La Principessa Belgiojoso. Raffaello Barbiera

La Principessa Belgiojoso - Raffaello Barbiera


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nome. La madre di lui, contessa Virginia Ottolini, occupava un'alta carica nella Corte vicereale. Il padre, marchese Serafino Alberto, era uno di quei tipi strani di cui parlavamo. Stava in campagna tutto l'anno a Castelletto sul Ticino e ad Ornavasso, con una folla di gatti: passava l'intera notte fino all'alba a recitare col cameriere i salmi e il rosario: all'alba, si coricava tranquillo per rifare nella notte l'ascetica vita di prima. Il dormire di giorno e il vegliare la notte fu, d'altra parte, la vita di molti nobili sulla fine del Settecento e sul principio del secolo XIX; e Ippolito Pindemonte, innamorato della vita campestre, nelle fluide, lucide ottave del suo Mattino, punge quel controsenso e l'usanza malsana.

      Simpatico l'aspetto del Visconti d'Aragona: faccia rotonda che emerge dai solini e da un cravattone enorme: begli occhi, bella la fronte spaziosa, resa più spaziosa dai radi capelli. Entusiasta del Rousseau, inclina al sentimentalismo sospiroso; nello stesso tempo si occupa d'agricoltura con dottrina non comune. Facile agli slanci d'ammirazione e, nello stesso tempo, ombroso, sospettoso. Quanti possono competere con lui nelle cognizioni botaniche? Egli non si arresta solo a studiare le piante; le coltiva con sapienza per abbellire giardini; e disegna giardini. Le bellezze dell'arte lo esaltano; ma ama ancor più la patria, a cui vuol donare liberali istituzioni; e quest'amore lo spinge al pericolo, alla soglia dello Spielberg.

      Egli è amico di casa Manzoni, e il sommo scrittore lombardo gli mostra benevolenza. Frequenta il liberal conte Luigi Porro Lambertenghi, e, nella casa del conte, trova Silvio Pellico; trova Giovanni Berchet, Pietro Borsieri, il Romagnosi, Melchiorre Gioja, il medico Rasori, tutti scrittori di un nuovo giornale, Il Conciliatore, che vuole infrangere i vecchi stampi di convenzione su cui il classicismo si modella e bandisce una poesia popolare, una poesia sentita, una letteratura che viva in accordo col movimento dei tempi. Il marchese Visconti d'Aragona s'incontra, in casa Porro, con un altiero uomo: Federico Confalonieri. E col Confalonieri, e con altri, il marchese Alessandro Visconti d'Aragona fa costruire il primo battello a vapore sul Po, caldeggia il mutuo insegnamento, vuol diffondere la scienza: tutti nobili sforzi, germi di sano progresso che i migliori opponevano al letargo servile imposto allora alle contrade italiane dall'Austria: dall'Austria che, abbattuto il napoleonico colosso dai piedi di creta, era ritornata padrona ed arbitra.

      “I grandi uomini sono come le meteore del cielo che si consumano per illuminare la terra„; sembra abbia detto un giorno Napoleone; anche la sua meteora — meteora di sangue — s'era consumata; e l'Austria amava le tenebre. Nelle Memorie d'Oltretomba del visconte di Chateaubriand, si legge una pagina verissima sul sonno che l'Austria avea diffuso su una terra appena risvegliata, appena in ascolto della propria coscienza. Lo Chateaubriand era venuto a Milano al tempo della fragorosa occupazione francese, con una lettera di Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone, per il maestoso Murat; e parla d'allora, parla del poi: è una pagina ammirabile:

      A mon passage à Milan, un grand peuple réveillé ouvrait un moment les yeux. L'Italie sortait de son sommeil, et se souvenait de son génie comme d'un rêve divin: utile à notre pays renaissant, elle apportait dans la mesquinerie de notre pauvreté la grandeur de la nature transalpine, nourrie qu'elle était, cette Ausonie, aux chefs-d'œuvre des arts et dans les hautes réminiscences d'une patrie fameuse. L'Autriche est venue; elle a remis son manteau de plomb sur les Italiens; elle les a forcés à regagner leur cercueil. Rome est rentrée dans ses ruines, Venise dans sa mer. Venise s'est affaissée en embellissant le ciel de son dernier sourire; elle s'est couchée charmante dans ses flots, comme un astre qui ne doit plus se lever.[3]

      E contro questa morte imposta dall'Austria, lottarono i magnanimi del 1821, lottò il padrigno di Cristina, lottò pertinace, invitta, la stessa Cristina allorchè, più tardi, divenne principessa di Belgiojoso.

      — Voglio sudditi devoti, non sapienti, — disse Francesco I allorchè visitò l'Università di Pavia dove Ugo Foscolo avea fatto risuonare la liberale sua voce. E il monarca austriaco non poteva dir frase più adatta per ridestare tutto un movimento, una diffusione di mutuo sapere.

      Alla polizia austriaca di Milano, che vegliava sopratutto sugli alti papaveri, non isfuggivano le inclinazioni del giovane Visconti d'Aragona: e, quando scoperse la trama del Carbonari, lo ricercò per arrestarlo. La moglie di lui è sul punto di salire in carrozza per la solita passeggiata sul Corso, quando vengono ad avvertirla che la polizia sta eseguendo perquisizioni nelle case degli amici del marito, e che il conte Porro Lambertenghi è in carcere, e altri arresti sono imminenti. Coraggiosa e tranquilla, ella ordina al cocchiere di volare a galoppo ad Àffori, dove arriva immediatamente: penetra in una casa che il marito ivi possiede: entra nella stanza che serve agli studii di lui: brucia in fretta e in furia, nel camino, tutte le carte che le càpitano sotto mano. Quando giungono i poliziotti col bieco Bolza alla testa, il camino fuma ancora; ma le carie incriminabili sono distrutte.

      Il Visconti d'Aragona non arrivò in tempo di fuggire come Giovanni Berchet, come il marchese Giuseppe Arconati-Visconti, come Giuseppe Pecchio, Giovanni Arrivabene, Benigno Bossi e il conte Luigi Porro. Fu arrestato, ad Àffori. La moglie svenne.

      Il Visconti d'Aragona fu sottoposto a interrogatorii dalla Commissione speciale di Milano per “delitto d'alto tradimento„.

      Per ottenere la liberazione del marito, la moglie corse a Verona, nella qual città erano radunati per il famoso congresso i sovrani della Santa Alleanza. La bella marchesa si gettò ai piedi dell'imperatore Francesco I, che le disse buone parole. Per fortuna, le “prove legali„ mancavano, e il prigioniero fu dichiarato libero con la stessa sentenza che condannava alla morte il conte Confalonieri e altri patrioti del 1821.

      Il marchese Visconti d'Aragona si comportò assai nobilmente nel processo. Lo rilevo da' suoi stessi interrogatorii, negli atti originali de' processi del '21, custoditi negli archivii segreti di Stato lombardi a Milano. Secondo l'iniqua procedura penale d'allora, agli imputati non erano concessi avvocati. Dovevano difendersi da sè. Gli inquisitori adoperavano ogni mezzo per istrappare la verità dalle labbra degli accusati. Quasi tutti ignari delle leggi, affraliti dal carcere, spesso dai digiuni, e sgomenti nell'incertezza, e fra oscure o aperte minaccie, eran facile preda.

      Il giovane Gaetano De Castiglia, ingenuo, dolcissimo spirito, che, per suggerimento del conte Federico Confalonieri, s'era presentato al piemontese generai San Marzano e al principe di Carignano, Carlo Alberto, affine di determinarli a invadere colle armi la Lombardia, scacciarne gli Austriaci, e fondarvi la Costituzione, raccontò (chi sa con quali arti costretto) nel suo interrogatorio davanti alla Commissione speciale presieduta dall'astuto criminalista Salvotti, trentino, che gli pareva il marchese Visconti d'Aragona fosse uno dei loro, uno dei federati!... Questo bastò perchè il Visconti d'Aragona venisse arrestato e chiuso nella “Casa di Correzione„ a Porta Nuova, dove non gli mancarono, per altro, riguardi, da parte di Alessandro Pajna direttore di quel carcere, del cappellano Felice Maria Meloni e dello stesso Salvotti; il quale, perfetto nelle forme, non si presentava mai nel carcere degl'imputati politici senza levarsi il cappello e tenerlo rispettosamente in mano durante la conversazione; ma poi li condannava alla forca o allo Spielberg. Esecrabile, esecratissimo.

      I verbali politici dell'Austria contro i cospiratori italiani si presentano con una regolarità di forme giuridiche impeccabili. Da una parte del foglio, è scritta l'interrogazione all'imputato, precisa, senza apparente suggestione: dall'altra parte, è scritta la risposta di lui; sovente è dettata da lui stesso; sempre è da lui firmata.

      Il marchese Visconti d'Aragona difese dignitosamente se stesso, e non tradì alcuno. Disse solo che Silvio Pellico, alla mensa del conte Luigi Porro (de' cui figliuoli era istitutore) pronunciava talvolta frasi irreligiose. L'autore delle Mie prigioni inclinava, allora, alle beffe volteriane. Ma la sventura innalzò quell'animo alla fede: il lungo martirio nello Spielberg tramutò il suo fremito in rassegnazione. Poteva ben odiare ei che trascinava le catene per avere amata la patria; poteva odiare, e compatì; poteva minacciare vendetta; e volle perdonare ai proprii carnefici.

      Rilasciato libero per “difetto di prove legali„ dopo tre anni di carcere, il marchese Visconti d'Aragona tornò all'utile vita di prima: soccorrere gl'infelici, ajutare nuovi tentativi d'industrie, conversare coi migliori su alte cose. Il Conciliatore era stato soppresso dall'Austria; ma lo spirito del generoso giornale aleggiava invitto nel cuore degli uomini come


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