Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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qualche secondo prima che la donna rispondesse. E lo fece senza volgersi.

      — No! mai.

      De Vincenzi avrebbe giurato che mentiva.

      — Beniamino O’Garrich?…

      — Ma no!…

      Bevve ancora.

      — Ebbene, anche Giorgio Crestansen è stato ucciso…

      — Dite, commissario! – E s’era appoggiata di scatto col dorso al bar e lo fissava. – Non starete a snocciolarmi i nomi di tutti coloro, che sono morti di morte violenta!… Che cosa c’entra mistress Dorotea Winckers in tutto questo?… E perché vi siete rivolto proprio a me?

      — Non vi affermo che il mio compito sia piacevole… Ma i due uomini sono stati uccisi iersera… qui a Milano… e ne stiamo ricercando gli assassini… Non credete che potreste aiutarmi, parlandomi un poco della vostra governante… della vostra amica, voglio dire?

      Il volto di Lolly Down s’irrigidì. La mascella sporgeva, togliendo ogni grazia a quel volto. Fu un lampo, ma De Vincenzi ebbe la visione sovrapposta di un altro volto – diverso, più duro, senza alcun accenno di bellezza – che doveva aver conosciuto. Quando? Come?

      — Ella fa una vita assolutamente ritirata. Si occupa della casa… e di tutto quanto concerne me. Non esce, se non quando io abbia bisogno di qualche servigio, che ella sola può rendermi. Oggi, è uscita, perché Abramo Lincoln era ammalato…

      — Tuttavia è stata fuori di casa oltre quattro ore…

      — Può darsi…

      — E non è andata a cercare il veterinario.

      — Come?

      — Dico che la signora Shanahan, oggi, si è recata nella casa del fu Giobbe Tuama… il quale si chiamava Jeremiah Shanahan ed era suo marito… È di lì nella Chiesa Evangelica, dove ha pregato lungamente.

      — Voi lo sapete, io no!

      — In America che cosa faceva, come viveva, in qual modo è divenuta vostra amica?

      — Chiedetelo a lei!

      — Non riesco a spiegarmi la vostra attitudine, miss Down! Si direbbe che temiate di compromettere la… vostra amica, parlandomi di lei!…

      — Se hanno ucciso suo marito… non è cosa che possa riguardarla!… Non aveva più alcun rapporto con lui…

      — Forse, si era separata da lui fin dal tempo in cui si trovavano al… Transvaal?

      — Che dite? Chi vi ha dato tutte queste notizie?

      La domanda era ansiosa. Il piccolo mops si lamentava ai suoi piedi e lei non lo guardava neppure.

      De Vincenzi stava per rispondere, quando la porta si spalancò e sulla soglia, nera, diritta, rigida, coi bianchi capelli divisi nel mezzo e tesi in due bande perfettamente uguali, che le coprivano le orecchie, apparve Dorotea Winckers.

      Vide il commissario e, con un moto di decisione, avanzò e andò a porsi tra lui e la giovane americana.

      — Che cosa volete? Perché siete venuto qui? Chi vi dà il diritto d’interrogare miss Down?…

      Non attese che il commissario le rispondesse.

      — Volete portare il male anche in questa casa, che è assolutamente estranea al destino di Jeremiah Shanahan e dei suoi amici? Perché vi siete assunto la responsabilità di contaminare questo luogo d’onore e di pace? La malvagità degli uomini è grande in terra e tutte le immaginazioni dei loro pensieri e del loro cuore non sono che male in ogni tempo!… Miss Down vogliate perdonarmi e perdonarlo!

      — Mistress Winckers, c’è una questione di eredità, che urge definire. Ditemi se intendete far valere i vostri diritti sui beni del fu Giobbe Tuama.

      — Parleremo di questo fuori di qui!

      De Vincenzi s’inchinò.

      — Eppure, era necessario che io venissi a cercarvi là dove abitate… Il nostro incontro nella casa di via Bramante è stato troppo fugace…

      Gli occhi di Dorotea Winckers mandavano lampi.

      — E per di più… vi siete allontanata in modo tanto precipitoso… Avrei voluto rivolgervi qualche altra domanda…

      — Non ho nulla da dirvi…

      — Ebbene, ne parleremo fuori di qui… Mi perdonerete, se dovrò convocarvi nel mio ufficio…

      S’inchinò di nuovo.

      Abramo Lincoln mostrava i denti e ringhiava in sordina.

      Diede un’ultima occhiata a miss Down. La giovane si teneva diritta e aveva il volto contratto. I suoi sguardi correvano con ansia dalla vecchia a lui. Che cosa temeva? Che cosa si attendeva che accadesse?

      Fu un lampo. La stessa mascella prominente. Il medesimo profilo. E la persona aveva quella identica rigidezza un poco angolosa, per quanto il corpo della giovane fosse nel pieno rigoglio delle sue carni sode e fresche…

      — Perché non mi avete detto che avevate una… figlia, mistress Winkers Shanahan?…

      — Oh! – fece la vecchia, levando le braccia minacciosamente e sempre più cercò di coprire col suo corpo esile e magro la giovane, per nasconderla quasi e per difenderla.

      Miss Down ricevette il colpo in pieno. A De Vincenzi sembrò che stesse per cadere.

      — Forse, questo particolare non ha importanza… – mormorò.

      E uscì in fretta.

      Traversò l’anticamera. Fu nelle scale.

      A che scopo aveva voluto rivelar loro di aver compreso? La frase gli era venuta spontanea. Molto probabilmente, soltanto il dispetto e una specie di rancore, che si era andato depositando in lui lentamente, senza che se ne fosse neppur reso conto, l’avevano provocata.

      Che cosa poteva importargli – ai fini dell’inchiesta – che miss Lolly Down fosse la figlia di Dorotea Winckers Shanahan? Lo era anche di Jeremiah? Poco probabile. Sul registro della portineria aveva letto l’età dell’americana: ventotto anni. Giobbe Tuama, secondo quel che gli aveva detto Beniamino O’Garrich, era stato nel Transvaal nel 1902 o nel ‘03. Dorotea Winckers gli aveva dichiarato con foga che in quel tempo non era la signora Shanahan. Quando aveva sposato il cassiere della società per la ricerca e l’estrazione dei diamanti? Miss Down poteva esser benissimo sua figlia di primo letto. Lei era la signora Winckers. Perché, dunque, Lolly si chiamava Down e non Winckers?

      Se anche non si era ingannato sul fatto della parentela che doveva esistere tra quelle due donne, troppe cose gli rimaneva ancora da chiarire, perché potesse formulare un’ipotesi ragionevole.

      Ridiscendeva per Piazza Castello, traversò il Largo Cairoli, imboccò via Dante.

      La domenica aveva empito le strade. Egli andava tra la folla, assorto nei suoi pensieri.

      Erano stati commessi due delitti feroci. E particolarmente strani e impressionanti.

      Il primo in ordine di tempo all’Hôtel d’Inghilterra, in una stanza chiusa, da un uomo che era stato visto soltanto all’uscita e che portava un cappello di paglia con un nastro rosso e turchino, gli occhiali cerchiati e una diffusa barba bionda. Presumibilmente, tutte caratteristiche esteriori artefatte, per nascondere i veri connotati.

      E costui aveva ucciso Giorgio Crestansen – dal quale era perfettamente conosciuto così da poter avere con lui un lungo e, almeno alle apparenze, tranquillo colloquio – dopo averlo cloroformizzato col cacciargli un lunghissimo spillone nel cuore.

      Dopo un paio d’ore, forse tre, Giobbe Tuama – che aveva avuto rapporti col primo assassinato – veniva alla sua volta strangolato, in piazza Mercanti, poco distante dalle due guardie notturne


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