Natalìa ed altri racconti. Enrico Castelnuovo
Non ha dormito, la signora, stanotte? — chiese l'Erminia.
— Ho dormito poco.... Perchè?
— Perchè si vede.... È assai pallida....
— Non importa.... Dormirò in treno.
— E — seguitò la ragazza — non istà mica male?
— No, sto benissimo; — rispose Lidia con qualche sforzo.
L'Erminia domandò ancora: — E.... scusi se sono indiscreta.... resterà assente un pezzo?
— Non so.... Forse molto, forse poco.... Scriverò da San Vigilio.... Spicciati, fa questo bagaglio.
— Non vuol che la pettini prima?... Non vuol che svegli la signorina?
— Oh per la signorina c'è tempo.... la sveglierò io.... In quanto al pettinarmi, tant'è sbrigarsi addirittura.... Ma presto, mi raccomando.
E sedette nell'abbigliatoio, davanti allo specchio, sciogliendo i capelli folti, ondulati, d'un bel castano scuro e lucente ch'erano stati il suo orgoglio.
— Presto, presto.
— Ma se non ha pazienza — diceva l'Erminia — le strappo i capelli.... E sarebbe peccato.
Lidia tentennò la testa e un sorriso amaro le sfiorò le labbra. Quei capelli bruni che le scendevano giù in doppia lista lungo le guancie livide e smunte le facevano l'effetto d'una triste cornice a un'immagine ancora più triste. Vide, in un'apparizione fuggevole, la chioma nera di Natalìa profusa sulle spalle opime e sul seno procace; vide in mezzo a quell'onda fluente i grandi occhi pieni di lampi e le rosee labbra piene di fascini, e sentì la vanità della lotta.
— Presto, presto.
Si appuntò da sè le ultime forcine e licenziò la cameriera. — Attendi al bagaglio, e disponi perchè sia pronto il caffè e latte.... E che verso le otto ci sia una gondola alla riva.
Lidia guardò l'orologio e stette un momento perplessa. Doveva chiamar Valentina, o, piuttosto, mentre la bimba dormiva ancora, doveva passar nel salotto da lavoro e finir la lettera per Vittorio Morini? Finir la lettera? Era dunque decisa? Avrebbe dunque rimesso a Morini il biglietto di Natalìa? Era decisa?
Non avrebbe potuto dirlo; pur s'avviava al salotto, traversando la camera da letto. In quella Valentina si mosse, stirò le piccole braccia, girò intorno le pupille assonnate. — Chi è?... Mamma, mamma!
— Son io, tesoro; — disse Lidia correndo a baciarla.
— Che ore sono?... È ora d'andar a scuola?
— Oh per la scuola sarebbe presto, — rispose la madre. — Sono soltanto le sei e mezzo. Ma non si va a scuola oggi.
Valentina, ch'era una bimba studiosa, aggrottò le ciglia. — O perchè?
— Perchè, — soggiunse Lidia cercando di dare un'intonazione allegra alla sua voce, — perchè invece di andare a scuola si va insieme a fare una visita ai nonni, a San Vigilio.... Come? Stai lì ingrugnata? Non sei contenta d'andare dai nonni?
— Non m'hai detto nulla iersera; — notò Valentina con aria d'importanza.
— O che si deve dir tutto a madamigella? Era una sorpresa che ti preparavo.... Su, su, alzati.
Lidia spalancò le imposte ch'erano socchiuse, e la luce del mattino invase la stanza.
— È una giornata splendida.... Avremo un viaggio delizioso.... E come sarà bello il lago!
Lo sa il babbo che andiamo dai nonni? — domandò Valentina.
— Lo saprà.
— Ma quando si torna a Venezia?
— Oh che bimba cattiva!... Anzichè aver piacere d'andar dai nonni pensa già al ritorno.
Ma la fanciulla piagnucolava. — Come farò per gli esami?
— Non ti confondere per gli esami.... Accomoderemo tutto. Su intanto....
E Lidia, impaziente, strappò via le coperte della figliuola.
— Oh mamma! — protestò questa come offesa nel suo pudore, tirando a sè un lembo del lenzuolo per coprire il corpicino seminudo.
— Alzati, dunque; — ripigliò Lidia.
— Mi alzerò sola.... Non mi guardare.
Era l'ambizione di Valentina di lavarsi e vestirsi tutta quanta da sè, senz'aiuti.... Per spogliarsi la sera, era un altro affare. Allora ordinariamente cascava dal sonno.
— Non ti guardo, no, non ti tocco.
Grave, taciturna, chiusa nella camicia da notte ch'ella si teneva stretta sul petto, trascinando i piedini scalzi nelle pantofole troppo grandi, Valentina passò nel camerino da bagno. No, quel viaggio improvviso non la persuadeva. Da ieri in poi accadevano cose ch'ella non capiva, che le si volevano nascondere.... E non erano cose liete.... Bastava veder la sua mamma.
Nuda, sotto la doccia, Valentina piangeva, e le sue lacrime si mescevano all'acqua che le pioveva dall'alto sulla nuca e sul dorso.
E di nuovo Lidia s'avviava al suo salottino da lavoro quando l'Erminia, ch'entrava in camera coi vestiti spolverati della padroncina, l'avvertì che c'era fuori suo zio e che desiderava parlarle.
Lidia s'imporporò in viso. Non l'aveva ella messo alla porta? Come osava ripresentarsele?
— Non ho tempo; — ella rispose. — Digli che non ho tempo.... che sto per partire....
— Appunto per questo, — replicò l'Erminia. — È rimasto così male sentendo che parte.
— Fa la mia ambasciata e risparmia i commenti; — intimò la signora.
L'Erminia ubbidì, ma non tardò a ricomparire.
— Scusi.... io non ne ho colpa.... il signor Ernesto ha insistito tanto.... La prega, la supplica di riceverlo per un minuto.... Non so che cosa abbia.... So che fa pietà.... Pare invecchiato di diec'anni da ieri.
— Insomma.... — principiò Lidia. Ma si pentì a mezzo. Non poteva far licenziar dalla cameriera, quasi fosse un intruso, lo zio di suo marito, lo zio Ernesto, quegli che la servitù vedeva continuamente andar e venire come uno di casa. — Dov'è? — ella chiese.
— È in sala.
— Ebbene, accompagnalo nello studio del padrone.... già fino alle nove non c'è nessuno.... e che mi aspetti.... Tu poi torna subito di qua e bada a Valentina.... Non le dire che c'è lo zio, non voglio che si trovino insieme.... Ricordatene.
Ed ecco che Lidia era ancora davanti al suo tavolino, decisa a non abboccarsi con lo zio Ernesto senz'aver prima preso una risoluzione irrevocabile circa alla lettera di Natalìa. Annunziare il fatto compiuto era il miglior modo di troncare un colloquio che le ripugnava.
Spiegazzata, sgualcita, la lettera di Natalìa era sotto i suoi occhi, accanto a quella incominciata per Morini. “Signore. La lettera che le inchiudo non era destinata nè a Lei nè a me, ecc., ecc.„
Ora ella s'accorgeva che le righe scritte non avevano bisogno di nessuna illustrazione, e che non vi mancava se non la sua firma. Perchè esitava? Perchè a rilegger le sue parole, pur così semplici, così vere, e in apparenza così calme, ella provava un amaro disgusto di sè, sentiva una voce intima della coscienza che le ripeteva: È male, è male?
E il tempo stringeva, e Valentina poteva da un momento all'altro irrompere nella stanza, tempestarla di domande, chiederle s'ella scriveva al babbo. Non le aveva già chiesto se il babbo sapeva della loro partenza?
Valentina aveva ragione; il babbo doveva sapere. Cedendo a un'ispirazione subitanea, Lidia stracciò in minutissimi pezzi il foglio ove aveva tracciato le linee accusatrici, prese un cartoncino da corrispondenza e vi scrisse con rapidità febbrile:
“Carlo.