Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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che l’assassino avesse asportato nulla.

      A Giobbe Tuama era stato rubato l’orologio e un pezzo della catena…

      Questi gli unici dati di fatto precisi, indiscutibili. E partendo da essi, che cosa aveva scoperto fino allora, De Vincenzi?

      Nulla, o quasi nulla.

      Giobbe Tuama faceva l’usuraio. Ma niente stava a dimostrare che comunque il delitto potesse trovare un qualsiasi movente in quella sua losca attività. Anzi ogni particolare di esso negava una tale possibilità.

      C’era la moglie di Jeremiah Shanahan… Un tipo, certamente! Odiava il marito e ne aveva – almeno a parole con quella sua violenza acre, da invasata – approvata la morte, per tragica e crudele che fosse. Ma quale legame poteva esservi tra lei e l’assassino? Lo conosceva, ella? Poteva darsi…

      E, adesso, De Vincenzi aveva anche scoperto una donna che di Dorotea Winckers Shanahan era – forse – la figlia.

      Ebbene?

      Tutto ricamo di contorno. Particolari di colore. Ma nulla di sostanziale, di sodo. Non una traccia da seguire. Non un indizio certo da catalogare.

      Quale il movente del dramma?

      Quale il nocciolo di esso?

      Vendetta? Interesse? Più complesso giuoco di passioni?

      Mistero.

      Era il passato, che risorgeva terribile per quegli uomini o un dramma nuovo li squassava all’improvviso?

      Tutti gli elementi raccolti fino allora avrebbero servito a chiarirlo o non piuttosto ne avrebbero ritardata e forse allontanata per sempre la spiegazione?

      Era giunto davanti alla Loggia del Palazzo della Ragione.

      Vide la folla, che circolava tra i banchi.

      Folla attratta anche dal dramma scoperto alla mattina e che certo era stato conosciuto in città, correndo di bocca in bocca, pur senza la pubblicità dei giornali, che in quel giorno domenicale non uscivano.

      Salì lentamente i pochi gradini, si trovò sul loggiato; fendendo a fatica la triplice quadruplice fila di persone, che scorrevano in senso opposto, che sostavano ai banchi, riuscì a traversarlo. Passò dinanzi al banco circolare dell’Alleanza del Libro.

      Il dottor Piermattei lo vide e si affrettò a immergersi nella lettura di alcuni larghi fogli coperti di cifre.

      Una voce gioviale lo salutò:

      — Salute, commissario! Come procede la caccia?

      Era Maurizio Venanzi Jacobini, che lo fissava con blanda e innocua ironia di dietro alla lucentezza trasparente del monocolo.

      Tirò dritto, rispondendo con un cenno della mano.

      Scese nella piazzetta, davanti al pozzo cinquecentesco, con la pentola argentea di Penelope, attorno a cui si agitava invitante la graziosa servetta dalle anche e dai polpacci procaci.

      Si diresse al banco del Libro dei Libri. Qui la folla era più fitta. Dovette adoperare una certa violenza, per aprirsi il varco.

      Bertrando, lungo, dinoccolato, coi suoi capelli rossi sempre più arruffati e quel suo volto dalla pelle diafana, piena di lentiggini, si teneva a fronteggiar la folla sul davanti del banco e offriva vanamente le Bibbie nere.

      — La sapienza dell’universo in un sol libro!

      Faceva l’imbonimento con voce stanca, sfiduciata. Tutti guardavano e nessuno comperava.

      Dietro il banco, il colosso rimaneva seduto, come schiantato, e gettava attorno sguardi preoccupati.

      De Vincenzi gli si fece alle spalle.

      — Come va, Beniamino O’Garrich?

      L’uomo ebbe un sussulto. Non lo aveva veduto arrivare. Si sollevò sulla seggiola come morso da un aspide. Ma lo riconobbe e ricadde. Aveva mandato un sospiro di sollievo.

      Abbassò il testone da galeotto e il suo voleva essere un saluto e una risposta.

      De Vincenzi gli sedette accanto. Due sole seggiole eran lì e loro le occupavano, coi piedi quasi sotto il banco là dove aveva giaciuto il cadavere di Giobbe Tuama, grottesco e tragico, macabro clown da circo, con quelle sue scarpe spropositate e il naso rosso, a clava.

      — Gli affari procedono?

      Il colosso gli diede un’occhiata piena di astio.

      — Nessuno compera più!…

      Non entravano, quindi, pezzi d’argento sonante nel sacchetto della raccolta. Cattiva annata pei poveri, che quel denaro doveva soccorrere.

      Perché diavolo erano andati a uccidere il vecchio, proprio quel giorno in cui si doveva raccogliere il denaro del Signore?

      — Povero Jeremiah Shanahan!… – mormorò De Vincenzi.

      Il colosso ebbe un fremito.

      — Ne avete saputo il nome!… – E poi subito:

      — A che punto siete? Avete trovato l’assassino?

      E lo fissò con ansia. Si sarebbe detto che temesse e nello stesso tempo desiderasse una risposta affermativa. Aveva terrore dell’assassino e temeva che lo prendessero!

      — No – rispose lentamente il commissario. – Non sappiamo ancora dove possa nascondersi Olivier O’Brien…

      Uno sguardo di belva ferita, una specie di singulto.

      — La sapienza del mondo in un sol libro! Comperate i Sacri Testi!…

      E la folla attorno s’infittiva. Avevano gente alle spalle, ai lati. Il cerchio si restringeva. Tutti facevano commenti.

      — Se ti dico che il cadavere era sotto il banco!

      — Di notte eh?, lo hanno ucciso… Ma possibile che le guardie non si siano accorte di nulla?!

      Finalmente, una donnetta si indusse ad acquistare una Bibbia.

      — Proprio dieci lire?… Sono molte!

      Bertrando tese la moneta. Beniamino l’afferrò e la lasciò cadere nel sacchetto, che aveva dinanzi a sé, sul banco. Adesso non la faceva più tinnire sulle lastre del piancito, per provarne la lega.

      — Chi vi ha parlato di Olivier O’Brien? – trovò la forza d’articolare.

      — Lo conoscevate?

      — No… E non capisco…

      Capiva benissimo. Era sgonfiato. Non sapeva neppure difendersi e negare. Stava sui carboni ardenti. Riprese a guardarsi attorno.

      — Sapevate che Giobbe Tuama aveva moglie?

      — No! Perché? Aveva moglie?

      Era stupito. Non fingeva. Anzi cercava di aggrapparsi a quella, che gli sembrava una possibilità nuova. Come un’àncora al suo naufragio.

      — Sì…

      — Ma dove? Che c’entra la moglie, adesso?…

      De Vincenzi non rispondeva alle sue domande, che per lanciargliene altre, all’improvviso, di sorpresa.

      — Era stato in carcere, Jeremiah Shanahan?… Laggiù, nel Transvaal?

      — Chi ve l’ha detto?

      E poi subito:

      — Non è vero!

      — Perché lo negate?

      — Non è vero!… Non era lui che cercavano… Se vi hanno detto il contrario, vi hanno mentito o si sono ingannati…

      — Ma, dunque, lui fuggì?

      — Non so!… Perché credete che io sappia tutto di lui?…

      La


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