La Principessa Belgiojoso. Raffaello Barbiera

La Principessa Belgiojoso - Raffaello Barbiera


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      Nei colloquii che la principessa Belgiojoso teneva col marchese Doria, gli disse di conoscere Giuseppe Mazzini e di conoscere Bianca Milesi sua concittadina. L'ardente Milesi, che abbiamo veduta in uno dei precedenti capitoli, ispiratrice, amica della Belgiojoso, s'era trasferita, difatti, a Genova, dove avea sposato il medico Carlo Mojon, anch'esso acceso di patriotici ideali, anch'esso cospiratore. La principessa abitava con loro; e sappiamo come, e quando, ella sia fuggita da quella casa per riparare a Marsiglia e ad Hyères.

      Il marchese Passano e Giuseppe Mazzini additarono al Doria la Milesi come maestra giardiniera. Fidandosi del Doria, la principessa non gli nascose che per la causa italiana ella avea sostenuto pecuniarii sacrificii, aggiungendo che “anche sotto questo rapporto, lo spirito dei buoni e cari cugini milanesi era eccellente„ concorrendo volentieri con forti somme alla causa comune. La principessa aggiunse (sempre secondo quanto narrava il Doria) che nella Lombardia la rete della cospirazione si estendeva sempre più e che molte in Lombardia eran le giardiniere e molti i giardini formali. Nove giardiniere costituivano un giardino formale, e tutt'i giardini formali costituivano l'avanguardia dell'occulto esercito femminile.

      I lettori sanno come il Doria rivelasse, con lettera, al principe di Metternich che Felice Argenti volea trucidare Sua Altezza. Ebbene, il Doria nelle sue delazioni al consesso giudiziario di Milano, presieduto da Paride Zajotti, tendeva a far sospettare che la principessa fosse complice dell'Argenti, narrando che gli pareva avessero fatto un viaggio insieme da Genova a Livorno! E narrò anche questo:

      “La principessa fu varie volte a pranzo e a colazione con me, in compagnia del Passano; e ciò nella mia stessa casa. Così, ella, partendo da Genova, affine di conservare una reciproca grata memoria, diede a me un cordone di margheritine guernite in oro e una posata d'argento dorata; ed io le diedi, in un medaglione d'oro, il mio ritratto.„

      E ancora, alludendo a un ufficiale superiore austriaco, il marchese Doria ebbe il coraggio di aggiungere quest'altro racconto:

      “Nei lunghi famigliari rapporti colla principessa Belgiojoso, ho potuto riconoscere che la medesima era giardiniera maestra e aveva in Milano molte amiche giardiniere anch'esse, e tutte esaltate come lei per la causa della libertà italiana. La Belgiojoso parlava bene anche di molti suoi amici egualmente settarii, fra i quali lasciava scorgere che alcuno avvicinasse la persona di Sua Altezza imperiale l'Arciduca-Vicerè. Sebbene la salute di lei fosse molto gracile (giacchè essa mi diceva d'esser soggetta a parecchi incomodi) devo giudicarla capace d'intraprendere qualunque ardita azione, perchè i suoi sentimenti sono risolutissimi.„

      Quell'uomo dicea d'avere scambiati doni d'amicizia con una signora, e ne tradiva così la buona fede!... E quali menzogne racconta il basso delatore! Dice che la principessa andava a pranzo da lui col marchese Passano, e, in un altro punto, narra ch'ella andava da lui “tutta sola„! Ma nè la principessa, nè altra donna, poteva metter piede in quella casa, perchè il Doria, allora, aveva seco un'amante, la quale non tollerava rivali nè illustri nè oscure. Quell'amante terribile arrivò al punto di versargli per più giorni un veleno nelle bevande, sperando ch'egli morisse.

      Un'altra menzogna (smascherata poi dallo stesso Torresani) era quella dell'ufficiale austriaco, amico della principessa, e settario.

      L'idea che nell'esercito vi fosse un settario e che questo avvicinasse il vicerè Ranieri, fece prender fuoco alla polizia. Le indagini non mancarono (immaginarsi!); ma condussero a smentire il Doria. Nessun ufficiale austriaco poteva essere amico della Belgiojoso; nessun ufficiale cospirava; meno poi quello che, di tratto in tratto, avvicinava il vicerè, e ch'era un povero invalido pensionato, il colonnello degli ulani Woyma.

      Il tradimento e la scelleraggine del sedicente Raimondo Doria di San Colombano furono noti ben presto ai cospiratori di Genova; i quali decisero di punirlo colla morte. Nella primavera del 1833, pochi mesi dopo le denuncie contro la Belgiojoso, uno sconosciuto, di bell'aspetto, cominciò ad avvicinare Maria De Bernardi, servente del Doria, o del signor Stefano De Gregorio, come il ribaldo si faceva chiamare a Milano. Una mattina, passando essa per lo stradone di Sant'Angelo col povero bambino del Doria al collo, incontrò quel signore e rispose ai discorsi ch'egli cominciò a tenerle con modi gentili. E, per più mattine, l'incognito (che si limitò a dichiarare chiamarsi Luigi) aspettò sulla via la domestica, offrendole la propria amicizia.... Una volta, nella tranquilla via Borgonuovo, pochi passi discosto dalla casa della bella e capricciosa contessa Giulia Samoyloff, il signor Luigi e la domestica, che andavano amichevolmente insieme, incontrarono un uomo di signorile apparenza; e il signor Luigi lo fermò subito dicendogli: “Questa è quella donna, che tiene in custodia il ragazzo del signor Stefano De Gregorio!„ Il sopraggiunto nulla disse; accarezzò il bambino, e se n'andò.

      Alle cinque della mattina del 1º maggio di quell'anno 1833, il signor Luigi e la Maria si trovano soli, solissimi, nel più intimo colloquio.... fuori di Milano, alla Cascina dei Pomi; quand'ecco l'uomo afferra furente per il collo la disgraziata, e le intìma, se vuole aver salva la vita, d'avvelenare il De Gregorio, con una boccetta che leva di tasca e le porge. La donna rimane allibita; ma recisamente rifiuta di macchiarsi d'un delitto. L'altro l'atterra, colpendola forte coi pugni sullo stomaco e al capo; ma ella rifiuta ancora, rifiuta sempre, risolutissima. E il sicario le mena due coltellate al collo, e fugge.

      La De Bernardi con sforzi sovrumani si leva dal suolo, e, fermando con un fazzoletto il sangue che le sgorga dalla gola, si trascina penosamente in città e batte alla porta d'una propria sorella maritata al fabbro ferrajo in via San Spirito, poco lungi, adunque, dalla casa nella quale il Doria alloggiava sulla Corsia del Giardino. Il primo pensiero della sventurata, prima ancora di porsi a letto, è di scrivere al suo padrone. Ecco la sua lettera con tutti i suoi errori:

      “All sig. Stefano,

      “Scrivo a lei in questo momento che mi è permesso già che sonno stata mortalmente asasinata per salvare a lei la vita il resto solo comunicherò a viva voce però credo bene a prevenirlo si guarda bene già che lo vogliono a se sinare, non si sgomenti e venga da me il più presto possibile.

      “di lei sua fedele serva

       “Maria De-Bernardi.„

      In quella stessa sera, uno dei capi più volpini della polizia, il noto Bolza, va a interrogare la servente ferita, la quale geme sul letto della sorella, ed è in preda a delirio, a vomiti, sputa sangue. Al chiarore d'un piccolo lume, il Bolza scrive un processo verbale, strappando a mala pena qualche parola dall'inferma. Quelle pagine, vergate, sulla ruvida carta dei protocolli, dalla scrittura pesante, nera dell'accanito poliziotto, rivelano tutta la scena tetra, miseranda del momento: par di sentire le risposte trarotte della donna ferita, quasi le sue parole gorgoglianti nel sangue, là in quella squallida camera di poveri operaj semibuia. La preoccupazione della servente, che per salvare il proprio padrone giacea vittima per lui, — la preoccupazione che la tormentava più delle ferite era quella d'aver mancato di fede.... come dirlo?... di fede amorosa verso il padrone. Era l'idea del tradimento d'amore commesso verso di lui che la facea smaniare; non la coscienza del tradimento del marito, povero operajo della Zecca, il quale, forse, in quel momento, chi sa? coniava le monete destinate al Doria. Tale si manifesta, qualche volta, il cuore della donna nelle modeste classi sociali, come nelle alte. Più tardi, la donna ferita viene interrogata da Paride Zajotti, per istrapparle altri dati affine di costruire un edificio d'accusa; ma quella disgraziata, sempre più affranta, non può che ripetere le dichiarazioni già fatte prima al Bolza. Il medico giudiziario dottor Caimi, visitandola cinque giorni dopo, trova che le due ferite purulente ai lati della laringe non sono pericolose di morte; pericoloso gli sembra, invece, un colpo preso sullo stomaco; e per salvare l'infelice, le cava sangue!...

      Tale il fatto. Mai si seppe chi fosse il feritore e il suo misterioso compagno di via Borgonuovo; e ignoriamo se la povera servente sia vissuta dopo la tragedia; ma abbiamo motivo di credere che ne sia morta. Infatti, quando la polizia cadde nel sospetto che il feritore della De Bernardi fosse un giovane straniero, il quale viveva meschinamente a Milano dando lezioni d'inglese, certo Gregorio Codeville, denunciato qual carbonaro dal Doria, non fu possibile che il Codeville venisse fatto vedere alla domestica ferita: della disgraziata non si fa più parola!... E il Tribunal criminale, con sua nota


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