Il lampionaio. Maria S. Cummins

Il lampionaio - Maria S. Cummins


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e qualche sillaba compitata. Ma Guglielmo non le fu parco d'elogi, ben meritati del resto, perchè era stata veramente diligentissima. Egli rimase stupito udendola dichiarare che le piaceva la scuola, le piaceva la maestra, le piacevano le condiscepole. S'aspettava invece che tutta la baracca le dispiacesse tanto da farla «andar nei nuvoli»; espressione da lui usata per indicare i suoi accessi di collera. S'era ingannato. Finora almeno, le cose procedevano a maraviglia. Gertrude non gli era mai sembrata così allegra, così felice come quella sera. Egli le promise d'assisterla ne' suoi studi; e i programmi letterari dei due fanciulli salirono tanto alto, che pareva di sentir discorrere un poeta laureato e un filosofo.

      Durante alcune settimane tutto infatti andò per la piana. Gertrude frequentava la scuola regolarmente e seguitava a fare rapidi progressi. Guglielmo veniva tutti i sabati a sentirla leggere, e l'aiutava, l'incoraggiava con le sue lodi. Il perspicace ragazzo però ebbe presto il sospetto che ella avesse già avuto qualche attrito con certune delle scolare più grandi contro le quali cominciava a manifestare sintomi d'avversione. Insomma, qual si fosse l'origine dell'ostilità latente, la crisi non tardò a scoppiare.

      Un giorno, mentre le bambine erano radunate nel cortile della scuola per la ricreazione, venne a passare di là, lungo il marciapiede, Trueman in abito da lavoro, con la scala portatile e il vaso dell'olio. Gertrude lo vide, e saltando, ridendo, chiamandolo forte, corse in istrada, lo raggiunse. Trattenutasi due o tre minuti, rientrò di galoppo, trafelata ed allegra, eccitatissima dalla gioia di quell'incontro insperato. La truppa delle «grandi» che da un pezzo le si mostravano poco benevole, l'aveva osservata, e tosto ch'ella fu di ritorno una di loro le domandò:

      — O chi è quell'uomo?

      — È mio zio True.

      — Tuo.... che cosa?

      — Mio zio, il signor Flint. Io sto con lui.

      — Sicchè tu appartieni al lampionaio? — fece la ragazza con tono insolente. — Ah, ah, ah!

      — Che c'è da ridere? — disse fieramente Gertrude.

      — Uh! Io con lui non ci starei davvero, sudicio affumicato com'è.... Vecchio Negrone! —

      L'epiteto ebbe fortuna, e in un baleno circolò da un angolo all'altro del cortile, fra matte risa.

      Gertrude era furibonda. Con gli occhi scintillanti e i pugni stretti, si slanciò senza esitare contro la folla, sfidandola a battaglia. Ma sopraffatta dal numero delle avversarie, ed accecata dalla propria collera, ebbe naturalmente la peggio e fu cacciata fuori.

      Ella si diresse a tutta corsa verso casa, piangendo e urlando con quanto n'aveva in canna. Nella sua fuga precipitosa dette di cozzo, sul marciapiede, in una signora alta e massiccia, dal portamento piuttosto rigido, la quale camminava lentamente nella direzione medesima, con un'altra d'assai minore statura, appoggiata al suo braccio.

      — Misericordia! — esclamò il donnone che tra la violenza dell'urto improvviso e il suo spavento aveva quasi perduto l'equilibrio. — Orrida monella! —

      E così dicendo scoteva Gertrude ch'ella era giunta ad afferrare per una spalla. Quest'incidente non servì che a raddoppiare il furore della piccina, e insieme la sua velocità. In pochi minuti ella fu nella camera di Trueman, acquattata in un cantuccio dietro il letto, con la faccia contro il muro e coperta dalle mani, secondo il suo costume nei momenti critici. Là si trovò libera di strillare quanto voleva, perchè la signora Sullivan era uscita e nessun altro l'udiva; favorevole circostanza di cui approfittò largamente.

      Non a lungo però. A un tratto sentì chiudere il cancello della corte con un colpo secco, e passi che al suono le parvero d'estranei attirarono la sua attenzione, avvicinandosi all'entrata del quartierino. Ella fece uno sforzo per dominarsi, e dopo due ultimi singhiozzi spasmodici riescì a tacere. Fu picchiato all'uscio. Non rispose nè si mosse dal suo nascondiglio. Senza ripicchiare, qualcuno alzò il saliscendi, ed entrò.

      — Non dev'esserci nessuno, — disse una voce femminile. — Peccato!

      — No? Me ne dispiace, — disse un'altra i cui dolci toni musicali rivelarono subito a Gertrude la presenza d'Emilia Graham.

      — Lo sapevo io che avreste fatto meglio a non venire qui voi stessa! — riprese la prima, ch'era quella della signora Ellis: il donnone a cui Gertrude aveva fatto pigliare quel grosso spavento.

      — Oh, non mi dolgo d'esser venuta! — rispose la signorina. — Potete benissimo lasciarmi qui e andare da vostra sorella. Intanto, o il signor Flint o la bimba, probabilmente ritornerà a casa.

      — Non è convenienza, signorina Emilia, che voi siate portata in giro come un pacco che si depone qua o là e si viene a riprendere. L'altro giorno aspettando il pastore in chiesa vi buscaste una terribile infreddatura di cui siete a mala pena guarita.... Il signor Graham finirà con l'inquietarsi....

      — Oh, non vi mettete in pensiero, signora Ellis! Qui si sta veramente bene. La chiesa è un po' umida io credo. Via, mettetemi nel seggiolone del signor Flint; io son contenta così.

      — E sia, allora. Ma per ogni conto, farò un buon fuoco in quella stufa prima d'andarmene. —

      L'energica governante afferrò l'attizzatoio, accozzò i carboni, usò senza risparmio le fascine di True, e dopo aver aspettato di veder alzarsi la fiamma e sentirla scoppiettare, mise da parte il boa ed il cappellino d'Emilia, e uscì col suo passo grave e sonoro, il quale, quando erano venute, aveva reso così impercettibile quello leggerissimo della giovane, da far credere a Gertrude che una sola persona attraversasse la corte. Tosto che il rumore del cancello avvertì che la signora Ellis era davvero partita, la bambina cessò il suo sforzo, trasse un profondo sospiro, e si sfogò, ansimando:

      — Ohimè! Ohimè!

      — Come! — esclamò Emilia. — Tu sei qui, Gertrude?

      — Sì, — rispose ella tra i singhiozzi.

      — Vieni accanto a me, figliuola. —

      Gertrude non se lo fece dire due volte. Balzò in piedi, corse a lei, e gettatasi per terra nascose il capo nel suo grembo, ricominciando a pianger forte con tal violenza, che tutto il suo corpicino ne tremava.

      — Ebbene, che t'è successo? — le domandò la cieca.

      Ma ella non era in istato di rispondere. Quella lo comprese, e senza più interrogarla se la pigliò sulle ginocchia, le fece posar la testa sulla sua spalla, e asciugò con la propria pezzuola le lacrime che le inondavano la faccia.

      Le sue tenere parole, le sue carezze, calmarono la piccina; e quando si fu chetata, invece d'insistere subito per conoscere la causa di quella disperazione, ella molto giudiziosamente le diresse altre domande; infine però le chiese se andasse a scuola.

      — Ci sono andata, — rispose Gertrude sollevando la testa. — Ma non ci vo mai più, mai!

      — Che dici? E perchè no?

      — Perchè odio quelle ragazzacce, — proruppe la bimba, irosamente. — Sì le odio! Brutte! Maligne!

      — Gertrude, Gertrude, — ammonì Emilia — non parlare così. Tu non devi odiare nessuno.

      — Perchè non devo?

      — Perchè è un gran peccato.

      — No che non è un peccato! Io vi dico di no! E le odio quelle maligne, e odio Annetta Grant, e l'odierò sempre!... Voi non odiate dunque nessuno?

      — Io no.

      — Ma nessuno mai affogò il vostro gattino? Nessuno mai chiamò vostro padre Vecchio Negrone sudicio affumicato? Se ve n'avessero fatte di questa posta, odiereste voi pure come me!

      — Gertrude, — disse la giovane cieca, solennemente — tu mi dicesti l'altro giorno che sei una bimba cattiva, ma che desideri diventar buona e ti sforzerai di riescirvi. Vero? Ebbene, se vuoi diventar buona e farti perdonare, bisogna che tu perdoni agli altri. —

      Gertrude tacque.

      — Non brami


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