Natalìa ed altri racconti. Enrico Castelnuovo

Natalìa ed altri racconti - Enrico Castelnuovo


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alla moglie legittima, che si servisse pur della lettera, se ne aveva il coraggio.... Ma era chiaro.... lo zio non tornava perchè non aveva una risposta soddisfacente da dare; anch'egli, come tutti i pusillanimi, non cercava che di guadagnar tempo.

      Valentina, a cui la gita ai Giardini aveva aguzzato l'appetito, mangiò la minestra e il lesso senza badar troppo alla cera scura di sua madre, ma quando fu al terzo piatto cominciò a piantarle in viso i suoi occhi interrogatori, a esser vinta dall'inquietudine di lei, a far i capriccetti propri ai bambini che son scontenti e non sanno dire il perchè. Poveri bimbi! Noi li accusiamo di esser bisbetici senza ragione, e dimentichiamo che spesso i capricci dei piccoli non sono che l'espressione visibile del malumore dei grandi.

      — Sii buona, Valentina, — supplicava Lidia, — sii buona.

      Valentina avrebbe voluto esser buona, ma non poteva. Si sentiva avvolta di nuovo dalla grande tristezza che l'era piombata addosso improvvisamente due o tre ore addietro, in Piazza San Marco, e che poi l'aria libera, il moto, la felice spensieratezza dell'età avevano in parte dissipata. Sentiva che c'era qualcosa d'insolito intorno a lei, qualcosa che le si nascondeva, sentiva che la sua casa, che la sua mamma non erano quelle di jeri; associava nella mente il babbo lontano, il nonno, la bella signora, e non capiva, e non osava domandare, paurosa d'un altro rabbuffo. Lente, silenziose le colavano le lacrime giù per le gote.

      — Non piangere, tesoro, — disse Lidia, — non piangere.

      L'Erminia che serviva la frutta si chinò sulla fanciulla. — Cos'ha? Era tanto allegra prima.

      — Niente non ha, — replicò Lidia. — Lasciala stare.... Piuttosto, alza quella tenda, apri meglio quella finestra.

      Un raggio di sole, rinfrangendosi sulla vetrata, rigò d'una striscia luminosa la tovaglia bianca, sprigionò un breve scintillìo dalle boccie e dai bicchieri, lambì le rose che si sfogliavano.

      — Oh! — fece Valentina mettendosi la mano davanti agli occhi.

      Ma il sole era scomparso. Lidia guardava le rose che alla tepida carezza parevano essersi ravvivate un istante, aver dato un profumo più intenso, come l'anima dell'anima loro. E dietro le rose avvizzite rivide ancora una volta il suo lago, la sua villa, i suoi genitori, il suo cane decrepito e moribondo.... Oh perchè, perchè non era laggiù?

      Si alzò bruscamente da tavola e propose a Valentina di salire insieme in terrazza per annaffiare le piante.

      — Ci vieni, davvero?

      — Sì, ci vengo.

      Era di solito un ufficio affidato all'Erminia; in quell'ora Valentina aveva l'abitudine di mostrare i suoi quaderni alla mamma, e di fare i suoi piccoli còmpiti sotto la direzione di lei. Oggi delle lezioni non ce n'erano, e mamma e figliuola s'inerpicarono per le due scale erte, buie e anguste che conducevano alla terrazza.

      — Se capita lo zio, — disse Lidia alla cameriera, prima di salire, — chiamami subito.

      — Sissignora.

      Nè la terrazza era spaziosa, nè le piante eran molte; un trenta o quaranta vasi al più, guastati in parte dalle irruzioni frequenti dei gatti del vicinato. Non ci volle quindi un gran tempo ad annaffiarli, ma Lidia, quand'ebbe finito, anzichè scendere si affacciò al parapetto da cui l'occhio, libero per tre lati, spaziava in un ampio orizzonte spingendosi fino alla linea vaporosa dell'Alpi. Dalla massa dei tetti accavallantisi gli uni sugli altri emergevano le punte aguzze dei campanili e le cupole rigonfie delle chiese; i fili del telegrafo correvano paralleli nell'aria come le righe d'un libro di musica; le rondini a stormi ora lambivano i comignoli delle case ora si sprofondavano nell'azzurro, cantando; nella mite luce crepuscolare si smorzavano tutti i colori e tutti i contorni.

      Montata sopra una panca di legno, accanto alla madre che le aveva passato un braccio attorno alla vita, Valentina domandava: — Che campanile è quello? Quella che chiesa è?

      Non sempre Lidia era in grado di rispondere all'interrogazione, e allora la bimba brontolava infastidita: — Non sai niente. — Ma la sua curiosità non scemava per questo, ed ella tornava ad appuntare il dito qua e là. — Dimmi, che cos'è?

      — Smetti, non vedi ch'è quasi buio?

      Scendeva a poco a poco la sera; in cielo brillavano le prime stelle. Un lume apparve a una finestra d'una casa lontana lontana; si dileguò, riapparve, svanì.

      — Chi sta in quella casa? — chiese Valentina.

      — Scioccherella, come vuoi ch'io sappia?

      — Perchè non sai?

      — Perchè, perchè, — disse Lidia mettendo una mano sulle labbra della fanciulla.

      — Ma sì, perchè?

      — Zitto! — intimò la madre. E pensava a tutti i segreti che quelle case, ormai formanti una sola ombra confusa, gelosamente chiudevano, pensava ai lutti, alle gioie, alle colpe, alle speranze, agli amori che si celavano dietro le imposte chiuse, dietro i muri impenetrabili. Ricordava l'allusione di Natalìa al nostro nido.... Ah, dov'era il loro nido? In che parte della città? Forse in un angolo remoto, forse nel centro, a due passi da lei, a due passi da Valentina.... Povera Valentina! Lidia le posò la destra sul capo, come a proteggerla.

      — Mamma, — ripigliò la bimba. — Le rondini sono andate a letto?

      — Sì, cara.

      — E dove hanno il loro letto le rondini?

      — Sotto le cornici, sotto le gronde, al coperto.... Vuoi che andiamo anche noi al coperto?... Tira un po' d'aria....

      — Si sta meglio con l'aria.

      — Ts! — fece Lidia, che aveva sentito un suono di passi sulla scaletta. E si voltò vivamente. — Chi è?

      Era l'Erminia, con un lume in mano.

      — C'è qualcuno giù? C'è lo zio? — domandò Lidia con ansietà.

      — Nossignora, — rispose la cameriera. — Ma sulla scala non ci si vede più, e son venuta col lume pel caso che desiderassero scendere.

      — Hai fatto bene.... Scendiamo.

      Valentina non oppose che una piccola resistenza. Era stanca, aveva sonno, benchè protestasse di non averne e di voler tener compagnia alla sua mamma. Anch'ella doveva aspettare il nonno e sgridarlo perchè non era stato a pranzo con loro.

      Ma quando fu abbasso, si addormentò davvero sopra un divano e la misero a letto quasi senza ch'ella se ne accorgesse.

      — Età beata! — pensò Lidia, deponendo un bacio sui rosei labbretti socchiusi.

      Lasciò aperto l'uscio della camera, e si ridusse nel suo salottino da lavoro ch'era attiguo a quella. All'Erminia diede ordini assoluti, precisi. — Non sono in casa per nessuno.... tranne per lo zio, s'intende....

      — E lo riceve qui?

      Lidia accennò affermativamente col capo.

      — Il tè lo porto alle dieci?

      — Chiamerò io, — disse la signora. — Va pure.

       Indice

      Si provò a lavorare ed a leggere, e non vi riuscì. L'ago era troppo grave peso alla sua mano; i caratteri stampati le si confondevano negli occhi, non lasciavano nessuna impressione nella sua mente. Ogni tanto balzava in sussulto, tendendo l'orecchio. Le pareva che avessero aperto la porta di strada, le pareva che qualcuno salisse.... Nulla.... Lo zio non veniva.

      Alle dieci e mezzo ella sonò il campanello.

      — Porta da fare il tè, — ordinò alla cameriera. — E poi va a dormire.

      — Non aspettava


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