Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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il diagramma delle vendite cominciò a salire.

      — Perché eravate con lui… laggiù a… Dove?

      — A Pretoria.

      — Qual era la società dove Giobbe Tuama e voi eravate impiegati?

      — La De Beers and Brothers Company…

      — Importante?

      — Cento milioni di sterline di capitale.

      — Fu lì dentro che…?

      — Che cosa volete dire?…

      — Lui era cassiere, no?… Che cosa fece? Rubò?

      — Ma neanche per sogno!

      — E allora perché fuggì?

      — Non è una storia di denaro…

      — E di che… allora?

      — Il Libro dei Libri!… Ascoltate la parola del Signore! La voce di Bertrando s’era fatta rauca, aveva di quando in quando note acute e laceranti da galletto. De Vincenzi diede un colpo alla seggiola e l’avvicinò a quella di Beniamino.

      — Vi trovavate con lui?…

      — Ma no… Che c’entro io?

      — Non avreste paura, se non c’entraste!

      — Io non ho paura di niente!

      S’era sollevato. Aveva fatto la faccia feroce. Ingrossava i bicipiti. Avanzava il torace, larghissimo.

      Voleva far coraggio a se stesso. Ma neppur lui credeva alle parole che diceva.

      — Raccontatemi la storia, Beniamino O’Garrich… Intanto, o prima o dopo, la dovrò conoscere. E potrei proteggervi meglio a sapere da quale parte viene il pericolo…

      — Non ho nulla da raccontare, io!…

      — Badate, O’Garrich!… Io non vi ho ancora detto tutto… Ieri sera… prima ancora che strangolassero Giobbe Tuama… avevano ucciso con uno spillone nel cuore Giorgio Crestansen…

      Il colosso emise una specie di ruggito. S’era fatto livido.

      — Ditemi… Chi era Giorgio Crestansen?…

      In quel momento, dietro di loro, suonò una voce metallica, piena di compostezza, ma diritta come una lama.

      — Come va la raccolta pei poveri, Beniamino O’Garrich?

      Anche De Vincenzi trasalì.

      Era il Pastore. Vestito di turchino scuro, senza alcun segno esteriore che rivelasse la sua carica religiosa, l’uomo sembrava un professore austero e inelegante, per quanto giovane ancora. Il suo volto rigido ed ermetico aveva tutti i caratteri dell’ascetismo.

      Riconobbe De Vincenzi e lo salutò con un cenno del capo.

      Beniamino si alzò. Con la persona superava il Pastore di una buona spanna. Eppure, rimaneva davanti a lui coll’umiltà di uno scolaro.

      — Come va la vendita?

      — L’accaduto… uhm… l’orribile cosa che ormai tutti conoscono ha allontanato i fedeli… È la malsana curiosità, che li attrae qui attorno e non la fede!… Quest’anno la nostra opera è stata sconsacrata… Si vende poco, signor Pastore!…

      — Beati coloro che son perseguitati per cagion di giustizia, per ciò che il Regno dei Cieli è loro! Non bestemmiare, Beniamino O’Garrich! La parola del Signore sarà sempre intesa e l’offerta pel povero non mancherà!…

      Attorno la folla sciamava.

      De Vincenzi si levò. Quell’uomo dalle pupille brillanti come vetro gli produceva una strana sensazione di malessere e d’impaccio.

      Il colosso aveva chinato il capo e sempre più appariva umile, quasi fosse stato colto in fallo.

      L’aria s’era fatta tersa, trasparente. Nel crepuscolo le cose e le persone perdevano adesso la precisione delle linee, apparivano contornate da bagliori irreali.

      Anco lì, con tutta quella gente irrequieta sebbene nessuno sostasse, era come se un attimo di immobilità miracolosa si fosse abbattuto sulla piazza, sotto il loggiato, tra quei grigi palazzi fioriti di arabeschi e di statue, di capitelli e di transetti.

      — Torna alla tua opera, Beniamino O’Garrich.

      Poi si volse al commissario:

      — Se ella vuole venire con me, parleremo…

      De Vincenzi lo seguì.

      A quale scopo mirava il Pastore, provocando l’incontro e il colloquio, proprio lui che poco prima era sembrato tanto restio alle confidenze?

      E il commissario si propose di tornare il più presto possibile accanto al colosso. Forse, era da lui che avrebbe avuto la chiave di uno almeno di quei misteri.

      R

      Chi di spada fere…

      — Io torno al Presbiterio, commissario… Posso chiederle di accompagnarmivici?

      De Vincenzi lo guardò. Erano già quasi al termine di via Torino e avevano camminato fin lì, senza scambiarsi neppure una parola.

      Il Pastore andava tra la folla guardando diritto dinanzi a sé, con una tale sicurezza, che la gente quasi senza volerlo gli faceva largo.

      — È impossibile parlare in mezzo a questa folla… – aggiunse.

      Non era possibile, infatti. Ma lui s’era diretto subito da Piazza Mercanti in via Torino e aveva aspettato a parlare di aver quasi raggiunto via San Sisto. Era al Presbiterio che voleva condurre il commissario. Che cosa aveva da dirgli? Appariva chiaro che egli lo aveva cercato di proposito.

      Che il commissario potesse trovarsi a quell’ora alla Fiera e proprio al banco delle Bibbie evangeliche non era difficile da indovinare; ma comunque l’essersi diretto subito lì rivelava uno spirito ragionatore e un’accorta cautela di movimenti. Non lo era andato a visitare in Questura; non gli aveva telefonato per chiedergli un convegno. Tutto questo avrebbe rivelato una certa ansia, sarebbe stato un gesto comunque impegnativo.

      Quando furono davanti alla porticina rettangolare, il Pastore trasse una chiave ed aprì.

      — Vado avanti per farle strada.

      Girò il commutatore al principio del corridoio, che fu rischiarato dalla luce verde di una lampada di ferro.

      Nella stanza vasta, si accesero due lampadine pendenti dal soffitto. Il Cristo bianco d’avorio si animò, enorme e vivo, sulla parete calcinosa.

      De Vincenzi sentì il freddo umidore di quella sala troppo grande e troppo nuda, con le finestrine ad inferriata e i pochi mobili rigidi e neri.

      Il giovane andò a porsi dietro alla scrivania e rimase diritto davanti alla poltrona, sotto il Cristo. Indicò un’altra poltrona al commissario, di fronte a sé. Quando lo vide seduto, sedette anche lui.

      — Forse, ella ha riflettuto alle parole che io le ho dette qualche ora fa… Il sangue di colui che spanderà il sangue dell’uomo sarà sparso dall’uomo.

      — Sì, ho meditato su quelle parole, infatti, e sono giunto alla conclusione che lei di Giobbe Tuama e di Giorgio Crestansen deve conoscere assai più di quanto non mi ha detto…

      — Non tutto quel che si conosce è nostro; non tutto quel che si vede è la verità…

      De Vincenzi volle tentare di rompere l’impaccio, che sempre più l’avvolgeva. Anche reagire contro quell’atmosfera di incubo.

      — Mi permetta! – interruppe, alzando di scatto il tono della voce. – Vediamo di fissare alcuni punti importanti. Intanto


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