Il lampionaio. Maria S. Cummins

Il lampionaio - Maria S. Cummins


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il suo figliuolo maggiore c'entri per molto in questa birbonata. Sarebbe necessario chiarire la cosa prima di domani; e difficilmente io potrei stasera ritornare così lontano. Altrimenti non avrei pensato a lasciarvi.

      — Andate, signor Arnold, — rispose Emilia — e quanto a me siate pur tranquillo. Starmene seduta qui in chiesa e ascoltare la musica dell'organo non sarà che un piacere. Il signor Hermann suona ch'è un incanto; il tempo non mi parrà lungo, ve l'assicuro. Dunque non abbiate fretta per causa mia, ve ne prego. —

      Il signor Arnold, acquetati i suoi scrupoli, risolse d'andare. Condusse la signora a sedere accanto al pulpito, e uscì col vecchio sagrestano.

      Durante tutto questo tempo Gertrude, ritiratasi quatta quatta sull'ultimo scalino in alto, e mezzo nascosta dalla cattedra, era rimasta inosservata. Ma non appena udì la porta chiudersi con un colpo fragoroso dietro i due uomini, si rizzò e cominciò a scendere. Al primo suo passo la giovane diede un sobbalzo ed esclamò piuttosto bruscamente:

      — Chi c'è? —

      Gertrude si fermò e non rispose. Cosa strana, la signora non aveva guardato in su quantunque dovesse pur avere percepito che il rumore veniva di sopra il suo capo. Seguì un momento di silenzio. Poi la bambina continuò a scendere, correndo. Questa volta l'altra balzò in piedi, e stendendo un braccio dinanzi a sè, ripetette vivamente la domanda:

      — Chi c'è?

      — Sono io, — disse Gertrude guardandola in viso — io sola.

      — Volete fermarvi un poco e parlare con me? —

      Gertrude attratta dalla voce più soave che mai avesse udita, venne a fermarsi proprio accosto ad Emilia, la quale le pose una mano sul capo e la trasse a sè chiedendole:

      — Chi sei tu, bambina?

      — Gertrude.

      — E poi?

      — Niente.

      — O l'altro tuo nome l'hai dimenticato?

      — Io non ho nessun altro nome.

      — Con chi sei venuta in chiesa?

      — Ci sono venuta col signor Cooper. L'ho aiutato a portare i suoi arnesi.

      — E t'ha lasciata qui ad aspettarlo come sono stata lasciata io. Dunque dobbiamo tenerci compagnia, non ti pare? —

      La bambina rise.

      — Dov'eri? Sulla scaletta del pulpito?

      — Sì.

      — Bene, siedi su questo scalino basso, vicino alla mia seggiola, e discorriamo un poco. Voglio vedere se mi riesce di trovare il tuo secondo nome. Con chi abiti?

      — Con lo zio True.

      — True?

      — Sì: il signor True Flint. Adesso abito con lui perchè mi portò a casa sua la notte che Annetta Grant mi cacciò fuori, sul marciapiede.

      — Che? Sei tu quella? Ho dunque già inteso parlare di te! Il signor Flint mi raccontò tutta la tua storia.

      — Voi conoscete mio zio True?

      — Sì, moltissimo.

      — E come vi chiamate, voi?

      — Emilia Graham.

      — Oh, — esclamò la bambina rizzandosi con un salto e battendo le mani — so, so chi siete! Voi gli avete raccomandato di tenermi seco, lo disse lui, ed io lo sentii.... Voi m'avete dato i miei vestiti.... E siete buona, e siete bella, ed io vi voglio bene.... tanto, tanto bene! —

      Mentre Gertrude proferiva queste parole con voce commossa, un'espressione strana, di viva ed inquieta curiosità appariva nel volto della signorina Graham come se i toni di quella voce facessero vibrare una corda della sua memoria. Ella non parlò, ma passando un braccio intorno alla vita della piccina se la trasse ancor più accosto. Il suo aspetto riprese la serena compostezza abituale. Gertrude la guardava con l'aria di maraviglia che aveva da quando era incominciato il loro colloquio; e ad un tratto uscì a dire:

      — Avete sonno?

      — Punto. Perchè?

      — Perchè tenete gli occhi chiusi.

      — Sono chiusi sempre, bimba mia.

      — Sempre! O per qual ragione?

      — Io sono cieca. Non posso veder nulla.

      — Non potete vedere! Proprio nulla nulla? Sicchè, me non mi vedete?

      — No.

      — Ah! — proruppe Gertrude facendo un respirone. — Quanto ne sono contenta!

      — Contenta! — esclamò la cieca con l'accento più doloroso che mai fosse udito.

      — Oh sì, sono contenta che non mi vediate, perchè così forse mi amerete! — disse la bambina.

      — E non t'amerei se ti vedessi? — domandò Emilia strisciandole lievemente la mano sul viso.

      — No di certo! — ella rispose. — Sono tanto brutta! E però mi fa piacere che non possiate saper come io sia.

      — Ma pensa, Gertrude, — riprese la signorina Graham con immensa tristezza — che proveresti se tu non potessi vedere la luce, nè le cose, nè le persone?

      — Ma voi dunque non vedete neppure il sole, le stelle, il cielo?... Siete nel buio?

      — Nel buio, sempre, notte e giorno. —

      Gertrude dette in un violento scoppio di pianto.

      — Oh! — fece quando potè ritrovare un fil di voce tra i singhiozzi. — L'è troppo dura! Troppo, troppo, troppo! —

      La sua disperazione fu contagiosa. Per la prima volta la giovane cieca versò amare lacrime sulla propria sventura.

      Ma fu un breve momento. Si dominò subito e cercò di calmare la piccina.

      — Chetati! Non piangere! Non dire ch'è troppo dura la mia sorte.... Io, sai, la sopporto benissimo.... Essendo avvezza così, sono felice lo stesso.

      — Io invece nel buio sarei infelicissima. Lo odio. Non sono contenta, no, che siate cieca.... Me ne dispiace anzi assai.... Vorrei che vedeste ogni cosa, e me pure.... O non ci sarebbe un qualche modo d'aprirveli, gli occhi?

      — No, non c'è. Ma non parliamo più di questo; parliamo di te, piuttosto. Dimmi perchè ti figuri d'essere tanto brutta.

      — Perchè la gente lo dice. E i bambini brutti nessuno li ama.

      — Sì, anche i bambini brutti sono amati, purchè siano buoni.

      — Ma io non sono buona. Al contrario. Cattivissima.

      — Puoi diventar buona, però, e allora t'ameranno tutti.

      — Credete ch'io possa?

      — Se ti ci sforzi, sì.

      — Mi ci sforzerò.

      — Lo spero. Il signor Flint aspetta grandi consolazioni dalla sua bimba, e tu devi fare tutto il possibile per dargliele. —

      Emilia le rivolse poi molte domande sulla sua vita in casa d'Annetta Grant. E il racconto che l'orfanella le fece de' suoi molteplici patimenti, le prese l'animo a segno ch'ella non avvertì la fuga del tempo nè la partenza dell'organista il quale, cessato di sonare, aveva chiuso il suo strumento e se n'era andato.

      Gertrude era molto comunicativa. Benchè di primo acchito si mostrasse ritrosa con gli estranei, bastava qualche buona parola per guadagnarne la confidenza; e nel caso presente la voce dolcissima d'Emilia, il suo tono di simpatia, le andavano diritto al cuore. Cosa singolare, ella, vissuta sempre fra gente d'umile condizione, anzi, fino a poco addietro, dell'infima plebe, non sentiva punto quel timore, quell'impaccio, che sarebbero parsi naturali in lei nel parlare per la prima volta a una


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