La Principessa Belgiojoso. Raffaello Barbiera

La Principessa Belgiojoso - Raffaello Barbiera


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a Cristina. Rimasta orfana del padre a soli quattr'anni, ella crebbe in casa Visconti d'Aragona; e pei Visconti alimentò gli affetti domestici.

      Le cospirazioni, le prigionie, le fughe, le condanne atroci de' liberali, ecco i tristi spettacoli che sfilarono dinanzi alla sua mente fanciulla. Le ansie, le lacrime della madre per il marito incarcerato, la prigionia del padrigno non le suscitarono certamente affetto per l'Austria.

      Intorno a Cristina, crescevano quattro fratelli, nati dal Visconti d'Aragona: Alberto, Teresa, Virginia e Giulia. Alberto, gentiluomo aristocratico inflessibile, appassionato pei costumi dell'alta società inglese, appassionato pei cavalli, amico di Massimo d'Azeglio, nemico della Corte austriaca, era amato dalla sorella Cristina con quell'affetto fraterno, confidente, che riempie tanti vuoti del cuore.

      E la madre, sempre tutta grazie e sorriso, continuava intanto le belle serate musicali.

      Vincenzo Bellini, biondo, roseo, timido giovanetto, divenuto d'un tratto celebre col Pirata alla Scala, frequentava quella casa, tentando d'eseguire sul cembalo le melodie soavi da lui create: dico tentando, perchè la soggezione gli legava le mani. Vedendo l'impaccio del giovane, la marchesa si metteva ella al cembalo, e interpretava a prima vista la musica di quel genio gentile, che gioiva nell'udirla.

      L'entusiasmo pei maestri e pei cantanti prorompeva allora con impeti clamorosi; e gli uni e gli altri ben lo meritavano per la loro eccellenza. Le difficili comunicazioni, i radi rapporti fra stato e stato, fra provincia e provincia, persino fra città e città, circoscrivevano la vita; ma la musica, lo spettacolo teatrale allietavano quella cerchia ristretta, l'allargavano, quasi, colla luce del genio. La musica parlava ai cuori un idioma comune, e li univa, li affratellava in una calda affinità di nobili sentimenti; e ben presto li accese di patriotiche speranze. Quanti cospiratori sfogarono nell'entusiasmo musicale la febbre occulta di patria che li agitava! E un infaticabile osservatore, un originalissimo poeta tedesco, Enrico Heine, al teatro alla Scala di Milano li notò. L'autore dei Reisebilder, venendo a Milano non ammira solo al chiaror di luna il Duomo, che gli sembra capolavoro grandioso e gentile ad un tempo, un incantevole “giocattolo pei bambini d'un gigante„, non solo ammira, per le vie, in più d'una donna leggiadra “quel mento aguzzo che alla signora della scuola lombarda dà un'aria sentimentale„, com'egli narra appunto nei Reisebilder, così lampeggianti d'impressioni e d'immagini; egli, anche, trova “pallidi visi italiani con la mestizia nel bianco degli occhi e una dolorosa tenerezza sulle labbra„. E racconta una scena del teatro alla Scala, passata fra un inglese e un italiano:

      Noi avevamo assistito alla rappresentazione d'un'opera nuova alla Scala e al baccano infernale che si fa in simili occasioni. — Voi altri Italiani, disse l'Inglese all'uomo pallido, sembrate morti a ogni cosa, tranne per la musica, che sola ha ancor la potenza di scuotervi. — Voi ci fate torto, rispose l'uomo pallido, scrollando le spalle. Ahimè! (egli soggiunse con un sospiro) l'Italia siede elegiacamente sognando sulle sue ruine, e se talvolta si desta e balza con impeto alla melodia di qualche canto, il suo entusiasmo non è per il canto in sè stesso, ma per i ricordi e i sentimenti del passato, che quel canto ha evocati, che l'Italia custodisce sempre nel suo cuore, e che allora traboccano tumultuosamente. Ecco il significato del gran baccano che avete sentito alla Scala.[4]

      Un popolo che possedeva quelle melodie; un popolo che ardeva così d'entusiasmo, non era morto: si preparava a risorgere. E Cristina Trivulzio voleva essere l'angelo della rivoluzione, accanto al bellissimo principe Emilio Belgiojoso, le prince charmant.

       Indice

      Emilio Belgiojoso, il poeta Berchet e Gioachino Rossini. — Il supposto “giovin signore„ del Giorno. — Nozze fastose nella chiesa di San Fedele. — Mode. — La principessa sposa a Merate. — Gentildonne cospiratrici. — I principi Belgiojoso profughi in Svizzera. — Le spie. — Gherminelle contro il Governo austriaco. — Ricordi d'un ballo in costume in casa Batthyány a Milano. — Un “Pietro Aretino„; chi era?..

      Passiamo un momento ad un borgo nella provincia di Pavia, fra l'Olona e il Po: a Belgiojoso. Fu là che, dopo la sconfitta di Pavia nel 24 febbrajo del 1525, lo spensierato, cavalleresco Francesco I re di Francia si ritrasse, prigioniero di Carlo V, per passare poi alla Cervara, nell'incantevole golfo ligure.

      La famiglia Belgiojoso, che porta il nome di quel borgo, non ne è originaria. Essa era forte fin dal nono secolo nelle Romagne, dove possedeva, con titolo comitale, fra altri feudi imperiali quello di Barbiano; ed è Barbiano il nome originario dell'illustre famiglia.

      Un Carlo Barbiano fu il primo che s'intitolò dal feudo di Belgiojoso; e i due nomi passarono da allora congiunti di secolo in secolo.

      Quel Carlo Barbiano non risveglia certo gradito ricordo col nome suo. Fu egli che, inviato da Lodovico il Moro presso il mostruoso Carlo VIII di Francia, indusse costui a calare nel 1494 colle armi in Italia. La famiglia Belgiojoso divenne patrizia milanese sessantadue anni dopo quella ruinosa calata di barbari infetti. Più tardi, ottenne il grandato di Spagna: nel 1769, ottenne il principato: e i suoi principi si denominarono d'allora “principi del Sacro Romano Impero e di Belgiojoso„.

      Nel 14 marzo del 1800, nacque da questa famiglia il principe Emilio Belgiojoso, figlio di Lodovico e d'Amalia Canziani, la quale non potea vantare stemmi patrizii.

      Bellissimo come un Apollo era il principe Emilio. Affabile, squisito il suo tratto, caustico il suo brio, vaste le sue ricchezze, che profondeva con larghezza spensierata. Era schermitore insuperabile, cavalcatore elegantissimo; ballava con grazia. E la sua voce?... Un incanto. La prima volta che Gioachino Rossini lo ode a Milano, ne rimane rapito; la prima volta che s'avvicina a quel gentiluomo seducente, lo ama. “Ti dirò ciò che mille volte ti ho verbalmente detto e ripetuto: t'amo e t'amerò sempre!„ scriveva più tardi il Rossini al principe da Parigi.[5]

      Tutta la famiglia Belgiojoso emergea pel raro talento della musica e per la generosa protezione che accordava a maestri, a cantanti; e costoro l'adulavano, formandole intorno una corte. Pompeo Belgiojoso, chiamato per celia da Gioachino Rossini il patriarca Pompadour, spiega così robusta voce di basso che quel grande maestro lo vuole a Bologna per cantare nel suo Stabat Mater. Antonio Belgiojoso compone notturni, oratorii, messe, e un'operetta, La figlia di Domenico. Suona il violoncello e scrive un breve trattato Sull'arte del canto, dove parla della “fioritura e del trillo„ — della “timidezza o peritanza„ del “canto di sorpresa ch'è proprio delle opere buffe (egli dice) e s'appoggia interamente sulla agilità.„

      Un balsamo soave è l'armonia

      Sul dolor della vita, e l'infelice

      Mentre l'aura ne bee consolatrice

      Tutti gli affanni oblia;

      esclamava, nella Virtù del canto, il melodioso Andrea Maffei, che facea parte di quella società canora, ed era amico del principe.

      Emilio Belgiojoso non voleva che si ripetesse quanto Ugo Foscolo avea detto e che mille pappagalli ripetevano: che il giovin signore, l'effeminato eroe del Giorno di Giuseppe Parini, fosse il principe Alberico di Belgiojoso, suo nonno. Non era vero, e neppur verosimile. Nelle vene del principe Alberico scorrea il sangue bellicoso degli avi. Non avea egli preso parte alla “guerra dei sette anni„? Non si trovò alla battaglia di Rosbach? E per il suo valore non venne promosso generale?... Era soldato, e amava i soldati; tanto che un decreto imperiale gli affidò il comando del presidio militare di Milano; comando che teneva ancora quando uscì la prima parte del Giorno: il Mattino.

      Giuseppe Parini fece come gli artefici squisiti della bellezza, che scelgono le leggiadrie di più donne per una Venere sola: egli riunì più giovani signori in un giovine solo.... ed esagerò con arte poetica sovrana. La satira esagera sempre.

      Poichè a Emilio Belgiojoso dava noja la sempiterna ripetizione della fola di Ugo Foscolo,[6] volle, quale errata-corrige (nel 1826), che la piccola casa attigua al palazzo Belgiojoso


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