Natalìa ed altri racconti. Enrico Castelnuovo

Natalìa ed altri racconti - Enrico Castelnuovo


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con Valentina sul Garda, dai miei genitori. Addio.„

      Con la fretta angosciosa di chi non vuol lasciar adito al pentimento, chiuse entro una busta il cartoncino insieme col biglietto di Natalìa, vi applicò il francobollo, vi fece la soprascritta:

       Al signor Commendatore

       Avvocato Carlo Fìdoli

       Albergo Milano

      Roma.

      Indi, senza frapporre indugi, cacciando in seno la lettera che avrebbe impostata ella stessa alla stazione, corse nello studio di suo marito.

      Ernesto Landi che sedeva accasciato si alzò in piedi. — Lidia.... non vuoi ascoltarmi?

      — È inutile.... Parto.

      — È proprio vero?... Parti con Valentina?

      — S'intende.

      — Ma non per.... molto?

      Ella tacque.

      — Lidia, Lidia, — insistè lo zio. — Non distruggere una famiglia.

      — Sono io che la distruggo?

      — Lo so, i torti non son tuoi.... Ma non conviene esagerare.... Tante cose si accomodano, tante cose più gravi di questa.

      — Non son venuta qui per discutere, — interruppe Lidia. — Ormai quel ch'è fatto è fatto.

      — Hai spedita la lettera? — chiese trepidante lo zio, credendo di dover interpretare così la frase sibillina.

      — È come se l'avessi spedita; — ella replicò brevemente.

      — Dunque non l'hai spedita? Dunque c'è ancora tempo?

      — La getterò io con le mie mani nella cassetta postale, — dichiarò Lidia.

      Poi, stanca di questa commedia, tirò fuori la lettera e la mise sotto gli occhi di Landi. — Eccola.

      Vedendone la soprascritta egli rimase perplesso, e rivolse alla nipote uno sguardo ansioso. Non era uno sbaglio? Il biglietto di Natalìa?

      — È qui dentro; — disse Lidia, rispondendo alla muta interrogazione. E soggiunse: — Sono stata vile.

      La fisionomia d'Ernesto Landi s'illuminò di riconoscenza. — Sei un angelo! — egli esclamò. E fece atto di chinarsi per baciarle il lembo della veste.

      Ella si ritrasse sdegnosa e respinse la lode.

      — Sono vile, vile.... Siamo tutti vili, io, mio marito, tu.

      Come se Ernesto Landi volesse provar luminosamente che, almeno per quanto si riferiva a lui, la sentenza era giusta, egli biascicò esitante: — E non mi hai mica nominato?

      Lidia atteggiò le labbra a un sorriso sarcastico. — Oh no.... È una faccenda che regolerete fra voi due.... Già quella signora ha posto per tutti.... E adesso, caro zio, non abbiamo altro da dirci.

      Umile, insinuante, egli arrischiò una preghiera: — Non mi permetterai di abbracciar Valentina?

      — No, — ella rispose in tuono secco, reciso. — Anzi non voglio che tu la incontri.

      Lo fece passare per l'antistudio, gli aperse la porta che dava sul pianerottolo e fronteggiava quella del suo quartierino particolare.

      Egli uscì a testa bassa, sgomentato dalla voce dura, dal gesto imperioso di Lidia.

      — Arrivederci, — egli balbettò. — E se ho errato, perdonami.

      — Addio, — diss'ella, tirando l'uscio dietro a sè.

      Sentiva d'esser stata senza pietà, ma c'era in lei una reazione contro la debolezza di prima. Dopo aver rinunciato a vendicarsi dei due veri colpevoli, ella infieriva contro quegli il cui delitto era forse men grave. Tale è spesso la giustizia del mondo.

      ················

      La gondola che doveva portare alla stazione Lidia e la figliuola era sul punto di staccarsi dalla riva.

      — No che il nonno non dorme. Perchè mi avevi detto che dorme?... — gridò a un tratto Valentina, scotendo forte il braccio della madre. — È là il nonno, alla finestra della sua camera, e ci saluta e mi manda dei baci.... Buondì, nonno, buondì.

      E rossa, animata in viso, la bimba ricambiava con la mano i baci che Ernesto Landi continuava a mandarle. Quindi, con un moto d'impazienza: — Mamma, guarda in su, dunque.... Saluta anche tu.

      Lidia non potè a meno di alzare gli occhi e di fare un cenno col capo.

      — Buondì, nonno; — seguitava a gridar Valentina, mentre la gondola s'allontanava, e dalla riva piovevano i buon viaggio, signora, buon viaggio, signorina, della servitù. — Buondì, nonno.... Vieni a trovarci a San Vigilio, vieni col babbo....

      — Basta, ora, Valentina.... Chetati; — ammonì Lidia.

      — Povero nonno!... Resta così solo.... E quant'è commosso!... Pare che pianga.... Non può nemmeno parlare.... Ecco, adesso sventola il fazzoletto.... Buondì, nonno!

      E Valentina agitava ella pure il suo fazzolettino bianco di batista, ove Lidia aveva ricamato un bel V.

      La gondola svoltò in un altro canale, la casa disparve.

      — Mamma, — chiese Valentina, — che cosa ti ha fatto il nonno che sei in collera con lui?

      Lidia non rispose, tirò a sè la figliuola e se la strinse al petto singhiozzando.

      — Mamma, mamma, — proruppe angosciosamente la fanciulla, — cos'hai? Cos'è avvenuto da ieri in qua?

      — Niente, caro tesoro.... Nuvole che passano.

      La barca usciva nel Canalazzo, entrava nel sole. Lidia si rasciugò gli occhi, li fissò nella luce, li fissò, pieni di tenerezza, in Valentina. Ridiscendeva a poco a poco la calma nel suo cuore sbattuto dalle tempeste, vi ritornavano la speranza e la fede. Chi sa? Forse tutto non era perduto; forse la mano innocente di Valentina poteva riedificare ciò che la mano impura di Natalìa aveva infranto.

       Indice

      Ero da due giorni a Milano per una mia faccenda e mi disponevo a ripartire la sera quando mi giunse questo telegramma da Venezia:

       Preghiamovi caldamente rappresentare domani nostro Istituto funerali commendatore Baggi. Spendete circa 100 lire in una corona.

      Il dispaccio era firmato dal Presidente della Banca Adriatica, persona amicissima mia, ed era spedito evidentemente in nome di tutto il Consiglio d'amministrazione. Anche con la Banca ero in qualche rapporto e sapevo che, parecchi anni addietro, in momenti difficili, l'appoggio del commendatore Baggi le era stato prezioso. Non potevo quindi rispondere con un rifiuto, sebbene, in quanto a me, non avessi mai visto il defunto.

      Ordinai la corona, comperai un cappello a cilindro e un paio di guanti neri, e la mattina dopo, alle 9 precise, ero in via Brera, N. 48, dove il commendatore occupava un elegante quartierino del primo piano.

      Il carro funebre di prima classe era fermo davanti alla porta, attraendo lo sguardo dei passanti invano allontanati da due uscieri municipali in gran tenuta; lungo il muro andavano via via schierandosi le varie rappresentanze con le loro bandiere; altra gente era raccolta nell'androne e nel cortile; gli amici, i conoscenti, le persone di maggior riguardo erano pregati di salire. Due giovinotti in lutto strettissimo, due nipoti, l'uno grasso e l'altro magro, tutti e due con un viso da eredi, facevano con grande compitezza gli onori di casa. Allorchè mi presentai ad essi, ringraziarono con effusione me e la Banca delle dimostrazioni di simpatia fatte al caro estinto e mi pregarono di tener uno dei cordoni. Balbettai le condoglianze di rigore, insieme con le solite domande insulse sul genere,


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