde per questo lato esso non ha certo ragione di rimpiangere gli antichi secoli quando aveva tributo di laudi divine. E fu un tempo in cui non soltanto il sacerdote, ma tutti i fedeli avevano il diritto di dissetarsi a questa allegorica fonte e di bevere alla sacra mensa il sangue del loro Dio sotto la forma di vino; nel secondo secolo, ad esempio, era del tutto in uso la comunione sotto le due specie. Venne poi di mano in mano proibita ai laici la comunione col vino, ciò che diede origine a controversie e ad eresie senza numero: e ancora nel 1413 il Concilio di Costanza minaccia pene severissime al prete che comunichi i fedeli altrimenti che col pane consecrato. Ciò non dimeno in Russia anche al dì d'oggi tutti i cristiani comunicano sotto le due specie.

      Poche cose dirò del vino che starei per chiamare marziale, siccome quello che conforta gli animosi alle pugne e cui gli antichi popoli (imitati in ciò dai moderni) tracannavano copiosamente per incitarsi al valore e allo sprezzo della morte.

      Già Platone osservava che frequente è l'ubbriachezza nelle nazioni bellicose; ma è da considerarsi che in alcuni popoli, massimi bevitori, la forza belligera non è che brutalità barbara e selvaggia, aumentata ancora dall'immoderato abuso delle bevande alcooliche, come si legge degli Unni e specialmente del famoso loro capitano Attila; mentre altri popoli, pure deditissimi al bere, si possono dire dotati di quella forza maschia e intelligente che non dipende soltanto dal nerbo del braccio ma dalla virtù dell'animo generoso.

      E fra i primi vanno annoverati certamente quegli Sciti che si facevano coppe da bere col cranio dei vinti nemici. Era uso presso di loro che ogni anno il governatore di una provincia dovesse invitare ad un festino tutti coloro che avevano ucciso qualche loro avversario: quivi il vino era largheggiato in copia meravigliosa e mentre gli invitati sotto l'impero dell'ebbrezza si abbandonavano ad ogni eccesso, da lungi contemplavano l'orgia con occhio invidioso quelli che non potevano vantarsi ancora d'aver trucidato un nemico. Nè meno ubbriaconi o meno barbari erano quei Britanni, di cui scrive Strabone ἀντροπόφαγοι τε ὄντες καὶ πολύφαγοι, che erano cioè antropofaghi e mangiatori solenni.

      Ma altra era la forza di quei tenaci Anglo-Sassoni, destinati a tante conquiste contro il suolo ribelle e nel regno del pensiero, e sui quali Gregorio Magno, dopo di aver deplorato la loro smoderatezza specialmente nel bere, fa questo singolare lamento: «Oh qual danno che il principe delle tenebre debba aversi così bei sudditi! Angelica è veramente la loro sembianza e degni sono di essere compagni agli angeli nel cielo».

      E se crediamo a quel che ci narra Plutarco nella vita di Camillo, bastò che Arunte Etrusco portasse ai Galli un saggio del vino italico perchè costoro s'infiammassero del desiderio di passare le Alpi e si sentissero più coraggiosi e più forti a sopportare le fatiche e i rischi della conquista. Nè dei Germani (anche di quelli lontani dalle rive del Reno) è ben certo che non bevessero vino o che ne bevessero solo scarsatamente. E sebbene Cesare scriva degli Svevi che non permettevano fra loro l'introduzione del vino, perchè effeminatore, pure sappiamo che ben presto dai vigneti renani esso si diffuse per ogni parte della Germania, e Tacito ci presenta quelle fortissime genti assise a desco dinanzi ai boccali di birra e di vino assai più tempo che a uomini temperanti non si convenga.

      Che se presso alcuni popoli, come avveniva per esempio dei Cartaginesi, troviamo leggi che fanno divieto ai soldati di bere vino durante la campagna, non è men vero che fu considerato in ogni tempo ottimo consiglio quello di rincorare i combattenti che fiutano prossima la mischia con qualche sorso abbondante di vin generoso o di altro liquore potente, il quale aiuti i morituri ad incontrare serenamente il loro fato — e a menare con più furia le mani.

      E come prima il vino è l'incitatore alla battaglia, così è in seguito il premio della vittoria: e ci siano di esempio per tutti, quei guerrieri omerici dal colossale torace che dopo ogni fatto d'arme stendono eroicamente la tovaglia e inaffiano le enormi pietanze con veri torrenti di elettissimo vino.

      E che portenti d'uomini eran quelli!

      Quando leggiam che l'inclite ventraie

      Degli Atridi e del figlio di Peleo

      Ingoiavan di buoi terghi arrostiti,

      Oh l'antica rozzezza! esclamiam tosto.

      Saporiti bocchini, e stomacuzzi

      Di molli cenci e di non nata carta!

      Ma perchè ammiriam poi che il seno opponga

      Dello Scamandro burrascoso ai flutti

      L'instancabile Achille, e portin aste

      Sì smisurate i capitani greci?

      Non consumava ancor muscoli e nervi

      Uso di morbidezza: erano in pregio

      Non membroline di zerbini inerti,

      Ma petto immenso, muscoloso e saldo

      Pesce di braccio, e formidabil lombo.

      A' gran mariti s'offerian le nozze

      Non di locuste ognor cresciute a stento

      In guaíne


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