La Principessa Belgiojoso. Raffaello Barbiera
d'un sepolcreto di re, non è, infatti, la più amena per accogliere due sposi, appena reduci dall'altare. Mite s'inarca il cielo della Brianza; i colli circostanti si profilano con amabili curve; mandan limpidi riflessi d'oro le frondi all'autunno; ma quella dimora fra i cipressi non è il più ridente paradiso nuziale. Cristina legge lunghe ore sotto gli alberi; non legge, spero, l'epigramma.
La madre del principe accolse con amorevolezza la bellissima nuora, e, per farle sentire ch'ella è entrata ornai nel tempio dei liberi pensieri, le offre subito da leggere il Candide del Voltaire; ma la principessa dolcemente lo respinge.
— Perchè non lo vuoi?... le chiede la suocera.
— Perchè l'ho letto.
Il buon accordo conjugale visse la vita d'una rosa. Se non mentono le cronache mondane del tempo, nella stessa prima sera nuziale si palesò l'incompatibilità dei due caratteri.
I due giovani sposi, tornando a Milano, andarono ad abitare nel palazzo di proprietà della famiglia Belgiojoso, nella piazza tranquilla dello stesso nome. Ma la divisione, una divisione pacifica, senza tribunali, senza avvocati, senza carta bollata, doveva succedere dopo qualche tempo fra i due conjugi, le cui personalità eran troppo spiccate e troppo imperiose per fondersi in armonia durevole per tutta la vita.
Una Cristina Belgiojoso non avrebbe mai abdicato al proprio titolo, ai proprii diritti di principessa; d'altra parte, quelle due anime, così diverse in tutto, avevano un punto di contatto: si accordavano in un alto sentimento, il sentimento patriottico: per cui, anche lontani, Cristina ed Emilio conservarono, per la forza di quel sentimento nobilissimo, relazione continua e cordiale. Non erano più due sposi: erano due congiurati. Caso ben raro nella storia delle separazioni conjugali.
Durante le cospirazioni del 1821, a Milano, alcune animose signore si erano votate alla causa liberale accanto ai cospiratori, con quella prontezza, con quell'ardore ch'è proprio della donna nel sostenere nuove idee, nell'amare nuovi ideali anche pericolosi. Fra quelle signore, si notavano l'angelica Teresa Casati, moglie al Confalonieri; un'amica soavissima d'Ugo Foscolo, Matilde Viscontini, maritata al general napoleonico barone Dembowski; e vi primeggiava la sdegnosa Bianca Milesi. Nel gergo dei Carbonari, esse assunsero il nome di giardiniere.
Bianca Milesi, filosofessa, con le scarpe da soldato, camminava risoluta per le vie di Milano portando a tracolla una giberna dove teneva, a portata di mano, l'Essay del Locke. Era anche pittrice ritrattista. Coraggiosissima contro i tranelli della polizia e contro i terrori del codice austriaco, ne rideva: fœmina vir.[9] Essa strinse presto amicizia colla principessa Belgiojoso, che alla filosofia, al patriottismo, univa impavida l'odio delle convenzioni sociali e sprezzava l'altrui prepotenza. Le due concittadine, l'una plebea, l'altra patrizia, s'intesero. La Milesi (sposatasi al medico Mojon di Genova) era d'età matura, e bene esperta nel congiurare; ella fece, perciò, da maestra (e qual maestra!) alla giovane principessa.
Fra gli atti segreti del Governo Lombardo-Veneto, custoditi negli Archivii di Stato a Milano, trovo una lunga lettera da Ginevra, diretta alla polizia di Milano. È la lettera d'una spia. Essa parla d'un primo viaggio furtivo della principessa Belgiojoso; la quale, contro le prescrizioni del Governo austriaco, s'era allontanata liberamente da Milano, senza chiedere il permesso voluto; così pure avea fatto in quel torno di tempo l'ex suo marito, il principe Emilio. La lettera della spia parla apertamente d'un compagno che la marchesa Gherardini avea dato alla propria figlia Cristina nel viaggio elvetico.
Quel compagno era l'amico della Gherardini; ed era stato precettore del fratellastro della Belgiojoso, il marchese Alberto Visconti d'Aragona, che abbiamo nominato nel precedente capitolo. Quel signore, un bergamasco, si chiamava Giovanni Beltrame, già capitano napoleonico del Genio, comandante una compagnia d'artiglieria, decorato della Legion d'onore. Rovinato per il fallimento d'un fratello, negoziante di seta, avea dovuto darsi attorno per vivere; e fu allora che gli amici gli procurarono l'impiego d'istitutore di quel giovane patrizio.
Il Beltrame non riuscì peraltro a dominar l'altiero alunno; onde ei lo fece affidare al collegio di Desenzano, dove s'educavano i nobili. E qui l'anonimo “confidente„ (così chiamavano anche allora le spie.) continua, non senza ironia maligna, nei particolari sulla principessa Cristina e su quell'avvenente cavalier Beltrame, il quale “non poteva simpatizzare cogli Austriaci„.
Correva allora l'anno 1830; l'anno appunto della pacifica divisione conjugale de' principi l'anno della fuga della principessa Cristina da Milano. — Sentiamo la spia:
“.... Non andò guari che seguì la divisione dei principi conjugi Belgiojoso; e siccome la giovane principessa avea fatto divisamento d'espatriare per qualche anno, la tenera di lei madre, per darle una specie di compagno, di mentore e di economo, gettò gli occhi sopra l'ex-capitano Beltrame; lo richiamò premurosamente da Bergamo, lo propose, fu accettato; e da quel momento ha seguìto la principessa nelle di lei peregrinazioni. Costretta dal cattivo stato di sua salute, questa giovane Dama ha preso a pigione un casino di campagna poco discosto da Ginevra, ove, abitando alcuni mesi, si è alquanto ricuperata. Ultimamente, ha voluto che il capitano facesse un giro nei diversi Cantoni della Svizzera; indi lo ha mandato ultimamente in Italia colla sua grande berlina da viaggio, carica della maggior parte del suo bagaglio, con ordine d'andarla poi a raggiungere a Lugano, ove ella contava di rendersi prendendo la via di Berna.„[10]
È in questo tempo che comincia il regno delle spie. L'Austria governò per tanti anni le terre soggette colla polizia; ma questa s'appoggiava sull'opera continua, implacabile delle spie, che essa sceglieva fra persone colte, bene accette nella società; e lautamente le pagava, inviandole sotto falsi nomi nella Svizzera, in Francia, dovunque gli esuli italiani si raccoglievano a cospirare. Gli Archivii segreti di Stato a Milano conservano numerose lettere di quegl'italiani rinnegati; lettere che pervenivano al Governatore o alla direzione della polizia con indirizzi (previamente combinati) d'immaginarii commercianti e coll'indicazione: Milano, ferma in posta. Il Governatore e il direttore della polizia segnavano con un lapis rosso tutt'i punti di quelle lettere, che potevano dar motivo a processi, a persecuzioni, a vigilanze speciali; e, se i rei appartenevano ad altri Stati congiunti all'Austria nella repressione delle idee liberali, tosto quegli Stati ne erano avvertiti; così, una fitta rete d'informazioni segrete, di reciproci soccorsi s'intesseva fra le burocrazie. Nello spionaggio, nessuna donna: le donne erano escluse.
Lo spione della Belgiojoso si mostrava ben informato. Diceva giusto sulla cattiva salute della principessa. La Belgiojoso, al pari d'altri ingegni singolari, andava soggetta, pur troppo, ad attacchi d'una malattia terribile che desta in ogni cuore bennato profonda compassione: l'epilessia.
Quanto filo da torcere ella dava però alla polizia e allo stesso governatore del Regno Lombardo-Veneto, conte Hartig, il quale, gentiluomo nell'anima, non avrebbe mai voluto importunare, meno perseguitare una dama! E il principe di Metternich abbassava, intanto, acerbi rimproveri al conte Hartig, perchè lasciava passar facilmente il confine a sudditi tutt'altro che devoti all'aquila imperiale.
Ma c'era di mezzo la Repubblica Elvetica, la quale facilmente accoglieva i profughi, e facilmente li proclamava proprii cittadini; bastava che comperassero un palmo di terra entro i suoi confini. E così fecero alcuni esuli. Un bel giorno, quattro o cinque profughi lombardi si riunirono formando una ditta, e comperarono un'isoletta di qualche metro di ghiaja in un fiume, collo scopo di diventarne possidenti, quindi intangibili nella libera Repubblica Elvetica....
La principessa Cristina Belgiojoso non avea bisogno di ricorrere all'acquisto di banchi di ghiaja per essere proclamata concittadina di Guglielmo Tell. Ella si ricordò che, per un decreto dell'11 luglio 1808, i Trivulzio tutti avevano diritto alla cittadinanza svizzera; ed ella dimostrò ben facilmente ch'era figlia d'un Trivulzio....
Detto, fatto: si fece rilasciare dal Gran Consiglio del Canton Ticino una dichiarazione solenne ch'ell'era cittadina elvetica, e precisamente del Canton Ticino, e che, come tale, ognuno doveva riconoscerla. Il decreto, rilasciato il 5 ottobre del 1830, munito del “gran suggello dello Stato„, passò a Milano; e ora dorme il sonno dei giusti negli Archivii lombardi. Ma allora?... Fu un bel gesto, direbbero i moderni, della principessa; fu una bella sorpresa per le autorità dell'Olona!...[11]
Intanto, la Giovine Italia