Natalìa ed altri racconti. Enrico Castelnuovo

Natalìa ed altri racconti - Enrico Castelnuovo


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vuoto in principio, si riempì a mano a mano durante la corsa; anzi a Calle Vallaresso s'imbarcarono alcuni conoscenti coi quali convenne pure scambiar strette di mano e saluti: una signora Spedara, piccola, inframmettente, che domandò almeno cinque volte: — È sempre stata bene, signora Fìdoli? —, un'altra con la figliuola, condiscepola di Valentina, che attaccò subito l'argomento delle troppe lezioni; un amico di Carlo che tanto per dir qualche cosa chiese a Lidia ciò che sapeva perfettamente: — L'avvocato è già partito per Roma?

      A Lidia non parve vero di scendere a Sant'Angelo e di liberarsi dai seccatori.

      Salendo le scale di casa sua ella interrogò la cameriera. — C'è lo zio?

      — Nossignora.

      — E non è mica stato in questo frattempo?

      — Nossignora: da quando è uscito verso il tocco non s'è più visto.

      — E non è venuto nessun altro?... Non è venuto niente?

      — È arrivato un pacco postale multato.... Pare che ci sia dentro una lettera.

      — Ah, della mamma, — disse subito Lidia. Era una fissazione della sua mamma quella di metter le lettere nei pacchi postali. Ogni anno si dovevan pagare per causa sua parecchie di queste multe.

      — Il fattorino ripasserà domani a riscuotere il danaro, — soggiunse la cameriera. — Intanto ha lasciato il pacco.

      — Dov'è?

      — In salotto da pranzo.... È una scatola di fiori.

      Valentina, ch'era stata con tanto d'orecchi tesi sperando che il pacco della nonna contenesse un regalo per lei, al sentir che si trattava di fiori fece una spallucciata e tirò per la manica l'Erminia, la cameriera, affinchè ammirasse il nuovo cerchio.

      — Va, va con l'Erminia, — ordinò Lidia alla figliuola. — Va a lavarti le mani, a mutarti il vestito. — Indi, a una muta interrogazione della donna di servizio, rispose: — Io non ho bisogno di nulla.... Ah sì.... porta di là il mio cappello. Se lo levò di testa e glielo diede.

      — Venga, signorina, mi farà vedere il cerchio, — disse la cameriera. — Com'è grande!

      — È più grande di quello della Bertocci, — affermò Valentina con aria convinta, lasciandosi condur via dall'Erminia.

      Lidia entrò in salotto da pranzo ove dalla scatola semiaperta usciva un acuto profumo di rose. Erano belle le rose, di tutte le specie e di tutte le tinte; ma tra pel viaggio, tra per le manomissioni degl'impiegati postali, erano anche, a eccezione di poche, avvizzite e sfogliate. In mezzo ai petali sparsi, in mezzo agli steli infranti la lettera incriminata odorava essa pur come un flore. Lidia ne ruppe la busta. — “Fin da domenica siamo a San Vigilio, sul nostro Garda, — scriveva la madre, — ove fa meno caldo che a Verona e ove abbiamo trovato una magnifica fioritura di rose. Ti spedisco le più belle; ma in quale stato ti arriveranno?... Che peccato che non siate qui a coglierle, tu e Valentina! Come siamo soli, e con che impazienza contiamo i mesi, le settimane, i giorni che mancano al settembre quando finalmente verrete! Circa al venir noi per i bagni, non ci vedo chiaro. Il tuo papà si move sempre meno volentieri, dice che la vita di Venezia l'estate lo affatica.... Oh Lidia mia, che brutta cosa invecchiare!... Ma non metterti in apprensione; finora, anche invecchiando, il tuo babbo ed io stiamo bene.... Quello che temo non possa durare fino al settembre è il povero Lampo, l'antico e vispo compagno delle tue passeggiate.... Ha dato un crollo negli ultimi mesi! Si trascina a stento, ha la tosse, è pieno d'acciacchi; forse sarebbe opera di carità l'accorciargli le pene, ma non ce ne sentiamo il coraggio; vogliamo ch'egli muoia della sua buona morte.... Abbiamo ragione, non è vero?... Povera bestia! Come ti ricorda! Basta dirgli: dov'è Lidia? perch'egli si scuota, alzi il muso e dimeni la coda e risponda con un mugolìo sommesso che par quasi significare: Perchè mi lusingate invano?... È una giornata senza sole, e forse per questo la mia lettera ha un'intonazione grigia.... Smettiamo.

      “Il babbo abbraccia teneramente te e Valentina. Io vi mando mille e mille baci. Salutami tuo marito, scrivi presto e credimi

      la tua aff.ma mamma.„

      Gli occhi di Lidia s'erano empiti di lacrime. Sui sentimenti confusi destati in lei dal dramma domestico in cui minacciavano di naufragare la sua felicità e la sua pace, sul dolore, sulla gelosia, sulla collera, s'innestavano altri sentimenti pieni di paurosa ansietà e d'ineffabile malinconia. Ella correva col pensiero ai suoi vecchi così soli, così abbandonati, con la fronte già curva, coi capelli già bianchi, trascinanti il piede lungo i sentieri del bel giardino invano rifiorente per loro, o, nel vespero silenzioso, affacciati al parapetto del terrazzo che dava sul lago, mentre qualche vela sfiorava la superficie increspata dell'acqua e il vapore da Peschiera o da Riva lasciava dietro di sè una striscia sottile di fumo, e il sole scendeva laggiù verso Desenzano. Nè, per quanto facesse, Lidia riusciva a scacciar da sè l'immagine del povero Lampo quale la lettera glielo aveva dipinto; affranto, malato, decrepito, uscente dal suo torpore solo in udire il nome di lei. Temo non possa durare fino al settembre — le scriveva la madre; e l'idea di non vederlo più, di non accarezzarlo ancora una volta la crucciava come un rimorso. Ma, nella eccitazione de' suoi nervi, prima che di questo, ella si chiamava in colpa d'aver lasciato la casa paterna, e sciocche e colpevoli chiamava tutte le fanciulle che un vano miraggio d'amore o un più vano desiderio di novità strappa al nido domestico, ov'è sbocciata la loro anima, ove non è cosa che non sia in intima comunione di spirito con loro.

      Alla voce di Valentina che rideva nell'altra stanza con la cameriera, Lidia si scosse, si rasciugò in fretta gli occhi, dispose con le sue mani in una coppa di cristallo le rose meglio conservate, e la coppa posò delicatamente, perchè l'acqua non traboccasse dagli orli, sulla tavola apparecchiata.

      Valentina irruppe nel salotto da pranzo. — Oh le belle rose!... Son quelle che ha mandate la nonna?

      — Sì.

      — Ma ce ne son dell'altre nella scatola.... E anche qui sul tavolino.

      — Non vedi che sono tutte sfogliate?... Anzi di' all'Erminia che venga a prender la scatola.

      — Or ora. Ma le foglie le raccolgo io. Voglio far l'acqua di rose.

      Lidia si strinse nelle spalle. — Bada alle spine.

      L'avvertimento era opportuno ma giunse tardi, perchè Valentina s'era già punta un dito e strillava, più che pel dolore, per la vista del sangue.

      La madre accorse. — Te l'avevo detto!... Che bimba!... Non istà mai ferma.... Dio!... Anche questa ci voleva oggi!

      Ed esaminava la piccola ferita, e succhiava il sangue, e diceva a Valentina carezzandola: — Non è nulla, non è nulla. Sii buona.

      In fatti Valentina non tardò a rasserenarsi e a sorridere in mezzo alle lacrime. — Scrivi alla nonna che un'altra volta cavi le spine prima.

      — Oh sciocchina! — fece Lidia baciando la figliuola. E le chiese: — Hai fame?

      — Tanta.

      Lidia sonò il campanello e ordinò all'Erminia di sollecitare la cuoca.

      — Appunto, — disse la cameriera, — la cuoca voleva sapere se c'è a pranzo il signor Ernesto.... Io veramente avevo apparecchiato solo per due....

      — Andrà bene così, — rispose la signora. — Credo che mio zio non venga. Venendo si contenterà di quello che c'è.... Una posata è subito messa.... Intanto, appena è pronto, portate in tavola.

      Che sforzo fu per Lidia quel giorno trangugiar qualche boccone, mentre pareva che il cibo le si fermasse nella gola, e lo stomaco non volesse riceverlo! Se per un momento, ai Giardini, ell'aveva potuto considerar le cose sotto un aspetto men fosco, se nonostante la leggerezza di suo zio, nonostante l'impudenza della Morini, ell'aveva potuto sperare che l'ultimatum spedito alla sua rivale non fosse inefficace, ora rinfacciava a sè medesima la propria ingenua credulità. Non c'era dubbio, Natalìa avrebbe raggirato quel minchione di Ernesto Landi, studiandosi di disarmarlo


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