No. Alfredo Oriani

No - Alfredo Oriani


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      Rocco era verde, le arrivava appena all'anca; ella si sedette.

      —Sei solo?—ripetè.

      L'altro non rispose; le stava innanzi al seno scomposto. A poco a poco la sua lividezza s'imbruniva; un sorriso infantile gli sfiorò a volo le labbra. Poi le abbassò una mano sulla veste e gliela strinse; la camicia non difendeva più il seno della fanciulla, nudo come quello di una Madonna, ma ben altrimenti espressivo, con una bianchezza odorosa ed una inesprimibile follia di vita. Il ragazzo si allungò, ma gli occhi sbarrati della fanciulla lo trattenevano, e allora col petto contro a quelle ginocchia, sotto a quel volto, a quel seno, col mento su quelle ginocchia, titubò anch'egli senza volere, senza capire; e non sostenendo più quegli sguardi nè quel volto grave su lui come su una ruina, quel seno più misterioso adesso che era nudo, titubò ancora e, la gola stretta da quel sogno, scrollando spasmodicamente la testa, gliela nascose in grembo con uno scoppio di pianto.

      —Eh!—mormorò la fanciulla, premendosi la sua fronte contro il seno come quella di un bambino; si levò, lo portò sul letto, vi si sedette.

      Allora il torrente ruppe le dighe, e la febbre della strana vergine dalla mente più depravata di Messalina e dal cuore secco investì quel frale corpicciattolo, come la tigre addomesticata investe ruzzando il cagnuolo. Lo rivoltolò, lo mordeva coi baci, lo spogliava colle mani senza amore e peggio senza compassione, ella medesima seminuda in un gruppo ammirabile ed assurdo. V'era dell'aggressione in quella furia. Ella, che non rispettava più nulla e sapeva tutto, era quasi feroce; mentre egli, stordito, trovava appena il tempo o il coraggio di una carezza, difendendosi inutilmente, poi abbandonandosi con una disperazione voluttuosa a quell'impeto di felicità lungamente agognato, senza nemmeno la potenza di sognarlo.

      Ella lo respinse dolcemente giù dal petto, più basso, perdendolo quasi nella sommossa delle sottane. Le sottane sottilmente profumate gli lambirono con un alito soave tutti i sensi della faccia, fasciandolo in una nuvola, nella quale la sua deformità non avea più vergogna e la libertà era tutto un mistero. Egli vi si accovacciò come una scimmia nel covo, buono e del pari animalesco, con tutte le sue malizie e le ingenuità ancora più maliziose, i vizi che gli strillavano in capo come una nidiata di pulcini, e l'anima assordata da quegli strilli.

      Quando il sole si staccò dalla finestra Rocco era uscito da quella nuvola sdraiandosi ai piedi di Ida come un cane. Ella era immobile; poi si portò una mano al viso, stropicciandosi gli occhi, e non vide più il sole. Discese prestamente, andò allo specchio, si ravviò i capelli, rindossò l'abito, ricomponendosi la faccia con tanta facilità, che Rocco, il mento sulla sponda del letto, la guardava incantato senza comprendere. Era ridivenuta calma e severa.

      Rocco si nascose il volto nelle mani.

      Ida gli si appressò, lo posò per terra: ma il ragazzo le si aggrappò alle sottane.

      —Piangi?

      Infatti singhiozzava.

      Gli staccò le dita, quindi pigliandolo per mano lo condusse senza dire una parola alla porta dell'appartamento.

      —Tieni,—fe' chinandosi a baciarlo sulla fronte.

      Rocco non rispose, infilò l'apertura tutto sbalordito, sentendo appena di essere spinto e rinchiudersi la porta; ma Ida, ritornando nella propria camera, intese i latrati del cane, che saltellava intorno all'amico per la casa deserta. Quei latrati la fecero pensare.

      Quindi si appressò alla finestra senza mostrarsi, e vide Rocco colla testa forse ardente sul marmo del davanzale, e il cane che colle gambe anteriori sulla sua schiena era salito a leccargli gli orecchi.

      Un empio sorriso sfiorò le labbra della fanciulla:

      —Rocco rifà la mia parte.

      Da quel giorno una sfacciataggine serena le brillò negli sguardi, ma a scuola parlando colle compagne usò come una sprezzante castigatezza di linguaggio. Non sentiva nè rimorso nè avvilimento; aveva voluto conoscere l'uomo, ed avea fatto un esperimento in anima vili. D'altronde con Rocco non correvano impegni.

      Egli non si staccava più dalla finestra nemmeno la notte. Le buone zie gli dicevano scherzando che si era innamorato della signorina, ma non badavano alle lacrime, che gli gonfiavano gli occhi e cadevano talvolta sui loro fiori finti. Ida manteneva quel solito contegno: veniva raramente alla finestra, salutava Rocco senza curarsi delle occhiate affannose, che le figgeva in faccia, nè del suo aspetto ancora più macilento. Pareva impossibile che un corpo tale potesse dimagrire, e nullameno dimagriva. La pelle gli si facea addirittura verde, gli occhi gli lucevano di una luce sinistra, senza che niuno se ne accorgesse all'infuori del cane. La povera bestia, che amava il proprio padroncino con tutto il trasporto di un egoismo animale, adesso che Rocco non mangiava più e per vuotarsi il piatto gli gettava nascostamente gran parte delle pietanze, raddoppiava di carezze e d'insistenze. Non si lasciavano una mezz'ora se non di notte, quando egli saliva alla casa di Ida.

      Allora Rocco si vestiva chetamente, pigliava le scarpe in mano, faceva un cenno a Toto, un cenno che esprimeva un mondo di cose e che questo capiva subito, perchè si rincantucciava sotto il letto. Poi sulle punte dei piedi traversava la camera delle zie, l'uscio della quale era sempre socchiuso; e trattenendo il respiro, trattenendo quasi con un conato supremo di volontà il battito del cuore, moveva un passo al minuto, ascoltando il russo di quei due nasi devoti, al buio come i gatti, tremando sempre di essere scoperto ed imbrogliandosi già per trovare una scusa. Finalmente arrivava alla porta dell'appartamento, si arrampicava sopra uno sgabello, che vi teneva appositamente di fianco, tirava il catenaccio, alzava il saliscendi, socchiudeva maliziosamente, insinuando fra il pavimento ed il battente aperto una scheggia di legno, perchè la porta urtata a caso resistesse, calzava le scarpe, e giù frettoloso, ma leggero.

      Ida dalla finestra lo vedeva traversare a corsa la strada dopo aver spiato guardingamente se fosse deserta. Allora dalla propria camera, lambendo l'altra dei padroni che russavano egualmente, veniva ad aprirgli l'uscio della bottega, lo pigliava in braccio, e mentre Rocco le baciava il collo come ad una mamma, ritornava pian piano nella camera e lo posava per terra.

      Ella non aveva mai un trasporto per lui.

      Era stata la prima a proporgli quei convegni notturni una volta che Rocco era tornato su dal sarto, proprio dopo di averlo veduto uscire e la Lucia era di là dal bambino. Ella gli aveva detto che verrebbe alla finestra col candeliere, quando lo vorrebbe.

      Rocco, che da letto vedeva la sua finestra, non chiudeva più la griglia, non dormiva più, perchè Ida si coricava tardi ed era capace di chiamarlo assai dopo la mezzanotte. Una volta mancò, e dovette piangere leccandole i piedi come un cane per ottenere il perdono. Erano notti stravaganti le loro, facevano di tutto.

      Ida colla fantasia sboccata d'un poeta e la depravazione di una reclusa si abbandonava a tutti i capricci, mischiando idealismo e brutalità, spremendo la più pura essenza del sentimento dal fango di una parola o di uno scherzo. Rocco consentiva tutto, ma fra tutte quelle gioie, che lo soffocavano e forse lo uccidevano, una invincibile tristezza lo rendeva a quando a quando distratto, curvandogli la testa sul petto con un moto cadaverico.

      Il piccolo cuore di quel martire della natura avrebbe avuto bisogno di un amore quasi materno, ed invece si accorgeva di non essere che un giocattolo, carino appunto perchè deforme, fra le mani di quella pallida superba, bella come la natura, e per lui egualmente insensibile.

      Una volta nella esaltazione dell'orgoglio ella gli lesse un brano del suo poema.

      —Lo sai tu di chi sei l'amante?—gli avea chiesto cogli occhi luccicanti.—Senti.

      Rocco ascoltava senza capire gran cosa, ma le guardava intensamente la faccia illuminata nell'entusiasmo dell'arte. Ida era diventata Nerone; gli occhi le si erano dilatati, le narici le palpitavano, il seno disordinato nelle irruenze di poco dianzi le si alzava fremebondo, mentre il ragazzo, incantato in quello spettacolo così nuovo e misterioso, le si avvicinava mano mano, come sapendo che la grandezza vera è quasi sempre buona.

      Ma la fanciulla, che all'ultimo razzo di un'esplosione lirica aspettava un urlo di ammirazione, e si era rivolta per sorprenderglielo,


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