Alla finestra. Enrico Castelnuovo
poi si avvicinò alla Gegia e le diede una moneta chiusa diligentemente entro un pezzo di carta. Infine, chinandosele all'orecchio, le disse: — Se domani viene qui una donna portando qualche cosa per me, mi prometti di passarmi quella cosa dalla finestra? — E per prevenire ogni obbiezione, soggiunse: — Ho un panierino di paglia che farò scorrere lungo una cordicella di cui ti getterò uno dei capi. Mi prometti?
La Gegia non s'era ancor formata un'idea chiara di ciò che le si domandava. Aveva un confuso barlume che ci fosse qualche cosa di male, ma come risponder di no alla Lotte, che, bella e gran signora com'era, aveva tanta degnazione per lei? Così, divenendo rossa, articolò un sì appena percettibile.
— Grazie! — disse la Lotte. Le passò la mano sui capelli e soggiunse: — I bei capelli che hai! E anche il viso è bellino... Sembri una Madonna.
Indi, senz'altri indugi, sgusciò via rapida e leggera com'era venuta, e la lasciò mezzo sbalordita.
Ma lo sbalordimento della Gegia s'accrebbe, quando, rimasta sola, ella spiegò la cartolina che aveva ricevuta e vi trovò un napoleone d'oro. Senza saper precisamente il perchè, ella si sentì montar le fiamme al viso; credette per un istante a uno sbaglio, ma poi si ricordò che quella cartolina era preparata, e che doveva essere stata preparata appunto per evitare le obbiezioni ch'ella avrebbe mosso senza dubbio nel ricevere un compenso tanto maggiore del prezzo di ciò ch'ella dava. Non erano, no, i suoi gingilli che le venivano pagati con quel napoleone d'oro; era il servigio che si era chiesto da lei e ch'ella aveva promesso di rendere. Oh se avesse potuto ritirar la sua parola! Se avesse potuto consigliarsi con qualcheduno! Ma con chi? Suo padre non capitava quasi mai a casa, ed era diventato poco men d'un estranio per lei; colla zia Marianna bisognava rinunziare a discorrere, tanto era sorda; il signor Menico ella non lo vedeva che di lì a cinque giorni. E poi poteva tradire il segreto della Lotte? E se, dopo tutto, la Lotte non le avesse chiesto che la cosa più naturale del mondo? E se avesse voluto beneficarla? Aveva ella il diritto di essere orgogliosa? Di rifiutare un piacere a chi glielo domandava con tanta grazia? Ma se non fosse un piacere onesto? Onesto! E sapeva ella veramente ciò ch'era onesto e ciò che non era? Chi glielo aveva insegnato? Torturata da questi dubbi, la Gegia passava quel napoleone d'oro da una mano all'altra quasi fosse rovente, e si guardava intorno come a cercare un'ispirazione che non veniva, un buon suggerimento che nessuno le dava. Ma quando vide entrare la zia Marianna, la fanciulla ripose istintivamente la moneta nel cassetto del suo tavolino; non era a lei ch'ella avrebbe potuto confidarsi. La zia Marianna era brontolona per indole; quel giorno poi ella accusava cento malanni, prevedeva che sarebbe caduta inferma e che l'avrebbero spedita all'ospedale. E si lamentava in anticipazione della sua cattiva stella e del pessimo cuore degli altri. La Gegia era avvezza a questi pronostici e a questi lamenti; pur quel giorno ne fu colpita più del consueto; pensò che una volta tanto la zia poteva dire la verità e che s'ella infermava sul serio sarebbe convenuto fare ogni sacrifizio per salvarla dallo spauracchio dell'ospedale. In questo caso i quattrini non sarebbero stati mai troppi e quel famoso marengo avrebbe servito a fare una buona azione. Così si decise a tenerlo, lieta forse in cuor suo d'aver trovato un motivo che giustificasse a' suoi occhi un tale proposito.
V.
Il panierino tragittò più d'una volta fra le finestre lungo la cordicella. I bimbi della calle, ne ridevano e salutavano questi passaggi aerei coi loro frizzi; le donnicciuole facevano i loro comenti, tanto più ch'esse avevano visto una femmina ignota salire replicatamente della Gegia. Nondimeno le cose sarebbero andate liscie se un bel giorno il paniere non si fosse piegato troppo da una parte e non avesse lasciato cadere il suo prezioso carico nella via sottoposta. Il carico, che consisteva in una semplice letterina scritta in carta sottile, fece parecchie leggiadre giravolte prima d'arrivare in istrada, ma alla fine andò a terminare in grembo ad un monello che giuocava sullo scalino di una porta. Si può immaginare l'agitazione delle due ragazze. L'una, la Lotte, spintasi fuori con mezza la persona dalla finestra, seguiva collo sguardo il volo del suo biglietto; l'altra, la Gegia, che non poteva muoversi dalla sedia, lo seguiva col pensiero e non era la meno inquieta. — Ps! Ps! — fece la Lotte al ragazzo, vedendo che in quel momento non c'erano altri nella calle. E avvicinate le mani alla bocca in modo da raccogliere il suono, gli disse: Vieni subito al portone che scendo io. — Lasciò la finestra e fu presto sulle scale. Il fanciullo, cui non pareva vero di prendersi una mancia dalla signorina, aveva prontamente obbedito e, tenendo delicatamente fra le dita il biglietto, aspettava che il portone si aprisse. Volle sfortuna che in quel momento arrivasse dalla strada nientemeno che Herr Graf von Rheinstadt, il padre della Lotte. Come costui vide il garzoncello all'uscio di casa sua, gli domandò brusco che cosa volesse. L'interrogato, tra pella confusione, tra pel dubbio di non farsi intendere in veneziano, si spiegò a gesti segnando prima la finestra della Gegia, poi quella del palazzo e sforzandosi a descrivere con la mano la caduta della lettera. Ma prima che la spiegazione fosse compiuta, la porta si aprì, comparve la Lotte, la quale rimase pietrificata alla vista del suo maestoso genitore. Herr Graf credette d'aver capito abbastanza, strappò il biglietto dalle dita del ragazzo e a titolo di mancia gli amministrò uno scappellotto. Indi, spingendo avanti di sè la figliuola, entrò in casa e si tirò dietro il portone con gran fracasso. Di lì a poco la cameriera tedesca, che, mesi addietro, aveva accompagnata la Lotte in casa della Gegia, venne alla finestra del gabinetto della sua padroncina, rivolse alla povera inferma uno sguardo velenoso e le gridò due volte Unverschämte! Unverschämte! (svergognata). Indi chiuse le imposte. Nello stesso tempo il ragazzo ch'era stato così mal ricompensato dei suoi servigi pensò di sfogar la sua stizza andando sotto al balcone della Gegia e urlando: — Tutto per colpa tua, brutta storpia! brutta....! E qui c'era una parola brutta davvero che il lettore mi dispenserà dal ripetere.
Quando la cosa si divulgò nel vicinato, le femminuccie della calle si mostrarono tutte piene di scrupoli virtuosi. Il giudizio meno ostile alla Gegia fu quello di siora Veronica. Poverazza! Bisogna compatirla. Non la pol far ela e la tien terzo ai altri. E il barcaiuolo Filippo, informato della faccenda, s'infiammò di un sdegno veramente magnanimo. — Quella lì, vedete — egli disse, parlando della Gegia — dopo una roba simile, io non la conosco quasi più per mia figlia. — Onde gli spiriti timorati convennero che Filippo era un uomo giusto un uomo il quale, in materia d'onore, non guardava in faccia nemmeno alle sue creature. In quanto alla zia Marianna, ella aveva subodorato qualche novità. Ma siccome nessuno voleva perdere il fiato con lei, così alle sue interrogazioni si rispondeva gridandole nell'orecchio: — Domandate a vostra nipote. Era un altro martirio per la Gegia che diceva con voce supplichevole: — Mi lasci stare. Ma mi lasci stare. E la sorda si ritirava in cucina sbuffando e ripetendo su tutti i tuoni: — Mi par d'essere in una gabbia di matti.
In quale stato d'animo fosse la Gegia è facile immaginare. Il rimprovero che la sua coscienza le aveva già diretto faceva sentir più acerba la sua puntura dopo che la disgraziata ragazza trovava intorno a sè la riprovazione degli altri. Perchè così nel biasimo come nella lode che l'uomo dà a sè medesimo accade ben di rado che si astragga affatto dal giudizio altrui, e la coscienza dell'individuo, per altera, per illibata che sia, muta i suoi responsi col mutar dell'ambiente in cui vive. Ma la Gegia, in mezzo alla sua mortificazione, aveva un altro pensiero che la crucciava. Era il pensiero della sua amica alla quale ella non sapeva che punizioni si fossero inflitte. A veder sempre chiusa la finestra, ove la bella giovinetta soleva venir così spesso a conversare con lei, ella sentiva stringersi il cuore. Certo la Lotte era stata mandata via di casa, forse la si era cacciata in un ritiro, povera creatura! La Gegia se la figurava già vestita di saio, coi capelli corti, come, da bambina, aveva visto le monache nel convento delle Terese. E anche lei, anche la Lotte, doveva dunque rinunziare al mondo, doveva rinunziare all'amore! Anche lei! Chi può assicurarci che nel pronunziar questa frase le Gegia non provasse in cuor suo quell'amaro conforto che è pur nella certezza del dolore diviso? Chi può assicurarci che ella non fosse in preda a quella strana contraddizione, che, mentre sveglia in noi tutto lo spirito di sacrifizio necessario a toglier di pena un amico, di farebbe accogliere come un disinganno la notizia che l'amico non ha nulla sofferto?
Questo