I coniugi Varedo. Enrico Castelnuovo

I coniugi Varedo - Enrico Castelnuovo


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di questa stagione una donna d'una certa età si sposta mal volentieri.

      Diana protestò:—Una certa età?… È giovine ancora la mamma.

      —Sicuro che non è vecchia… A ogni modo…

      —Ma sta bene, non è vero?

      —Sì, grazie al cielo, sì… E puoi immaginarti quante cose m'ha detto per te, per tutti e due… A voi altri non domando come stiate; si vede.

      —Ci vedrai meglio a casa.

      Aldini, venuto a Torino, oltre che per salutare la nipote, anche per certi affari d'una Compagnia assicuratrice a cui egli apparteneva, avrebbe preferito alloggiare all'albergo, ma i Varedo non glielo permisero.

      —Se ci fai un tiro simile—dichiarò Diana—non ti guardo più in viso.

      Fuori della stazione, il professore aperse lo sportello di un fiacre e vi fece entrare sua moglie e lo zio.—Io vado a piedi—egli disse.—Passo un momento al Circolo filologico… Di qui a mezz'ora sono a casa… Arrivederci… E bada Diana, se viene Bardelli, che aspetti.

      Gustavo Aldini fu riconoscente a Varedo d'averlo lasciato solo con sua nipote, e forse anche Diana aveva piacere di trovarsi a tu per tu con lo zio.

      Onde, appena la vettura si fu mossa, vi fu un fuoco incrociato di domande e risposte.

      —Raccontami della mamma, della nostra casa, degli amici.

      —Tutti benone, tutti ti ricordano. Ma parlami di te…

      —Io sono contentissima… Ma ci vai ogni giorno dalla mamma?

      —Quando sono a Venezia anche due volte al giorno… Dunque sei contenta?… Proprio?

      —Proprio… Se non avessi il cruccio della mamma ch'è così sola.

      —Non tanto. Riceve sempre qualcheduno, la sera specialmente: le Duranti, Rinardi, Frandini, il dottore Del Marmo, i Nocera… Ma tu non ci annunzi ancora nessuna novità?

      —Che novità?

      —Via, non far l'ingenua… Le novità che si possono aspettare dalle spose.

      Forse Diana arrossì, ma in carrozza era buio, e lo zio non se ne accorse.

      —C'è tempo—ella disse.

      —Lo so che c'è tempo… Ma spero bene che non ci farete sospirare troppo.

      —Non c'è fretta—ripetè Diana. E tornò sul discorso della mamma.—Poteva venire a passar l'inverno con noi, che se pur qui fa più freddo si è meglio riparati che a Venezia…

      —Verrai tu a casa nella stagione dei bagni.

      —Sì, ci verrò… Ma se la mamma avesse passato l'inverno a Torino non si sarebbe rimaste divise che per pochi mesi… almeno in questo primo anno.

      —In agosto si compirà appunto un anno dal tuo matrimonio.

      —Vi ho rifatto una visitina ai primi d'ottobre… dopo il viaggio di nozze.

      —Meno d'una settimana.

      —Non si poteva di più. Alberto doveva esser qui per gli esami.

      La vettura si fermò, qualcheduno uscì dalla portineria ad aprir lo sportello e a prender la roba.

      Era un quartierino modesto e tranquillo, in Via della Zecca, ceduto a Varedo insieme a gran parte della mobilia da un collega dell'Università che per ragioni domestiche aveva abbandonato l'insegnamento e s'era ritirato in campagna. Solo una camera Diana aveva voluto arredar tutta di nuovo secondo il gusto suo, ed era la camera destinata ai forestieri, i quali però, nel pensiero di lei, non dovevano esser che la sua mamma e lo zio Gustavo.

      —Per mia sorella va egregiamente—disse l'ingegnere quando la nipote ve lo accompagnò,—per, me è troppo; Non avevi un bugigattolo dove mettermi? Sai ch'io ho abitudini quasi spartane.

      —Se tu fossi venuto con la mamma—rispose Diana—certo che non mi sarebbe stato possibile d'accomodarti bene, e forse avrei dovuto lasciarti andare all'albergo… Ma poichè sei qui solo e sei il primo che venga a farmi una visita (ella sottolineò la parola primo) voglio offrirti il meglio che ho.

      Ella accennò ad andarsene.—T'aspetto nella stanza vicina, ch'è il nostro salotto da pranzo.

      —Vengo con te. Mi fai vedere tutto l'appartamento.

      Diana si mise a ridere.—È presto fatto. Ma non prendi prima qualche cosa?

      —Senti, ho pranzato benissimo alla stazione di Milano, e non ho bisogno di nulla.

      —Una tazza di brodo?

      —No, grazie… Prendete il the voi altri la sera?

      —Sì.

      —Ebbene, lo prenderò con voi quando sarà tornato a casa tuo marito.

      —Come credi.

      Diana condusse lo zio nella camera nuziale, nello studio di Varedo, e in quello che doveva essere il salotto da ricevere, ma che in realtà non era che un'appendice dello studio, ingombro di libri e di carte. E dei libri ce n'erano da per tutto, perfino nel gabinetto da toilette degli sposi. Fu anzi lì, presso lo specchio davanti al quale Diana si pettinava, che l'ingegnere gettò l'occhio sopra un opuscolo legato in pergamena con fregi d'oro.

      —Che roba è questa?—egli chiese.

      —Tò, non lo conosci?—esclamò ella alquanto maravigliata.—Ce n'è una copia anche dalla mamma… senza la dedica però, che fu fatta stampare apposta per me.

      Ed ella porse allo zio il libricciuolo.

      —Adesso vedo—disse l'ingegnere Aldini.—È la conferenza di Varedo sul dovere.

      —Sì… Guarda alla prima pagina.

      —Alla mia Diana il giorno delle nostre nozze—lesse lo zio Gustavo.

      Diana spiegò:—È stata una sorpresa. Ho trovato il libro nella mia borsa da viaggio… Non ne sapevi nulla?

      —No davvero.

      —Fu un pensiero gentile.

      All'ingegnere pareva invece una pedanteria insigne, ma non volle mortificar la nipote, e si contentò di domandar sorridendo:—E rileggi la conferenza anche quando ti pettini?

      —Cattivo zio!… Sempre un po' canzonatore.

      —Via, via—replicò Aldini in tono scherzevole—chiamatemi presto a far da padrino a un bel maschiotto… Anche quella è una parte del vostro dovere.

      Poi, nel salotto da pranzo, mentre Diana rifondeva lo spirito di vino sotto la teiera, lo zio ripigliò le sue interrogazioni.—E come passi le tue giornate? Come passi le sere? Hai molte conoscenze?

      —No, non molte… Ma non m'annoio. Son sempre occupata.

      —Ti alzi presto?

      —Alle otto, otto e mezzo… Attendo alla casa; do gli ordini per le spese… Sono diventata una buona massaja… non lo credi?

      —Anzi me ne rallegro.

      —Così arrivan le undici ch'è l'ora in cui Alberto torna dall'Università… Prima di mezzogiorno si va a colazione… Dopo si lavora insieme…

      —Come sarebbe a dire?

      —Alberto studia; io ricopio i suoi manoscritti, gli correggo le bozze di stampa, faccio dei sunti per lui…

      —Sunti di libri scientifici?

      —Già. Non capisco mica tutto, ma a forza di volontà riesco a raccapezzarmi.

      —Dunque, copiando manoscritti, correggendo stampe, facendo sunti, tu fai venir l'ora di pranzo?

      —No,


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