No. Alfredo Oriani
della fronte le riapparve con severità quasi minacciosa. L'ammalata continuò:
—Hai dato un quarto di formaggio alla Ghita? Puoi cenare coll'altro quarto. Ma già, tu hai il palato fino di una signora, e il formaggio di pecora... Che cosa fai lì, ritta?
Ida scosse una spalla.
—Sì, hai ragione che sono ammalata, se no... Vergogna! abbandonare la propria madre vecchia... Disgraziata, pettegola!...
Ida giunse a mettere l'uscio fra sè stessa e quegli improperii, ma scendendo le scale udiva sempre la voce fessa dell'inferma, adesso stridula dalla stizza, che le lanciava dietro sconce ed inintelligibili parole. Era stanca, insopportabilmente tediata. Cadde sulla prima sedia, la fronte nelle mani, contraendo convulsivamente le dita come per strangolarvi inutilmente una idea importuna; poi si levò di scatto, e si riassise presso la candela di sego.
—Più il fumo che la luce, più il puzzo che il fumo, come la mia vita!—mormorò.
Quindi chiamando il gatto dal focolare, dove dormiva, si dispose a cenare. Andò alla madia, ne cavò un mezzo pesce, piccolo, ed un grosso pane casalingo.
—È merluzzo, non ti piace?—disse al gatto, accarezzandolo sul dosso;—non piace nemmeno a me. Io mangio il pane asciutto e bevo l'acqua. Hai sete anche tu?—aggiunse riempiendogli dalla boccia un secondo bicchiere.—Via, Atta Troll; la tua padrona te lo accomoda, mangia, mangia!
Infatti il gatto cominciava a mangiare, ma a bocconi così piccini, e fiutandoli talmente prima d'inghiottirli, che nessuna fra le persone meglio educate del villaggio avrebbe saputo imitarlo, mentre tutti i suoi pari avrebbero per un simile cibo commesso più di un furto e più di un duello. Ella lo osservava col pane intatto nella mano: poi lo ruppe, e ne ingoiò qualche briciola. Non andava giù. Era sola, ascoltò, attese senza intendere alcuno, aperse quasi la finestra, ma si pentì. Sul cortile, a che pro? Il gatto, trangugiata l'ultima spina, si era disteso presso il pane smezzato, leccandosi il muso colla indolenza di chi in fondo ha ben mangiato e si prepara ad una buona digestione. I carboni del focolare nereggiavano spenti nella cenere; la cucina appariva in tutta la propria sudiceria, piccola e muffosa. V'erano tre sedie spagliate.
Ella si raccolse ancora, ma la tristezza le diventava così orribile, che fortunatamente fece uno sforzo per vincersi; quindi afferrando bruscamente Atta Troll, spense la candela di un soffio, risalì le scale, e rientrò nella camera della ammalata.
—Dammi il gatto,—questa le chiese, vedendola aprire la porta dell'altra camera.
—Non ci vuole stare con voi.
—Come te.
—Eccolo.
Ma Atta Troll, invece di saltare a terra come gli ordinava la fanciulla, le montò sulle spalle sdraiandosele sul collo, così che colle quattro zampe le batteva sul seno.
—Lo vedete.
E senza attendere altre parole, sparve dietro la propria porta. Accese il lume a petrolio sul tavolo in mezzo, sedendosi entro una vecchia poltrona di paglia. La camera, povera, era però assai meno brutta delle altre. Aveva le tende bianche e un cortinaggio bianco al lettino di legno, servito dinanzi da un piccolo tappeto di lana, con due pantofole turche, due lavori di Ida fanciulletta. Nessun quadro pendeva dalle pareti o sul letto, ma parecchi libri erano allineati in due scansie portatili e molti ancora ingombravano una specie di scrittoio nel mezzo. Tutti gli altri mobili erano miserabili, le pietre del pavimento rotte qua e là, il soffitto a travicelli fiorati. Ma quella camera, così povera, tuttavia sentiva la donna giovane cogli istinti mondani e le abitudini del pensiero. Un forte odore di muschio, svaporando da una lunga bottiglia azzurra sulla toeletta, formata da un tavolo coperto da un paglioncino candido a fodera di mussola rosea, profumava ogni cosa, mettendo come una blandizie di poesia in quella indigenza, che la cura minuziosa e delicata del letto salvava da ogni basso presentimento.
Ida era seduta al tavolo leggendo Il Principe di Machiavelli in una antica edizione. Ma la fredda sapienza del libro le venne presto a noia, e mutò lettura, cacciandosi attraverso il Conflitto fra la Religione e la Scienza di Draper. Quelle vaste ed aride negazioni le piacquero, sebbene già le conoscesse; poi aperse ancora le Rivoluzioni d'Italia del Ferrari, scorrendole a sbalzi, meditando qualche pagina, postillando qualche pensiero. Pareva che volasse d'idea in idea coll'agilità di un uccello di albero in albero.
Però in mezzo agli studi s'andava distraendo, e allora ricompariva la fanciulla della cucina, dallo smorto pallore e dagli occhi fissi; una smania forse male avvertita dalla coscienza le irritava tutti i nervi, un vapore di sogni le bagnava la fronte illuminata come una vetta da un astro misterioso. In una di queste distrazioni il rumore di un passo sui ciottoli della strada le percosse l'orecchio. Il passo non s'allontanava; era un passo insistente e solitario nella notte.
Ascoltò, poi levandosi prestamente andò a guardare per i vetri.
Un'ombra avvolta in un mantello passeggiava innanzi la sua casa allo scarso lume di un fanale poco lontano; sembrava spiare la sua finestra, poi scorgendovi forse la fanciulla si arrestò. La notte era così buia, che la strada ancora umida dalla pioggia del mattino, si discerneva appena per un cinquanta passi, aperta dal raggio del lampione, che vi si acuminava in una punta indeterminabile. Quel solco radiante di luce all'ingresso del villaggio, simile al ferro di un'immensa alabarda corcata, della quale il tronco fosse la strada e che passasse fuori fuori il paesello, attirò il pensiero della fanciulla. Dalle sue spesse pozzanghere pareva guizzassero ogni tanto baleni, mentre una folla di ombre vaganti nel silenzio delle tenebre si abbatteva lentamente sulla sua sponda. Era un'immaginazione determinata da effetti ottici, facile e seduttrice di mistero. Ella non vedeva il fanale, sapeva lì presso il villaggio, e poi intorno tutto il mondo remoto, adesso tenebroso; e nell'universo non rimaneva altra luce che quella coda di ruscello all'ingresso del villaggio, nella quale si tuffava paradossalmente lunga la figura immobile del passeggiero notturno.
—Imbecille!—ella susurrò, urtandolo colla fantasia tutta piena di sogni.
Ma non lasciò la finestra, anzi si fisse in lui come se volesse leggergli negli occhi malgrado la distanza e l'oscurità, così che l'altro adoperandosi forse dal canto proprio nella stessa guisa, una corrente di pensieri li congiunse. Ma il rumore di un passo, che si avanzava dal villaggio, riscosse l'incognito, obbligandolo a riprendere la passeggiata.
Ida intese lo stridìo dei grossi chiodi sui ciottoli, ed indovinò un villano nell'ombra che passava; all'orologio della piazza suonarono le dieci.
L'incognito ritornava, che ella si tolse dalla finestra. Quindi si fece anche più scura, e consultò l'orologio nella speranza che quello del comune si fosse sbagliato. Erano le dieci, l'ora terribile della sua giornata. Sembrava non potervisi risolvere, quasi la lunga abitudine non avesse ancora calmata la irritabile sensibilità della sua natura.
Poi il bastone di spino bianco percosse il pavimento, e la fanciulla si slanciò nell'altra camera colla torva rassegnazione di chi si precipita contro il male, per non poterlo altrimenti evitare. Lo stoppino carbonizzato della candela lasciava la camera in una semi-oscurità tetra; il fetore vi si era fatto più umido e più denso. Ida andò diritta al letto. L'ammalata colla testa sopra una spalla come tutti gli infermi, e le spalle appoggiate ad un cuscino, guardava col busto mezzo fuori da un mucchio di coperte e di lenzuoli quasi dello stesso colore. Aveva le mani incrociate sul ventre; le braccia come due fragili e scure stazze le si perdevano sotto le maniche rappezzate.
Ida evitò di guardarla, dispose la pezzuola, le filacce, il barattolo della pomata presso la piattellina verde con dentro la spugna, esaminò le due foglie di cavolo, e si torse verso la malata.
—Proprio?!—questa domandò, vedendola prendere dalla sedia una tovaglia sporca. La fanciulla non rispose.
—Oh Dio!—fe' l'altra, lamentandosi di una fitta.
Adesso era tutta rabbonita e guatava con occhio pietoso il viso severo della fanciulla. La quale le portò la mano al collo riversandole la camicia sulle spalle; le filacce aggrumate sotto il piccolo cencio di tela lo seguirono, e si scoperse il seno. Non