Natalìa ed altri racconti. Enrico Castelnuovo

Natalìa ed altri racconti - Enrico Castelnuovo


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l'interruppe. — Non perdiamoci in chiacchiere. Porta questo tè.

      Tornando col vassoio, l'Erminia, o per sollecitudine, o per curiosità, domandò di poter rimanere alzata fin che rimaneva la signora.

      — No, — replicò questa. — Non voglio.... Non so neppur io a che ora andrò a letto.... E forse ti chiamerò domattina più presto del solito.... Va, va.

      — Devo spegnere il gaz?... Il signor Ernesto ha il suo lume abbasso.

      — Spegni il gaz della scala, — rispose la padrona, — e lascia accesa una fiamma nel salotto d'ingresso.

      — E quella chi la spegnerà? — chiese l'Erminia.

      Lidia si strinse nelle spalle. — Io stessa.... O il signor Ernesto.... in caso disperato resterà accesa tutta la notte.... La gran disgrazia!... Va, va.

      L'Erminia uscì a malincuore, additando la teiera e dicendo: — L'acqua è calda.

      Dopo qualche minuto d'attesa, Lidia si alzò e, adagio adagio, spalancò tutti gli usci fino al salotto d'ingresso; tanto da evitare il pericolo che Landi arrivasse inavvertito e sgattaiolasse nelle sue camere. Presa ch'ebbe questa precauzione, ella bevette successivamente due tazze di tè che dovevano aiutarla a vegliare, magari fino a giorno fatto. Già ell'era certa che se si fosse coricata senza veder lo zio Ernesto non avrebbe trovato un istante di requie. In ogni modo, non la turbava il dubbio che lo zio non venisse prima di giorno. Egli aveva troppa cura della sua salute da passare l'intera nottata fuori di casa.

      Di ben altra natura eran dunque le inquietudini che la travagliavano. Come si sarebbe regolata domani? Ecco il problema. A che partito si sarebbe appigliata in seguito a una risposta sfavorevole o ambigua? Si sarebbe valsa davvero delle sue armi? Avrebbe avuto il coraggio d'andar sino in fondo? Un'idea, sì, prendeva a grado a grado forma e contorni nella sua mente; nè a quell'idea erano state estranee le parole rivolte poc'anzi alla cameriera: forse ti chiamerò domattina prima del solito; ed ella dibatteva per la centesima volta il pro e il contro del suo disegno quando (era da poco sonata la mezzanotte) udì qualcuno fermarsi alla porta di strada e introdur la chiave nella serratura. — Finalmente!... — ella esclamò. E corse incontro allo zio.

      — Finalmente! — ripetè, aprendo con impeto la porta che dava sulla scala e avanzandosi sul pianerottolo.

      Ernesto Landi, che saliva col lume in mano, fece un passo indietro e dovè abbrancarsi alla ringhiera.

      — Chi è?... Sei tu, Lidia?... Che modi!... Quasi ruzzolavo.... Ti credevo a letto.

      — Come? Non eravamo intesi che l'avrei aspettato?

      — Sì, ma avendo tardato tanto....

      — Poco male.... Non ho sonno.... Su, via, spicciati ora.

      Landi era lì immobile, tenendo in una mano il lume e la mazza, appoggiandosi con l'altra alla ringhiera. Non si decideva a far gli ultimi scalini; parlamentava dal basso.

      — Dicevo che forse si sarebbe discorso con più agio domani.

      Lidia protestò in tono reciso. — Subito voglio sapere. Acconsente a partire, colei?... Acconsente?

      — Dio santo!... Le cose bisogna pigliarle con calma.

      — Spiegati allora! — riprese Lidia frenandosi a stento. E soggiunse con aria sarcastica: — Devo venir, a offrirti il braccio perchè tu salga?

      — Salgo, salgo, — brontolò lo zio Ernesto, quando vide che non c'era speranza di rimandare il colloquio.

      — Puoi spegnere il lume, — disse la nipote. — C'è il gaz in sala.

      Lo precedette nel salottino, gli additò una sedia, e facendogli segno di attendere diede una capatina in camera da letto per assicurarsi che Valentina dormiva. Rientrata in salotto, ne chiuse tutti gli usci, sedette di fronte allo zio e gli piantò gli occhi in faccia. — Dunque?

      Egli ritorse il viso istintivamente, e cominciò esitante: — Prima di tutto ti chiedo scusa di non esser venuto prima.

      Ella ebbe un moto d'impazienza. — Tira via.... Parla di lei.... parla della signora.

      — Ecco, — balbettò Ernesto Landi; ed evitava sempre di guardar sua nipote, — ecco, Natalìa è dolentissima....

      — Oh.... zio....

      — Dolentissima, — ripetè questi. — Riconosce che le apparenze la condannano....

      — Zio.... tu vaneggi, — interruppe Lidia. — Le apparenze? E la lettera?

      — Sì, sì, non c'è dubbio.... la lettera è stata una leggerezza.... Ma di serio non c'è stato niente....

      — E le ore deliziose?... E il nido?... Mi credete una bambina, mi credete una stupida, tu e la tua Natalìa?

      Landi si contorceva sulla sedia come uno studente impreparato dinanzi alla commissione esaminatrice.

      — Senti, Lidia.... a ogni modo, ella ti promette per quanto ha di più sacro, ti dà la sua parola d'onore che troncherà ogni rapporto con tuo marito.

      — La parola d'onore di Natalìa! — esclamò la moglie ingannata, battendo palma a palma. — A che gioco giochiamo?... Non ti ricordi più qual era il mio ultimatum?... Non le hai imposto, in nome mio, di accettare il trasloco, di abbandonar Venezia per sempre, entro una, entro due settimane?... Ah Madama rifiuta di andarsene?... Non è vero, rifiuta?

      — Non rifiuta, in massima.... tutt'altro.... Crede impossibile di andarsene ora.... Che figura farebbe fare a suo marito presso il Ministero?... Nondimeno potrei ritentare se avessi....

      — Che cosa?

      Lo zio Ernesto esitò un momento, poi slanciò la bomba.

      — Se avessi la lettera?

      — Sei pazzo?

      — Persuaditene, Lidia, — seguitò Landi. — Natalìa è donna da prendersi con le buone.... Le minaccie la inaspriscono.... Rivolgendosi al suo cuore, che non è cattivo, te lo giuro, restituendole quella lettera malaugurata....

      — Zio, zio, — proruppe Lidia, — sei tu che mi fai queste proposte?... Tu che avevi assunto l'incarico di difendere la mia causa?... E non ti vergogni?... Ma sì che ti vergogni.... Si capisce che vorresti nasconderti.... Non hai ancora avuto il coraggio di fissarmi in viso.... Fissami in viso, per Dio.

      E così dicendo gli si avvicinò, gli pose le mani sulle spalle, lo scosse con forza, lo costrinse ad alzare gli occhi.

      — Andiamo, Lidia.... cos'hai stasera? — borbottava Landi, non riuscendo a capacitarsi come la sua dolce e mansueta nipote si fosse trasformata in una virago.

      — Hai addosso il suo profumo di cocotte! — ella soggiunse arricciando il naso, e fiutando le dita contaminate.

      E intanto scrutava attenta e severa quella fisonomia di vecchio libertino, quei solchi profondi, quelle carni floscie, quella tinta terrea, quella bocca sensuale ov'erano forse le traccie di lascivie recenti, e ne provava un ribrezzo, una nausea invincibile. La visione disgustosa, associandosi nella sua mente all'episodio dello zio e di Natalìa curvi insieme sul banco del gioielliere, n'evocava una più laida, più ripugnante, che pur troppo chiariva tutto, spiegava a Lidia il perchè Ernesto Landi fosse ormai l'alleato della sua nemica.

      Ella lasciò ricader le braccia inerti sulle ginocchia e non trovò altre parole che queste:

      — E pensare che potrebb'esser tua figlia!

      Ma Landi, nel suo turbamento, diede alla frase una portata che Lidia non si sognava di darle.

      — No, Lidia, no, non devi dir questo.... Lo sai che non è mia figlia.... Lo sai che aveva tre anni quand'ho conosciuta sua madre.... No, Lidia, no....

      Anzichè ammansarsi per la difesa non chiesta da un'imputazione che ell'era le mille miglia lontana dal fare, ella sentì crescere in sè lo schifo


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